T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, Sent., 10-01-2012, n. 206

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

I)- La Commissione centrale ex art.10 della L. n. 82 del 1991 ( di seguito: Commissione ovvero Commissione centrale), con la delibera in epigrafe, ha disposto la revoca del Programma speciale di Protezione cui era stato ammesso il (collaboratore di giustizia) ricorrente, estendendola anche ai suoi congiunti.

Nel provvedimento impugnato di cessazione dello speciale regime di protezione, pur dandosi atto del contributo collaborativo prestato, si fa riferimento alla reiterata violazione degli obblighi comportali assunti dal Collaboratore che hanno resi necessari 14 trasferimenti in altrettante località protette. A tale componente motivazionale dell’atto vengono, poi, associati altri elementi di rilievo, quali:

– il fatto che l’interessato – dopo aver ospitato nel domicilio protetto la fidanzata, già rinunciataria alle misure tutorie, con cui ha avuto violente liti – ha rifiutato l’ennesimo trasferimento in altra località protetta perchè ritenuta troppo lontana dal luogo di residenza dei figli;

– il fatto che il protetto dilapida ordinariamente l’assegno di mantenimento mensile nel gioco del video poker.

Dunque il predetto mantiene, nel complesso, un contegno incompatibile con lo status di persona sottoposta al P.s.p. tale da vanificarne le finalità di sicurezza causando, inoltre, un aggravio sensibile dei costi di gestione e tale da indurre la Commissione a discostarsi, in adesione all’indirizzo manifestato dalla Direzionale Nazionale antimafia ( D.n.a.), dal parere (contrario alla revoca) reso dalla Direzione distrettuale antimafia (D.d.a.) e cioè dall’Autorità originariamente proponente l’ammissione del Collaboratore a P.s.p.

Avverso la delibera in questione insorge l’interessato che deduce, col ricorso introduttivo dell’odierno giudizio, la violazione delle norme di cui al capo III della L. n. 241 del 1990 (artt.7,8, 9, 10, 10 bis, 11 e 12) e, con residuo mezzo di gravame, la violazione dell’art.13 quater della L. n. 82 del 1991 ( di seguito anche: Legge) nonché vari profili di eccesso di potere, non avendo egli mai commesso alcun fatto che comporta la revoca obbligatoria delle speciali misure di protezione di cui gode né la commissione di delitti indicativi di un suo reinserimento nel circuito criminale. Soggiunge che l’aggravio dei costi di gestione del Programma avrebbe dovuto essere ponderato con l’interesse al mantenimento del contributo collaborativo ed alla lotta alla criminalità.

L’evocata amministrazione dell’Interno non si è costituita in giudizio.

Il 10.6.2011 l’interessato ha depositato memoria conclusionale in cui, per la prima volta, deduce che la Commissione avrebbe dovuto anche valutare, ai fini della disposta revoca, la situazione di pericolo e rischio per l’incolumità personale sua e dei suoi familiari.

All’udienza del 15.12.2011 la causa è stata trattenuta per la relativa decisione.

II)- Il ricorso non convince.

II.1)- E’ infondata la doglianza prospettata col primo mezzo di gravame ed imperniata sulla violazione degli artt.7 e seguenti della L. n. 241 del 1990.

