Cass. civ. Sez. III, Sent., 28-06-2012, n. 10874 Recesso del conduttore Uso non abitativo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Comune di Velletri ha proposto opposizione al decreto ingiuntivo con cui la COGEMI gli ha intimato il pagamento di Euro 272.991,62, quali canoni dovuti per la locazione di vari immobili, che il Comune aveva adibito a sede dell’Ufficio di collocamento, della farmacia comunale, dell’università e del teatro comunale.

A fondamento dell’opposizione ha dedotto che, con lettera raccomandata ricevuta da COGEMI il 31 luglio 2008, aveva esercitato il recesso dai contratti di locazione a decorrere dal 31 gennaio 2009, ai sensi della L. n. 392 del 1978, art. 27, a causa di difficoltà finanziarie, che gli avevano imposto di utilizzare per le attività di cui sopra immobili di sua proprietà.

L’opposta ha resistito, contestando che ricorressero i presupposti per il recesso anticipato dal contratto.

Esperita l’istruttoria, il Tribunale ha respinto l’opposizione, confermando il decreto opposto.

Con la sentenza impugnata in questa sede la Corte di appello di Roma, in riforma, ha accertato l’intervenuta risoluzione dei contratti di locazione, ad eccezione di quello avente ad oggetto i locali destinati a farmacia, che non è stato disdetto. Ha revocato il decreto ingiuntivo ed ha condannato il Comune a pagare Euro 94.038,18 per l’importo dei canoni maturati fino al 31 gennaio 2009.

COGEMI propone sette motivi di ricorso per cassazione, illustrati da memoria.

Resiste il Comune di Velletri con controricorso.

Motivi della decisione

1.- La Corte di appello, premesso che la disdetta dei contratti di locazione è stata motivata sia con riferimento al fatto che l’utilizzazione dei locali poteva essere sopperita dalla disponibilità di altri locali da parte del Comune; sia con la necessità di una ristrutturazione degli impegni finanziari, a causa di una situazione di grave difficoltà economica per l’ente, che è successivamente sfociata nello stato di dissesto, ha ritenuto ingiustificata la prima ragione del recesso, poichè la possibilità di utilizzare locali propri per la sede delle attività pubbliche ben avrebbe potuto essere tenuta presente dal Comune alla data della conclusione dei contratti di locazione.

Ha invece ritenuto giustificata la situazione di grave disagio economico, sul rilievo che essa è frutto di attività complessa e di un concorso di volontà che non consente di equipararne la causa alle manifestazioni di volontà delle persone fisiche e che essa ha imposto al Comune di adottare, nell’interesse dell’intera comunità amministrata, tutti i provvedimenti idonei a ridurre la spesa pubblica, ed a ristrutturare gli impegni finanziari sopprimendo quelli non collegati al perseguimento di inderogabili finalità istituzionali, sulla base di valutazioni diverse da quelle possibili alla data della conclusione del contratto.

2. – Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione della L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 27 e motivazione illogica, contraddittoria ed insufficiente, quanto alla sussistenza dei gravi motivi per il recesso anticipato.

Assume che la Corte di appello non ha considerato che la dichiarazione del Comune di poter utilizzare altri locali per le finalità soddisfatte da quelli già presi in locazione esclude di per sè che l’ente fosse oggettivamente impossibilitato a sostenere l’onere del pagamento dei canoni, poichè avrebbe potuto vendere o dare in locazione gli altri locali disponibili e così realizzare introiti senza incorrere nella violazione dei contratti in corso, essendo obbligo del conduttore di predisporre i mezzi per adempiere, se del caso mediante modifica della struttura aziendale (Cass. civ. n. 6090 del 2006).

Quanto poi alla locazione dell’immobile destinato a sede del teatro, l’avvenuta costruzione di un teatro nuovo – indicata quale grave motivo di disdetta della locazione – manifesta una scelta particolarmente onerosa e non certo tale da consentire un risparmio di spesa.

