Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 21-09-2011) 06-12-2011, n. 45417

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza in data 18 giugno 2010 la Corte di appello di Roma, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha respinto la domanda proposta da B.F.V., destinatario di provvedimento di unificazione di pene concorrenti emesso dalla Procura Generale presso la medesima Corte in data 18 maggio 2009, diretta ad ottenere l’applicazione della disciplina del reato continuato tra i delitti oggetto della sentenza emessa il 14 luglio 2004 di condanna alla pena di anni due di reclusione e i delitti di cui alle sentenze in data 17 gennaio 1996 e 28 gennaio 2004, questi ultimi già riconosciuti in continuazione tra loro nella sentenza del 28 gennaio 2004 che aveva condannato il B. alla pena unica di anni quattro e mesi tre di reclusione.

Con la medesima ordinanza la Corte di appello, in accoglimento di entrambe le richieste del Procuratore generale, ha revocato l’ordinanza in data 20 giugno 2007, con la quale il Tribunale di Roma, in funzione di Giudice dell’esecuzione, aveva dichiarato estinto, ai sensi dell’art. 445 cod. proc. pen., comma 2, il reato continuato oggetto della sentenza emessa il 17 gennaio 1996 e ha applicato, a favore del B., l’indulto concesso con la L. n. 241 del 2006 nella misura di tre anni di reclusione ed Euro 4.560,00 di multa in relazione alla pena unificata di anni sei, mesi tre di reclusione ed Euro 4.560,00 di multa, residuando pertanto da espiare -detratto il presofferto di mesi sei e giorni sette- la pena di anni due, mesi otto e giorni ventitrè di reclusione, in base al suddetto provvedimento di cumulo del 18 maggio 2009. 2. A ragione, quanto al diniego di applicazione della disciplina della continuazione, la Corte ha addotto la disposizione di cui all’art. 671, comma 1, primo periodo, cod. proc. pen., che preclude al giudice dell’esecuzione di applicare la disciplina del reato continuato a fatti già giudicati quando la stessa sia stata esclusa dal giudice della cognizione, ritenendo sussistente, nel caso in esame, la predetta preclusione poichè la sentenza del Tribunale di Roma, in data 14 luglio 2004, aveva espressamente negato la continuazione tra i fatti da essa giudicati (commessi nel 1996) e quelli decisi con la sentenza del 17 gennaio 1996 (commessi nel 1993), per il notevole lasso di tempo trascorso tra gli uni e gli altri.

Quanto all’accolta richiesta del Procuratore generale di revoca dell’ordinanza del Tribunale di Roma, in data 20 giugno 2007, dichiarativa dell’estinzione del reato giudicato con sentenza del 17 gennaio 1996 di applicazione della pena su richiesta delle parti, la Corte di merito ha confutato la tesi difensiva propugnatrice dell’irrevocabilità della medesima ordinanza, rappresentando che proprio il reato (continuato) di cui alla sentenza del 17 gennaio 1996 era già stato ritenuto, prima della declaratoria di estinzione, in continuazione con i fatti oggetto della sentenza del 28 gennaio 2004, la quale aveva ravvisato la violazione più grave in quella, prevista dagli artt. 48, 476 e 479 cod. pen., di cui al capo B) della stessa sentenza del 17 gennaio 1996. 3. Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il B., tramite il difensore di fiducia, il quale deduce cinque motivi di gravame.

3.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la falsa applicazione dell’art. 648 cod. proc. pen. e la violazione del principio di intangibilità del giudicato.

