T.A.R. Lazio Roma Sez. II, Sent., 10-01-2012, n. 177 Edilizia e urbanistica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – Premetteva il ricorrente di essere proprietario di un appartamento sito nel fabbricato di Via G. n. 65 int. 17 in Roma e di essere stati raggiunto dall’ordinanza sindacale n. 129 del 29 novembre 2007, notificata a numerosi proprietari di appartamenti nel ridetto fabbricato, con la quale si ingiungeva lo sgombero dei locali siti in Via G. n. 65-69, reso necessario da "inconvenienti igienico-ambientali" (così, testualmente, nella parte in premessa dell’ordinanza impugnata, che analiticamente li ha descritti con riferimento a ciascuna unità abitativa) e di pericolo per la salute pubblica evidenziati nel corso di un sopralluogo svolto da personale della ASL RM/E, dichiarandosi quindi lo stato di inabitabilità dei predetti locali.

Con il gravame qui in esame il ricorrente, uno dei proprietari degli appartamenti interessati dal provvedimento notificato a ciascuno di loro, costituiti da monolocali siti al piano terra, al primo piano seminterrato ed al secondo piano seminterrato del fabbricato in questione, sostiene l’illegittimità dell’ordinanza qui gravata in quanto:

a) per l’immobile di proprietà del ricorrente erano state da tempo presentate domande di concessione in sanatoria ai sensi della L. 28 febbraio 1985, n. 47 e pagate le relative somme per oblazione;

b) va poi tenuto conto che, adottato espressamente il provvedimento di sanatoria ovvero formatosi implicitamente il titolo abilitativo postumo per decorso del termine ai sensi del già ricordato art. 35, le posizioni dei ricorrenti si sono definite positivamente tenuto conto che, ai sensi del comma 20 della succitata norma, "a seguito della concessione o autorizzazione in sanatoria viene altresì rilasciato il certificato di abitabilità o di agibilità anche in deroga ai requisiti fissati da norma regolamentari, qualora le opere non contrastino con disposizioni vigenti in materia di sicurezza statica e di prevenzione degli incendi e degli infortuni" (così, anche, alle pagg. 4 e 5 del ricorso introduttivo);

c) ne deriva, dunque, che il provvedimento sindacale di sgombero, con riferimento a ciascun appartamento e motivato in ragione dell’asserito pericolo per l’igiene e la salute pubblica, si pone al di fuori del contesto normativo che ostacolerebbe la validità del provvedimento comunale, implicito o esplicito, in sanatoria ed ormai rilasciato, non essendo state indicate ragioni di pericolo per la statica e la prevenzione di incendi ed infortuni, difettando quindi nella motivazione;

d) d’altronde, sempre sotto il versante della motivazione, l’atto impugnato evidenzia carenze insuperabili, atteso che non esplicita adeguatamente e per come sarebbe stato doveroso la ragione che induce il Comune ad intervenire a distanza di molto tempo rispetto alla definizione delle procedure di sanatoria;

e) nello stesso tempo l’atto gravato si presenta assunto senza una adeguata istruttoria, tenuto conto che tutti i parametri di altezze e superficie minima degli appartamenti, recati dal D.M. 5 luglio 1975, appaiono oggettivamente rispettati, così come gli accorgimenti tecnici necessari a garantire che l’utilizzo abitativo degli appartamenti avvenga nel rispetto dei parametri igienico-sanitari previsti dalla normativa di settore.

A ciò si aggiunga che l’atto impugnato è stato notificato alla Società dante causa dell’appartamento e che non è stato comunicato al ricorrente l’avvio del procedimento di sgombero.

2. – Si è costituita in giudizio l’Amministrazione comunale intimata contestando la fondatezza del gravame e chiedendone la reiezione.