Conclude che il Comune ha dedotto a giustificazione del recesso non la soppressione delle attività alle quali aveva destinato i locali condotti in locazione, ma l’intento di esercitarle in locali propri, a tutto danno di essa locatrice e contravvenendo agli impegni presi.

2.1.- Con il secondo motivo denuncia ancora omessa od insufficiente motivazione, sul rilievo che la Corte di appello non ha tenuto conto del fatto che lo stato di dissesto del Comune è sopravvenuto alle dichiarazioni di recesso, comunicate il 29 luglio 2008, essendo stato dichiarato il 15 ottobre 2009.

2.2.- Con il terzo e il quarto motivo denuncia violazione della cit.

n. 392, art. 27 e vizi di motivazione, poichè la motivazione del recesso contenuta nelle lettere di disdetta è generica e prospetta come gravi motivi circostanze non indipendenti dalla volontà del conduttore, come deve dirsi delle difficoltà finanziarie genericamente addotte, senza ulteriori specificazioni.

Richiama la giurisprudenza di questa Corte secondo cui i gravi motivi di cui all’art. 27, non possono attenere alla soggettiva e unilaterale valutazione del conduttore circa l’opportunità o meno di proseguire nel rapporto, ma debbono consistere in eventi estranei alla sua volontà, imprevedibili alla data della conclusione del contratto e ad essa sopravvenuti, che siano tali da rendere particolarmente gravosa la prosecuzione del rapporto. Nella specie le esigenze di risanamento finanziario sono derivate da una censurabile gestione delle finanze comunali, cioè da fatto imputabile allo stesso conduttore.

2.3.- Con il quinto e il sesto motivo denuncia violazione delle norme che regolano i rapporti contrattuali instaurati dal Comune in regime di diritto privato, violazione del principio di legalità dell’azione autoritativa e del principio di tipicità degli atti amministrativi, là dove la sentenza impugnata ha ritenuto giustificato il recesso in considerazione delle esigenze di ristrutturazione della spesa pubblica, sul rilievo che ciò potrebbe valere con riferimento all’attività pubblica dell’ente, ma non agli impegni assunti in regime di diritto privato; che le difficoltà di bilancio impongono all’ente territoriale di adottare tutti i provvedimenti atti a contenere la spesa, ma non lo autorizzano a rendersi inadempiente alle obbligazioni civili regolarmente assunte. Sarebbe stato così consentito al Comune di fare ciò che non sarebbe permesso ad un privato cittadino, confondendo fra l’attività pubblica e autoritativa e l’attività di diritto privato degli enti pubblici, anche in violazione del principio di tipicità degli atti amministrativi e trascurando di considerare che le esigenze di tutela dell’interesse pubblico non consentono di sottrarsi ai principi del diritto privato, per cui le obbligazioni assunte debbono essere rispettate.

3.- I sei motivi, che possono essere congiuntamente esaminati perchè connessi, non sono fondati.

3.1.- Deve essere preliminarmente dichiarata inammissibile l’eccezione di cui al terzo motivo, circa la mancanza di specificità dei motivi addotti a giustificazione del recesso, perchè non risulta che la questione sia stata dedotta nelle competenti sedi di merito.

La sentenza impugnata non ne fa parola e la ricorrente non indica in quale sede e tramite quali atti essa avrebbe sollevato nel giudizio la suddetta eccezione che – richiedendo una valutazione di merito – non può essere sollevata per la prima volta in questa sede di legittimità.

3.2.- Manifestamente infondate sono poi alcune specifiche censure, quali quella che lo stato di dissesto del Comune di Velletri è stato dichiarato successivamente alla comunicazione del recesso (secondo motivo), e che il Comune avrebbe violato i principi del diritto amministrativo ed in particolare quello della tipicità degli atti amministrativi (quinto e sesto motivo).

