Cass. civ. Sez. III, Sent., 28-06-2012, n. 10875 Opposizione all’esecuzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- Con la decisione ora impugnata, pubblicata il 13 gennaio 2006, la Corte d’Appello di Venezia ha rigettato l’appello proposto dall’avv. S.V. avverso la sentenza del Tribunale di Verona; questa aveva accolto l’opposizione all’esecuzione proposta da S. A. avverso il precetto notificato, il 25 agosto 1999, da S.V. per ottenere il rilascio del lotto a lui attribuito con sentenza n. 918/99 dello stesso Tribunale di Verona; quest’ultima sentenza aveva disposto la divisione tra i coeredi S.V., Se.Vi. e S.A. di un immobile lasciato dal padre S.L., attribuendo a ciascuno una porzione.

2.- Il ricorso per cassazione è affidato ad un unico articolato motivo.

Non si difende l’intimata.

Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..

Il Collegio ha raccomandato la motivazione semplificata.

Motivi della decisione

1.- Con l’unico motivo di ricorso si deduce omesso rilievo, esame e valutazione del giudicato; error in iudicando;

violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.; violazione dell’art. 324 cod. proc. civ. e art. 2909 cod. civ. nonchè dell’art. 336 cod. proc. civ..

Sostiene il ricorrente che la sentenza del Tribunale di Verona n. 918/99, posta a base del precetto di rilascio, fosse una sentenza di accertamento e non costitutiva, come invece ritenuto dalla Corte d’Appello e che fosse passata in giudicato già in data 15 ottobre 1999, a seguito della notificazione in data 25 agosto 1999 della stessa sentenza e del precetto oggetto di opposizione; pertanto, secondo il ricorrente, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di merito, i capi della sentenza relativi alle statuizioni di scioglimento della comunione sarebbero passati in giudicato con efficacia ex tunc "integrati ex art. 336 cod. proc. civ. fin dall’origine con l’espressa condanna al rilascio disposto dalla sentenza 132/2001" della Corte d’Appello di Venezia, che aveva deciso il gravame avverso la sentenza n. 918/99.

2.- Il motivo è infondato, sebbene la motivazione della sentenza impugnata debba essere parzialmente corretta ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c..

La sentenza d’appello n. 132/2001 ha, infatti, integrato le statuizioni della sentenza di primo grado n. 918/99, poichè contiene nel dispositivo la pronuncia di condanna della condividente S. A. al rilascio della porzione dell’immobile già assegnata, con la sentenza di primo grado, al condividente S.V., laddove invece la sentenza del Tribunale si era limitata alla divisione dell’immobile, senza condannare ciascuno dei condividenti al rilascio dei beni immobili loro non assegnati.

Questa situazione processuale non può comportare, così come vorrebbe il ricorrente, che, già alla data di notificazione del precetto (precedente la pronuncia d’appello), questo fosse assistito da valido titolo esecutivo che sarebbe formato dalla sentenza di primo grado "integrata dalla sentenza d’appello", con efficacia ex tunc; comporta, invece, che l’unico titolo esecutivo formatosi a vantaggio dell’avv. S.V. sia appunto la sentenza di secondo grado, sopravvenuta alla notificazione del precetto oggetto di opposizione, in quanto la sentenza di primo grado, sulla quale il precetto si fondava, non conteneva alcuna statuizione di condanna al rilascio. Pertanto, non sono decisive le considerazioni svolte dalla Corte d’Appello in punto di efficacia costitutiva della sentenza di primo grado e di esecutività delle statuizioni di scioglimento della comunione e di assegnazione dei beni da esse dipendenti. E’ noto che è tuttora questione controversa quella concernente l’efficacia esecutiva dei capi di condanna dipendenti dai capi costitutivi (o di accertamento) della stessa sentenza (cfr., da ultimo, Cass. S.U. n. 4059/10); tuttavia, si tratta di questione non rilevante per la decisione del caso di specie, atteso che – come pure rilevato nella sentenza impugnata – il precetto oggetto dell’opposizione era stato intimato sulla base della sentenza di primo grado, che non conteneva alcuna statuizione di condanna al rilascio. Nè si è mai sostenuto, nemmeno nel presente ricorso, che sì fosse in presenza di una fattispecie di condanna cd. implicita (per la quale, cfr. Cass. n. 1619/05, nonchè, di recente, Cass. n. 1367/12).

3.- La giurisprudenza di questa Corte richiamata nella memoria depositata ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ. non è certo idonea a confutare la conclusione sopra raggiunta circa l’inidoneità della sentenza di primo grado n. 918/99 a costituire titolo esecutivo ex art. 474 cod. proc. civ.. Il principio, richiamato dal ricorrente, per il quale la sentenza resa in grado di appello si sostituisce immediatamente, fin dalla sua pubblicazione, alla sentenza di primo grado, travolgendo le statuizioni riformate e quelle da esse dipendenti, e privandola altresì, nel caso in cui sia provvisoriamente eseguibile, di idoneità a legittimare la instaurazione o prosecuzione di procedura esecutiva (di cui a Cass. n. 3875/84, menzionata nella memoria), si riferisce alla sentenza di riforma in appello e non si vede come possa giovare al ricorrente, atteso che riguarda la fattispecie contraria a quella di che trattasi nel caso di specie.