Il Giudice dell’esecuzione avrebbe applicato un sillogismo errato, assumendo come premessa maggiore del suo ragionamento l’irrevocabilità della sentenza emessa il 14 luglio 2004 dal Tribunale di Roma, escludente la continuazione con i soli fatti oggetto della sentenza di applicazione della pena su richiesta, emessa dallo stesso Tribunale il 17 gennaio 1996, trascurando l’ulteriore sentenza in data 28 gennaio 2004 della Corte di appello di Roma che ha, invece, riconosciuto la continuazione tra i fatti di cui alla sentenza del 17 gennaio 1996 e quelli oggetto della propria decisione. Al riguardo, il ricorrente ha anche evidenziato che un reato, consistente nell’induzione in errore del notaio M.L. C. circa l’autenticità della procura speciale a vendere l’immobile in Roma, via delle Grotte, apparentemente rilasciata al B. dalla proprietaria Z.S., risulta contestato e giudicato sia nella sentenza del 14 luglio 2004 che in quella del 28 gennaio 2004.

Il predetto sillogismo avrebbe dovuto, invece, essere ribaltato assumendo come premessa maggiore la sentenza del 28 gennaio 2004, per addivenire alla conclusione che la continuazione da essa riconosciuta implica il medesimo vincolo anche con i fatti giudicati con la sentenza del 14 luglio 2004.

Il conflitto tra giudicati in punto di continuazione avrebbe imposto, in ogni caso, la scissione fra i reati oggetto della sentenza del 28 gennaio 2004 e quelli oggetto della sentenza del 17 gennaio 1996, riconoscendo almeno la continuazione tra i primi e quelli decisi con la sentenza del 14 luglio 2004 escludente la continuazione solo con i fatti di cui alla sentenza del 17 gennaio.

3.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, e denuncia l’inosservanza e la falsa applicazione dell’art. 671, comma 1, artt. 665 e 649 c.p.p..

Assume, in particolare, di aver chiesto l’applicazione della continuazione solo tra i fatti oggetto delle sentenze in data 14 luglio 2004 e 28 gennaio 2004 e non anche con quelli giudicati con la sentenza del 17 gennaio 1996.

Conseguentemente si sarebbe consumata la violazione dell’art. 671 cod. proc. pen., comma 1, che preclude l’applicazione della disciplina del reato continuato solo nel caso in cui essa sia stata esclusa dal giudice della cognizione, ipotesi non ricorrente, nella fattispecie, tra i fatti oggetto delle due predette sentenze emesse nel 2004, col conseguente travalicamento dei limiti della propria competenza funzionale da parte del giudice dell’esecuzione, il quale avrebbe attribuito al giudice della cognizione un’esclusione della continuazione non disposta, ad esso sostituendosi in violazione, altresì, del divieto di cui all’art. 649 cod. proc. pen..

3.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta l’inosservanza e la falsa applicazione dell’art. 125 cod. proc. pen.,, comma 3, per mancanza di motivazione su un punto decisivo della fattispecie sottoposta all’esame del Giudice dell’esecuzione, il quale non avrebbe spiegato, posta l’irrevocabilità di entrambe le sentenze del 14/7/2004 e del 23/01/2004, la prima escludente e la seconda riconoscente, invece, la continuazione tra i reati rispettivamente giudicati e quelli oggetto della precedente sentenza del 17/01/1996, la ragione della prevalenza accordata alla prima sentenza anzichè alla seconda, in violazione altresì del principio del favor rei che avrebbe imposto l’applicazione preferenziale della sentenza favorevole al riconoscimento della continuazione, senza tacere che il reato comune alle due decisioni del 14/07/2004 e 28/01/2004 (autenticazione, da parte del notaio C.M.L., della procura a vendere l’immobile in (OMISSIS), apparentemente rilasciata dalla proprietaria, Z.S., all’avvocato B., per errore sull’identità della conferente nel quale il notaio fu indotto dallo stesso B.), già ritenuto in continuazione con le altre violazioni giudicate in ciascuna delle predette sentenze, dovrebbe implicare il riconoscimento di analogo vincolo anche tra gli altri reati oggetto delle medesime decisioni.

3.4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 648 e 649 cod. proc. pen., nonchè la mancanza di motivazione, con riguardo alla ritenuta revocabilità dell’ordinanza del Tribunale di Roma, in data 20 giugno 2007, dichiarativa dell’estinzione del reato continuato giudicato con la sentenza, ex art. 444 e ss. cod. proc. pen., emessa il 17 gennaio 2006.