A fondamento del recesso non è stato dedotto lo stato di dissesto, ma la situazione di grave difficoltà economica e l’esigenza di risanamento dei conti pubblici, per evitare di pervenire ad un tale stato: esigenza che ben può essere sorta molto prima della dichiarazione di dissesto, come ha evidentemente ritenuto la Corte di appello, con valutazione di merito, non suscettibile di riesame in questa sede.

L’esercizio del recesso dai tre contratti è avvenuto ai sensi della L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 27, quindi con atto che formalmente si presenta come atto di diritto privato. La circostanza che le motivazioni sottostanti alla scelta siano fondate sulla considerazione di interessi pubblici può rilevare in ordine ai criteri di valutazione circa la sussistenza dei gravi motivi del recesso, ma non pone alcun problema di legittimità formale degli atti di recesso.

3.3.- Il problema centrale posto dalla controversia è quello di accertare se, e fino a che punto, le difficoltà finanziarie in cui venga a trovarsi l’ente pubblico conduttore possano considerarsi grave motivo, idoneo a giustificare il recesso anticipato dal rapporto, ai sensi della cit. n. 392, art. 27, u.c., considerato che questa norma è ritenuta applicabile anche ai contratti stipulati dagli enti pubblici territoriali in qualità di conduttori (cfr.

Cass. civ. Sez. 3, 22 novembre 2000 n. 15082), pur se non è espressamente richiamata dall’art. 42 della legge stessa.

Con riferimento ai contratti di locazione fra privati la giurisprudenza ha più volte affermato che i gravi motivi di cui all’art. 27, possono essere ravvisati qualora si verifichino fatti indipendenti dalla volontà del conduttore, sopravvenuti alla data della conclusione del contratto ed imprevedibili a tale data, che rendano particolarmente gravosa – anche soltanto per ragioni di ordine economico – la prosecuzione del rapporto, imponendo al conduttore la modificazione della struttura aziendale o il ridimensionamento della sua attività (cfr. fra le tante, Cass. civ. 10 dicembre 1996 n. 10980; Cass. civ. 8 marzo 2007 n. 5328).

Nei rapporti privati i presupposti per l’esercizio del recesso anticipato ed i requisiti di involontarietà, imprevedibilità e sopravvenienza vanno quindi ravvisati non nel mutamento delle condizioni economiche o nella sopravvenuta incapacità di far fronte alle proprie obbligazioni, in sè e per sè considerate, ma nei fatti o nei comportamenti specificamente attinenti all’oggetto della locazione, che tali effetti abbiano provocato: andamento gravemente sfavorevole della congiuntura economica, o grave crisi economica e patrimoniale della casa madre, che abbiano richiesto la chiusura di una filiale o il ridimensionamento dell’attività sul territorio (Cass. Civ. 20 febbraio 2004 n. 3418; Cass. civ. 30 aprile 2005 n. 9023) e simili.

Si è specificato che la gravosità della prosecuzione deve essere valutata con riferimento alla situazione particolare del conduttore, ove questa richieda di ridimensionare la propria attività e di modificare le precedenti decisioni circa la locazione oggetto del contratto (Cass. civ. 20 marzo 2006 n. 6089).

Occorre ovviamente che le modificazioni siano imposte da esigenze esterne, e che non si tratti invece di scelte dello stesso conduttore, ispirate a criteri di mera convenienza (cfr. Cass. civ. 8 marzo 2007 n. 5328), trattandosi in questi casi di aspetti che il contraente è obbligato a valutare all’atto della conclusione del contratto.

Va rilevato peraltro che la prevedibilità o meno dei fatti dedotti quale grave motivo di recesso dalla locazione, così come la sopravvenienza e l’indipendenza di tali fatti dalla volontà del conduttore, costituiscono oggetto di apprezzamento in fatto, rimesso alla discrezionale valutazione del giudice di merito (Cass. civ. 24 settembre 2002 n. 13909), il quale deve tenere conto di tutte le caratteristiche del caso concreto, fra le quali assumono particolare rilievo le qualità soggettive del conduttore (Cass. civ. 18 giugno 2003 n. 9689).