Con alcune ordinanze istruttorie questo Tribunale ha disposto verificazioni, affidandole all’Ufficio del Genio civile della Regione Lazio, alla ASL RM/C, ai Vigili del fuoco, ciascuno per quanto di competenza, aventi ad oggetto l’indagine in ordine alle condizioni igienico-statiche degli appartamenti del ricordato immobile di Via Gradoli, tra i quali quello di proprietà del ricorrente e coinvolto nella ordinanza sindacale impugnata.

Successivamente tutte le parti controvertenti hanno depositato memorie conclusive e di replica confermando le già rassegnate conclusioni.

Mantenuta riservata la decisione alla udienza pubblica dell’8 giugno, alla Camera di consiglio del 13 luglio 2011 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

3. – Il Collegio rileva che, nel merito, le censure dedotte non colgono nel segno, anche alla luce degli esiti delle disposte verificazioni, di talché il ricorso deve essere respinto.

4. – Va sottolineato preliminarmente che il provvedimento qui impugnato si sostanzia in un ordine di sgombero di taluni appartamenti del fabbricato sito in Roma, Via G. n. 65 e tutti collocati ai piani scantinati S1 e S2 del palazzo, perché, all’esito di numerosi sopralluoghi, se ne è manifestata la inabitabilità sia per carenza del requisito relativo alle superfici minime che di quelli igienico-sanitari, concretandosi quindi un pericolo per la salute pubblica il permanente loro utilizzo a fini abitativi.

5. – Al di là dei profili in fatto che caratterizzano la presente controversia, sotto il profilo giuridico va evidenziato che:

A) l’art. 4 del D.P.R. 22 aprile 1994, n. 425 ebbe a prevedere che per utilizzare un edificio fosse necessario ottenere il certificato di agibilità il cui rilascio da parte del sindaco era condizionato alla presentazione di una serie di documenti idonei ad attestare la sussistenza di determinati standards minimi di salubrità. Nel contempo l’art. 5 di detto testo normativo abrogava l’art. 221, primo comma, del R.D. 27 luglio 1934, n. 1265 relativamente alla disciplina del procedimento per il rilascio del certificato. L’intervento normativo in esame ha modificato in termini sostanziali l’istituto dell’agibilità, mutando la denominazione dell’atto da "autorizzazione" amministrativa a "certificato", semplificando il procedimento di rilascio, e, soprattutto, estendendo l’ambito di valutazione ad interessi diversi e ulteriori rispetto a quelli connaturati alla tutela di carattere meramente sanitario; in altri termini, al concetto di agibilità si è andato sostituendo quello di "vivibilità" della costruzione, che inerisce ad una condizione dell’abitare complessivamente rispettosa della dignità dell’individuo;