La predetta ordinanza, secondo il ricorrente, apparterrebbe alla categoria delle ordinanze con i caratteri di sentenza, siccome incidente su una situazione giuridica sostanziale del condannato, e non avrebbe dovuto, pertanto, essere revocata col ripristino della pena, neppure sulla base di pretesi errori di diritto per avere il ricorrente subito condanna per fatti successivi, commessi nel quinquennio, restando gli eventuali errori coperti dal giudicato.

3.5. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 673 e 674 cod. proc. pen., assumendo che le dette norme contengono un’elencazione tassativa dei casi di revocabilità dei provvedimenti emessi dal Giudice dell’esecuzione, tra cui non rientrano le ordinanze dichiarative dell’estinzione del reato, ex art. 445 cod. proc. pen., comma 2, donde l’errata revoca della predetta ordinanza, in data 20 giugno 2007, da parte della Corte di appello quale Giudice dell’esecuzione.

Motivi della decisione

4.1. Il ricorso è fondato nei limiti in cui, nei primi tre motivi, denuncia l’illegittimità del rigetto della richiesta di applicazione della disciplina del reato continuato sulla base della ritenuta preclusione derivante dalla sentenza del 14 luglio 2004 (irrevocabile dal 6 febbraio 2009), la quale, come si è detto, ha escluso la continuazione tra i reati da essa giudicati e quelli formanti oggetto della precedente sentenza del 17 gennaio 1996 (irrevocabile dal 12 febbraio 1996).

Sussiste, infatti, un’altra sentenza di condanna coeva a quella del 14 luglio 2004 e avente in comune con quest’ultima un reato da entrambe giudicato, emessa il 28 gennaio 2004 (irrevocabile dal 18 febbraio 2009), che, invece, ha riconosciuto la continuazione tra i fatti da essa giudicati e quelli oggetto della predetta sentenza del 17 gennaio 1996.

Ne discende che, avendo il B. richiesto l’applicazione della disciplina del reato continuato tra i fatti giudicati con la sentenza del 28 gennaio 2004, solo parzialmente coincidenti con quelli oggetto della sentenza del 17 gennaio 1996, e i reati giudicati con la sentenza del 14 luglio 2004, come risulta dalla lettura del suo originario ricorso al Giudice dell’esecuzione, depositato il 26 marzo 2009 (pag. 4), la Corte di appello non avrebbe dovuto ritenere preclusa la medesima richiesta sulla base di un solo giudicato (quello, appunto, costituito dalla sentenza del 14 luglio 2004), obliterando l’altro (sentenza del 28 gennaio 2004) di opposto contenuto in tema di continuazione.

Nel singolare caso in esame sussiste, a ben vedere, una preclusione logica e non da giudicato, secondo quanto previsto dall’art. 671 cod. proc. pen., comma 1, poichè due giudicati alternativi sul medesimo oggetto (l’uno applicativo della continuazione e l’altro no,con riguardo ai medesimi fatti oggetto di un terzo giudicato precedente) lasciano spazio ad una rivisitazione in sede esecutiva dei presupposti per l’applicazione della continuazione se non altro, come correttamente indicato dal ricorrente, tra i fatti giudicati con la sentenza del 28 gennaio 2004, diversi da quelli (ritenuti in continuazione) oggetto della sentenza del 17 gennaio 1996, ed i reati giudicati con la sentenza del 14 luglio 2004 (escludente quelli di cui alla decisione del 17 gennaio), non sussistendo alcuna incompatibilità al riguardo.