Trattasi pertanto di valutazioni censurabili solo sotto il profilo degli eventuali vizi di motivazione.

Tenuto conto di tutti i principi e gli aspetti di cui sopra, è da ritenere che la sentenza impugnata abbia correttamente deciso, con sintetica ma congrua motivazione.

Nella specie la ricorrente non mette in questione l’imprevedibilità e la sopravvenienza della situazione di dissesto, assumendo per esempio che essa era già in essere alla data della conclusione dei contratti, ma ne contesta l’indipendenza dalla volontà dell’ente, senza peraltro dedurre e dimostrare che il passivo è stato prodotto o incrementato da comportamenti colposi od economicamente irresponsabili degli amministratori.

Contesta soprattutto il carattere giuridicamente necessitato della scelta di recedere dai contratti in corso, sul rilievo che le esigenza di risanamento delle finanze comunali non avrebbero potuto giustificare il mancato rispetto dei contratti in corso.

Ha correttamente motivato la Corte di appello, per contro, che le cause della formazione del passivo di un ente pubblico sono complesse e non attribuibili per deduzione immediata a causa imputabile al Comune. Trattasi spesso di passivi stratificatisi nel tempo, sotto la spinta delle più svariate esigenze, spesso incontenibili e ineludibili – quali l’esigenza di prestare comunque alla popolazione una serie di servizi essenziali, o di far fronte a calamità naturali, o situazioni congiunturali di carattere nazionale ed internazionale, ecc. – per cui la situazione di dissesto non è di per sè automaticamente equiparabile a causa dipendente dalla volontà dell’ente, nel senso in cui l’art. 27 legge n. 392 richiede che i gravi motivi siano indipendenti dalla volontà del conduttore.

Dipendente e necessitata è soprattutto, nel caso in esame, la scelta di procedere al risanamento, eliminando tutte le spese superflue, come ha correttamente motivato la Corte di appello, rilevando che "l’insorgenza per il Comune di una situazione di grave difficoltà economica gli impone (talvolta con gravi ipotesi sanzionatorie a carico degli amministratori) di adottare tutti quei provvedimenti atti a ridurre la spesa e tra questi debbono ritenersi rientranti quelli relativi a canoni di locazione di immobili adibiti ad uso per finalità non primarie e quindi derogabili dell’Ente;….così come gli impone di liberarsi da tutti gli oneri che non deve obbligatoriamente sopportare per il perseguimento di inderogabili finalità istituzionali".

La decisione è conforme al principio enunciato da questa, Corte in un caso analogo a quello in esame, in cui è stato ritenuto legittimo il recesso esercitato dal Comune di Napoli da un contratto di locazione immobiliare non destinato a finalità istituzionali, recesso che era stato motivato solo in base allo stato di dissesto finanziario, che imponeva la riduzione delle spese per i servizi non essenziali (Cass. civ. 8 gennaio 2005 n. 262).

Non si tratta della sovrapposizione ad un rapporto di diritto privato di principi pubblicistici – come assume la ricorrente – ma solo della valutazione dei gravi motivi del recesso con riferimento alla peculiare qualità del conduttore, in applicazione dei principi enunciati da questa Corte (Cass. (Ndr: testo originale non comprensibile).

4.- Il settimo motivo di ricorso è inammissibile per irrilevanza, perchè concerne una motivazione aggiuntiva circa la legittimità del recesso, che sarebbe venuta in considerazione solo in caso di accoglimento dei precedenti motivi.

5.- Il ricorso deve essere rigettato.

6. Considerata la natura della controversia e delle questioni trattate, nonchè la difformità delle soluzioni adottate in sede di merito, che può avere ingenerato incertezza sull’individuazione della corretta soluzione del caso, si ravvisano giusti motivi per compensare le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 23 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2012

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