B) successivamente gli articoli da 24 a 26 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 hanno fissato la disciplina attualmente vigente. Anzitutto – per come è ricordato nella relazione illustrativa che ha accompagnato il predetto decreto presidenziale – il legislatore ha provveduto a ricondurre ad unità i termini di agibilità e abitabilità spesso utilizzati indifferentemente nella normativa precedente. Inizialmente nel linguaggio normativo il termine "licenza di abitabilità" era stato utilizzato in relazione agli immobili ad uso abitativo, mentre il termine "licenza di agibilità" relativamente a quelli non residenziali, quali opifici, uffici, esercizi pubblici e commerciali. In un secondo tempo, il legislatore aveva operato una diversa classificazione, riconducendo all’agibilità la disciplina generale della stabilità e della sicurezza dell’immobile e all’abitabilità la disciplina speciale dei requisiti dell’immobile rispetto a specifiche destinazioni d’uso. In effetti, alcune disposizioni normative e, soprattutto, una certa prassi giurisprudenziale, avevano indotto a pensare che all’interno del nostro ordinamento esistessero due diversi tipi di certificazioni. In realtà, le due espressioni, se pur diversamente utilizzate, erano di fatto omogenee e non richiedevano procedimenti amministrativi diversi. Dimostrativo ne è il fatto che il corredo documentale dell’istanza, come pure le indagini tecniche preliminari al rilascio del certificato, non cambiavano a seconda del tipo di unità immobiliare da certificare, fatta salva, ovviamente, l’esigenza di valutare la presenza di requisiti igienico-sanitari diversi in ragione dell’uso previsto. Eliminato il duplice riferimento terminologico, il legislatore del 2001 ha optato per l’onnicomprensivo termine di "certificato di agibilità" attestante l’idoneità abitativa di qualsiasi edificio. Secondo la nuova formulazione, l’ambito di operatività del certificato di agibilità risulta più esteso rispetto al passato, essendo richiesto non solo per i nuovi organismi edilizi, ma anche per gli interventi eseguiti sugli stessi che possiedano l’attitudine a modificare le condizioni igieniche e sanitarie preesistenti. Ai fini dell’accertamento dell’agibilità di un edificio ciò che rileva non è tanto la qualificazione giuridica dell’intervento (ristrutturazione, restauro o risanamento conservativo, oppure manutenzione straordinaria o realizzazione di sole opere interne), quanto piuttosto la qualità e l’entità dell’intervento, nonché i suoi riflessi sulla condizione di salubrità della costruzione o di sue parti. Il certificato di agibilità è dunque necessario per tutti gli organismi edilizi destinati a un utilizzo che comporti la permanenza dell’uomo che può risolversi sia nel soggiorno prolungato, com’è per le abitazioni, sia nella semplice frequentazione, com’è per l’immobile destinato a un’attività produttiva, che deve comunque essere di durata tale da richiedere la presenza di condizioni minime di igiene e salubrità;

C) in base a quanto previsto dagli artt. 24 e 25 del D.P.R. n. 380 del 2001, il certificato di abitabilità delle costruzioni costituisce un’attestazione da parte dei competenti uffici tecnici comunali in ordine alla sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità e risparmio energetico degli edifici e degli impianti tecnologici in essi installati, alla stregua della normativa vigente. Ne deriva la legittimità, in via generale, dello svolgimento da parte degli organi comunali competenti di ogni indagine utile al fine di effettuare una consapevole valutazione sulla sussistenza delle surriferite condizioni, soprattutto quando in un edificio (per come è avvenuto nel caso in esame) siano state realizzate modifiche strutturali (cfr., in argomento, T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 16 marzo 2011 n. 740), che implicano anche un cambiamento dell’uso degli spazi (si veda sul punto la relazione prodotta in data 26 ottobre 2010 con allegazione di documenti dall’amministrazione del Condominio dello stabile in questione);

D) l’art. 25, commi 3-5, del D.P.R. n. 380 del 2001 prevede un procedimento di rilascio del certificato di agibilità, articolato sui seguenti principi fondamentali: 1) il procedimento deve essere concluso nel termine di 30 giorni dalla ricezione della domanda di rilascio del certificato di agibilità o di 60 giorni, nel caso in cui il ricorrente si sia avvalso della possibilità di sostituire con autocertificazione il parere dell’A.S.L. previsto dall’art. 5, 3 comma lett. a) del D.P.R. n. 380 del 2001; 2) il decorso del termine per la definizione del procedimento, importa la formazione del silenzio assenso sull’istanza di rilascio del certificato di agibilità; 3) il termine del procedimento può essere interrotto una sola volta dal responsabile del procedimento, entro quindici giorni dalla domanda, esclusivamente per la richiesta di documentazione integrativa, che non sia già nella disponibilità dell’amministrazione o che non possa essere acquisita autonomamente; in tal caso, il termine per la conclusione del procedimento ricomincia a decorrere dalla data di ricezione della documentazione integrativa; 4) il rilascio del certificato di agibilità non impedisce l’esercizio del potere di dichiarazione di inagibilità di un edificio o di parte di esso ai sensi dell’articolo 222 del R.D. 27 luglio 1934, n. 1265 (art. 26 D.P.R. n. 380 del 2001).