Ed, invero, in quest’ultimo si è avuta una sentenza di primo grado che, per quanto rileva ai fini della decisione, non solo non è stata riformata in appello, ma nemmeno era idonea a dar luogo ad un processo esecutivo, in quanto insuscettibile di esecuzione forzata perchè mancante del capo di condanna.

3.1.- Nè può giovare al ricorrente il principio, riaffermato di recente da questa Corte, per il quale, in tema di esecuzione forzata, allorchè l’esecuzione sia iniziata in base a titolo esecutivo giudiziale non definitivo, cui segua la pronunzia, nello sviluppo dello stesso processo in cui il primo si è formato, di altro titolo, il quale modifichi quantitativamente l’entità del credito riconosciuto nel titolo originario, persiste in favore del creditore, con effetto ex tunc, un valido titolo esecutivo, in ragione dell’effetto integralmente sostitutivo dei titoli esecutivi resi a cognizione piena rispetto a quelli anticipatori e di quelli di merito di secondo grado rispetto a quelli di primo, sempre che tale sostituzione o modifica del titolo sia portata a conoscenza del giudice dell’esecuzione (così Cass. n. 6072/12, ma cfr. già Cass. n. 7111/97). Si tratta infatti della generalizzazione del principio espresso dall’art. 653 c.p.c., comma 2, esteso a tutte le ipotesi in cui un provvedimento giurisdizionale provvisoriamente esecutivo, posto in esecuzione, venga modificato solo quantitativamente da un successivo provvedimento, anch’esso provvisoriamente esecutivo (cfr.

Cass. n. 101/85, n. 2406/86), sicchè iniziata l’esecuzione in base ad una sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva, ove sopravvenga la sentenza di appello che riformi la precedente decisione in senso soltanto quantitativo, il processo non resta caducato, ma prosegue, senza soluzione di continuità, nei limiti fissati dal nuovo titolo, ove si tratti di modifica in diminuzione, ovvero nei limiti del titolo originario, qualora la modifica sia in aumento, salva la possibilità di intervento per lo stesso creditore per ottenere la maggior somma riconosciuta dalla sentenza d’appello (cfr. Cass. n. 7111/97 cit.). Si tratta, secondo una dottrina, di una trasformazione del titolo esecutivo in corso di procedura, cioè di una trasformazione in itinere del titolo esecutivo, dovuta alle vicende evolutive del medesimo, che però non lo privano della sua efficacia esecutiva. Tuttavia, questo fenomeno, spiegato col primo o col secondo degli argomenti appena richiamati, presuppone che l’esecuzione sia stata minacciata od iniziata sulla base di un provvedimento che rientri nel novero dei titoli esecutivi di cui all’art. 474 cod. proc. civ. e, quindi, possa poi essere iniziata e/o proseguire sulla base di tale titolo, eventualmente "integrato" con altro, che al primo si sia sostituito. Esso invece non può certo verificarsi – come sembra ritenere il ricorrente – nella diversa ipotesi in cui la sentenza di primo grado, che non sia valido titolo esecutivo perchè mancante della statuizione di condanna, venga nelle more "integrata" dalla sentenza di secondo grado che tale statuizione contenga: il precetto intimato sulla base della prima non può certo acquisire validità ex post per il sopravvenire della seconda. Nel sistema vigente opera infatti il principio che il titolo esecutivo, quale condizione necessaria dell’azione esecutiva, deve esistere nel momento in cui questa è minacciata con la notificazione dell’atto di precetto ed in cui è iniziata con 1’introduzione del processo esecutivo, non si può formare successivamente e deve permanere per tutta la durata dell’esecuzione (cfr., tra le tante, Cass. n. 7631/02, in motivazione, nonchè Cass. n. 11769/02 nel senso che è irrilevante il fatto che il titolo esecutivo mancante al momento dell’avvio del processo esecutivo sia venuto ad esistenza successivamente).

Il titolo esecutivo da notificare per promuovere l’esecuzione forzata, nel caso di specie, era soltanto la sentenza d’appello contenente, per la prima volta nel giudizio, l’ordine di rilascio; il precetto avrebbe potuto essere intimato soltanto sulla base di tale sentenza.

4.- In conclusione, è corretta la statuizione di accoglimento dell’opposizione proposta avverso il precetto notificato sulla base della sentenza di primo grado per mancanza, alla data di tale notificazione, di valido titolo esecutivo per il rilascio ed è quindi corretta la statuizione della Corte d’Appello di Venezia di rigetto del gravame proposto dall’avv. S.V..

Il ricorso va rigettato.

Non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di cassazione, poichè l’intimata non ha svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla sulle spese.

Così deciso in Roma, il 7 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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