Per effetto dell’art. 13, secondo comma, della legge sul procedimento amministrativo 07.09.1990, n. 241, le norme di cui al capo III non si applicano ai procedimenti previsti dal D.L. n. 8 del 1991, convertito nella L. n. 82 del 1991 e successive modificazioni. Tale norma disciplina, tra l’altro, gli interventi per la protezione di coloro che collaborano a fini di giustizia. I principi di trasparenza e pubblicità del procedimento amministrativo, che ricevono codificazione all’art. 1 della L. n. 241 del 1990, diventano cedevoli in presenza di superiori interessi dell’Ordinamento afferenti all’ ordine pubblico, alla sicurezza dello Stato ed alle scelte di repressione di determinate figure di reato. L’esclusione dalla partecipazione al procedimento amministrativo – che si realizza nella cognizione di atti, degli accertamenti e verifiche poste in essere dall’ Amministrazione o dei contributi di altri partecipanti e nella possibilità di interloquire in contraddittorio – discende, inoltre, da ulteriori limiti alla pubblicità dell’agire dell’ Amministrazione introdotti dall’art. 10, comma 2 ter, della L. n. 82 del 1991. Tale ultima disposizione, nel definire i poteri e la competenza della Commissione Centrale per l’applicazione e la definizione delle speciali misure di protezione, stabilisce che "sono coperti da segreto d’ufficio, oltre alla proposta di cui all’art. 11, tutti gli atti e provvedimenti comunque pervenuti alla commissione centrale, gli atti e provvedimenti della commissione stessa, salvi gli estratti essenziali e le attività svolte in attuazione delle misure di protezione". A detti atti e provvedimenti, salvi gli estratti essenziali, si applicano inoltre "le norme per la tenuta e la circolazione degli atti classificati, con classifica di segretezza adeguata al contenuto di ciascun atto". Alla stregua di dette previsioni la conoscenza degli atti afferenti ai procedimenti di competenza della Commissione istituita dall’art. 10 della L. n. 82 del 1991 resta limitata ai soli soggetti preposti alla trattazione (segreto d’ufficio quale regolamentato dall’art. 15 del L. n. 3 del 1957 e successive modificazioni) e, ove sia stata apposta classifica di segretezza, ai soli soggetti in possesso di apposito nulla osta (n.o.s.), corrispondente al grado di classifica dell’atto, rilasciato dall’Autorità Nazionale di Sicurezza.

L’art. 13, secondo, comma della L. n. 241 del 1990 si riferisce quindi, con ampia valenza precettiva, a tutti i procedimenti amministrativi riconducibili nell’area applicativa della L. n. 82 del 1991 e quindi, per ciò che attiene i collaboratori di giustizia, sia ai momenti di scelta e di applicazione delle speciali misure di protezione, sia agli eventuali interventi di carattere economico per soddisfare le immediate esigenze di vita dei soggetti interessati dai programmi stessi, comprese le erogazioni per il loro reinserimento sociale. Si tratta, infatti, di determinazioni rimesse alla prudente valutazione discrezionale dell’Amministrazione che, anche nel loro contenuto economico, si collegano strettamente alle esigenze di protezione del collaboratore di giustizia e, per tale aspetto, non si sottraggono alle esigenze di riservatezza postulate dalle disposizioni in precedenza richiamate (cfr., sul principio, ex plurimis, Cns. St., nr. 764 del 2008 e nr. 7387 del 2006).

II.2) – Anche il residuo mezzo di gravame non persuade.

L’ammissione allo speciale programma di protezione (comprendente, se necessario, anche misure di assistenza) dei collaboratori di giustizia e dei loro prossimi congiunti presuppone:

– che la collaborazione e le dichiarazioni rese devono avere carattere di intrinseca attendibilità. Devono altresì avere carattere di novità o di completezza o per altri elementi devono apparire di notevole importanza per lo sviluppo delle indagini o ai fini del giudizio ovvero per le attività di investigazione sulle connotazioni strutturali, le dotazioni di armi, esplosivi o beni, le articolazioni e i collegamenti interni o internazionali delle organizzazioni criminali di tipo mafioso o terroristico-eversivo o sugli obiettivi, le finalità e le modalità operative di dette organizzazioni;

– l’esistenza, nei loro confronti, di uno stato di grave ed attuale pericolo per effetto della collaborazione resa, non altrimenti fronteggiabile con le ordinarie misure di tutela adottabili ai sensi delle norme già in vigore.

Depongono in tal senso – nella loro vecchia formulazione – gli artt. 9, 10 e 11 della n. 82 del 1991 recante "Nuove norme in materia di sequestri di persona a scopo di estorsione e per la protezione dei testimoni di giustizia, nonché per la protezione e il trattamento sanzionatorio di coloro che collaborano con la giustizia".