Ne discende l’annullamento/ in parte qua, dell’ordinanza impugnata con rinvio allo stesso giudice dell’esecuzione per l’esame della richiesta di continuazione, proposta dal B., erroneamente ritenuta preclusa, la quale, se ritenuta fondata, ponendo la necessità di procedere alla rideterminazione della pena per la continuazione tra reati separatamente giudicati con sentenze, ciascuna delle quali per più violazioni già unificate a norma dell’art. 81 cod. pen., impegnerà il giudice dell’esecuzione dapprima a scorporare tutti i reati riuniti in continuazione dal giudice della cognizione, quindi ad individuare quello più grave, e solo successivamente, sulla pena come determinata per quest’ultimo dal giudice della cognizione, ad operare autonomi aumenti per i reati satellite, compresi quelli già riuniti in continuazione con il reato posto a base del nuovo computo (conformi sui predetti criteri da seguire in caso di rideterminazione della pena ex art. 671 cod. proc. pen.: Sez. 1, n. 38244 del 13/10/2010, dep. 29/10/2010, Conte, Rv.

248299; Sez. 1, n. 49748 del 15/12/2009, dep. 29/12/2009, Di Stefano, Rv. 245987; Sez. 1, n. 4911 del 15/01/2009, dep. 04/02/2009, Neder, Rv. 243375).

4.2. Il ricorso è, invece, infondato laddove denuncia, con il quarto e quinto motivo, l’illegittimità della revoca -su richiesta del Procuratore generale di cui al provvedimento di cumulo del 18 maggio 2009- dell’ordinanza del Tribunale di Roma, in funzione di giudice dell’esecuzione, in data 20 giugno 2007, che ha dichiarato, ai sensi dell’art. 445 cod. proc. pen., comma 2, l’estinzione dei reati, unificati col vincolo della continuazione, oggetto della sentenza del 17 gennaio 1996.

Al riguardo, va riaffermato il principio secondo cui il provvedimento del giudice dell’esecuzione, una volta divenuto formalmente irrevocabile, preclude una nuova decisione sullo stesso oggetto, ma detta preclusione non opera in maniera assoluta e definitiva, bensì rebus sic stantibus, ossia finchè non si prospettino nuovi dati di fatto o nuove questioni giuridiche, per tali intendendosi non solo gli elementi sopravvenuti, ma anche quelli preesistenti dei quali non si sia tenuto conto ai fini della decisione anteriore (Sez. 5, n. 15341 del 24/02/2010, dep. 21/04/2010, Tantucci, Rv. 246959; coerenti col detto principio con riguardo al peculiare caso di mutamento di giurisprudenza: Sez. U, n. 18288 del 2010, Rv. 246651).

Nel caso in esame, come illustrato nella narrativa che precede, alla dichiarazione di estinzione del reato continuato commesso dal B. nel 1993, oggetto di sentenza del 17 gennaio 1996, giusta ordinanza del 20 giugno 2007 del Tribunale di Roma, quale giudice dell’esecuzione, emessa a norma dell’art. 445 cod. proc. pen., comma 2, sono sopravvenute le sentenze di condanna del 28 gennaio 2004 e 14 luglio 2004, entrambe divenute irrevocabili nel febbraio 2009, relative a reati commessi negli anni 1995 e 1996, e, quindi, entro il quinquennio successivo alla commissione dei reati oggetto della prima sentenza ex art. 444 cod. proc. pen., con la conseguenza che la Corte di appello di Roma, investita dal Pubblico ministero della richiesta di revoca della predetta ordinanza estintiva, legittimamente vi ha provveduto sulla base delle sopravvenute condanne per fatti commessi nel quinquennio (sulla necessità che il reato successivo sia stato commesso nel quinquennio anche se non giudicato nel medesimo termine, ma successivamente: Sez. 1, n. 1281 del 20/11/2008, dep. 15/01/2009, Ciraci, Rv. 242664).

Alla stregua di quanto precede, deve essere respinto il ricorso con riguardo alla denunciata illegittimità della disposta revoca del provvedimento in esame.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alla richiesta di continuazione e rinvia per nuovo esame al riguardo alla Corte di appello di Roma. Rigetta nel resto il ricorso.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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