6. – Fermo quanto sopra e tenuto conto che la disciplina suesposta presenta una ipotesi di silenzio assenso nell’ipotesi di istanza di agibilità presentata agli Uffici competenti e rispetto alla quale gli stessi non hanno adottato alcun provvedimento espresso, occorre pur tuttavia verificare se l’ordinamento ha previsto casi in cui vi siano criticità riferibili alla acquisibilità implicita – per effetto del silenzio – della dichiarazione di agibilità.

Sul punto vale la pena rammentare che:

a) in caso di istanza di condono edilizio, il rilascio del c.d. certificato di agibilità può avvenire in deroga soltanto alle norme di tipo secondario e/o regolamentare, ma non anche in deroga alle disposizioni normative di fonte primaria e/o di legge, soprattutto se attinenti alla materia dell’igiene pubblica e dell’inquinamento del suolo, in quanto diversamente, in caso di adesione ad una possibile interpretazione di tipo estensivo delle norme in materia di condono edilizio, l’art. 35, comma 14, della L. 28 febbraio 1985, n. 47 (come le altre norme analoghe ad essa succedute nel tempo in materia di condoni edilizi) sarebbe palesemente incostituzionale per contrasto con il fondamentale principio della tutela della salute ex art. 32 Cost., inteso non solo come diritto alla salute del singolo individuo, ma anche come diritto dell’intera collettività alla salubrità dell’ambiente (sul punto cfr. Cons. Stato, Sez. V, 15 aprile 2004 n. 2140 e 13 aprile 1999 n. 414 nonché TAR Sardegna 29 ottobre 2002 n. 1422);

b) il suesposto orientamento si pone perfettamente in linea con quello espresso dalla Corte Costituzionale la quale, con sentenza n. 256 del 18 giugno 1996, ha avuto modo di precisare, per un verso, che il certificato di abitabilità non deve necessariamente autorizzare in maniera uniforme tutto l’edificio o parte di esso, dovendo essere distinti gli usi abitativi o di semplice agibilità, quando alcuni locali siano utilizzabili solo come accessori o come locali non destinabili a usi abitativi stabili o come depositi o con altri usi non abitativi, quando non siano strutturalmente idonei sotto il profilo igienico-sanitario per una abitabilità piena, ancorché oggetto di concessione edilizia in sanatoria nonché, per altro verso, la circostanza che le norme sul condono edilizio prevedano, a seguito della concessione in sanatoria, il rilascio del certificato di abitabilità o agibilità anche in deroga ai requisiti fissati da norme regolamentari, purché non sussista contrasto con le disposizioni vigenti in materia di sicurezza statica e di prevenzione degli incendi e degli infortuni, "non riguarda i requisiti richiesti da disposizioni legislative e deve, pertanto, escludersi una automaticità assoluta nel rilascio del certificato di abitabilità (…) a seguito di concessione in sanatoria, dovendo invece il Comune verificare che al momento del rilascio del certificato di abitabilità siano osservate non solo le disposizioni di cui all’art. 221 T.U. delle leggi sanitarie (rectius, di cui all’art. 4 del D.P.R. n. 425 del 1994), ma, altresì quelle previste da altre disposizioni di legge in materia di abitabilità e servizi essenziali relativi e rispettiva normativa tecnica (…) Permangono, infatti, in capo ai Comuni tutti gli obblighi inerenti alla verifica delle condizioni igienico-sanitarie per l’abitabilità degli edifici, con l’unica possibile deroga ai requisiti fissati da norme regolamentari" (così, testualmente, la sentenza della Corte costituzionale n. 256 del 1996 citata);

c) se è dunque vero che, in base a quanto previsto dagli art. 24 e 25, del n. 380 del 2001, il certificato di agibilità delle costruzioni costituisce un’attestazione da parte dei competenti uffici tecnici comunali in ordine alla sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità e risparmio energetico degli edifici e degli impianti tecnologici in essi installati, alla stregua della normativa vigente, appare altrettanto legittimo che una valutazione sulla sussistenza di dette condizioni, sia richiesta a fronte di modifiche strutturali che implicano anche un cambiamento dell’uso degli spazi e che dunque il Comune non perda, neppure per l’ipotesi di rilascio implicito del certificato ovvero per effetto di condono, il potere-dovere di verificare la sussistenza effettiva di dette condizioni di salubrità e di intervenire laddove siano riscontrate carenze (cfr. sul punto T.A.R. Veneto, Sez. III, 2 gennaio 2009 n. 6 nonché T.A.R Basilicata, Sez. I, 29 novembre 2008 n. 916).

7. – Nel caso di specie il Comune, con l’ordinanza qui principalmente impugnata, ha evidenziato, all’esito di alcuni sopralluoghi, importanti deficienze igienico sanitarie negli appartamenti per i quali è qui controversia, confermate dalle verificazioni disposte da questo Tribunale e gli esiti delle consulenza di parte affidate da alcuni degli odierni ricorrenti a tecnici di fiducia non si manifestano idonei a superare le conclusioni confermative alle quali sono pervenute le indagini di verificazione disposte con profili di evidente sintonia rispetto alle valutazioni operate dagli uffici comunali nel corso dell’istruttoria che ha condotto all’adozione della qui avversata ordinanza sindacale di sgombero.

I verificatori hanno infatti significativamente affermato che tutti i locali esaminati presentano superfici finestrate inidonee ed aree calpestabili inferiori ai 28 metri quadrati, valore minimo per un monolocale. Alcuni immobili presentano evidenti inconvenienti igienico-sanitari che li rendono inidonei all’uso abitativo.

In altri termini, seppure con alcune peculiarità e caratteristiche diverse per taluni dei monolocali, l’esito delle disposte verificazioni costituisce conferma della inadeguatezza, sotto il profilo igienico sanitario, dei locali in questione ad essere abitati, rafforzando i risultati dell’istruttoria svolta in vista della adozione dell’ordinanza sindacale di sgombero.

L’indagine, va precisato, è stata svolta accuratamente dall’Azienda USL RM/C , che in contraddittorio con le parti coinvolte ha concluso i propri rilievi affermando con nettezza e senza escludere alcun immobile da siffatto esito che "si esprime parere igienico-sanitario contrario all’uso di tali locali come abitazioni" (così, testualmente, nella relazione depositata l’8 ottobre 2009).

8. – Ciò posto, in via di fatto, le censure dedotte dal ricorrente con l’atto introduttivo non si presentano idonee a scalfire la dimostrazione, acquisita nel corso del processo, del corretto percorso seguito dagli uffici comunali per giungere all’adozione dell’ordinanza di sgombero, avvalorato dagli esiti delle disposte verificazioni; ne deriva la reiezione del ricorso, tenuto conto che per la natura di provvedimento d’urgenza propria dell’atto impugnato non vi era ragione per comunicare l’avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 della L. 7 agosto 1990 n. 241 e che la contestata nullità della notifica appare superata dalla intervenuta impugnazione tempestiva dell’atto pregiudizievole, che ha consentito al proprietario di poter tutelare tempestivamente ed adeguatamente le proprie ragioni dinanzi all’Autorità giudiziaria.

Sussistono, nondimeno e tenuto conto della tecnicità delle questioni affrontate, i presupposti per compensare integralmente le spese di giudizio tra le parti costituite ai sensi dell’art. 92 c.p.c. novellato, per come richiamato dall’art. 26, comma 1, c.p.a..

P.Q.M.

pronunciando in via definitiva sul ricorso in epigrafe, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nelle Camere di consiglio dell’8 giugno 2011 e del 13 luglio 2011 con l’intervento dei magistrati:

Luigi Tosti, Presidente

Carlo Modica de Mohac, Consigliere

Stefano Toschei, Consigliere, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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