È anche vero che l’art. 12 della menzionata legge, dopo aver indicato – al primo comma della nuova stesura normativa – gli oneri documentali ed informativi ("attestazione riguardante il proprio stato civile, di famiglia e patrimoniale, gli obblighi a loro carico derivanti dalla legge, da pronunce dell’autorità o da negozi giuridici, i procedimenti penali, civili e amministrativi pendenti, i titoli di studio e professionali, le autorizzazioni, le licenze, le concessioni e ogni altro titolo abilitativi di cui siano titolari"), ai quali devono assolvere, nei confronti dell’Autorità proponente, le persone nei cui confronti è stata avanzata proposta di ammissione alle speciali misure di protezione, dispone poi – al secondo comma, come sostituito ed integrato dall’art.5 della L. n. 45 del 2001 – che le speciali misure di protezione sono sottoscritte dagli interessati, i quali si impegnano personalmente ad "osservare le norme di sicurezza prescritte e collaborare attivamente all’esecuzione delle misure", ad "adempiere agli obblighi previsti dalla legge e alle obbligazioni contratte", a "non rilasciare a soggetti diversi dall’Autorità giudiziaria o dalle forze di Polizia dichiarazioni concernenti fatti comunque di interesse per i procedimenti" in relazione ai quali hanno prestato e prestano la loro attività collaborativa. Al fine di dare attuazione all’art. 10, comma 3, della L. n. 82 del 1991 (che demandava ad un decreto del Ministero dell’Interno, di concerto con il Ministro di grazia e giustizia, sentiti il Comitato nazionale dell’ordine e della sicurezza pubblica e la Commissione centrale, di stabilire le misure di protezione e di assistenza a favore delle persone ammesse allo speciale programma di protezione, nonché i criteri di formulazione del programma medesimo e le modalità di attuazione), è stato emanato poi il "Regolamento concernente le speciali misure di protezione previste per i collaboratori di giustizia e i testimoni" (D.I. n.161 del 2004) che prevede:

– all’art.9, gli obblighi delle persone protette (che vengono compendiati in un atto sottoscritto dall’interessato che, così facendo, dà atto di essere stato informato delle conseguenze derivanti dalla loro inosservanza, nonché di quelle derivanti dalle condotte di cui all’art. 13-quater, comma 2, della L. n. 82 del 1991);

– all’art.11: che le misure speciali di protezione possono altresì essere revocate o non prorogate in caso di inosservanza degli impegni assunti da parte dei soggetti ad esse sottoposti in relazione a quanto disposto all’articolo 13-quater, commi 1 e 2, della L. n. 82 del 1991 e negli altri casi in cui la legge non prevede espressamente l’obbligatorietà della revoca.

Tale ultima norma (art.13 quater) dispone, fra l’altro:

a) che le misure di protezione, che sono a termine, possono essere revocate modificate, come accennato, in relazione "all’attualità del pericolo, alla sua gravità e alla idoneità delle misure adottate, nonché in relazione alla condotta delle persone interessate e alla osservanza degli impegni assunti a norma di legge (comma 1);

b) che costituiscono fatti che comportano la revoca delle speciali misure di protezione l’inosservanza degli impegni assunti a norma dell’art. 12, comma 2, lett. b) ed e), nonché la commissione di delitti indicativi del reinserimento del soggetto nel circuito criminale" comma 2 , primo periodo);

c) che, invece, costituiscono fatti valutabili solo ai fini della revoca o della modifica delle speciali misure di protezione: "l’inosservanza degli altri impegni assunti a norma dell’art. 12 cit., la commissione di reati indicativi del mutamento o della cessazione del pericolo conseguente alla collaborazione, la rinuncia espressa alle misure, il rifiuto di accettare l’offerta di adeguate opportunità di lavoro o di impresa, il ritorno non autorizzato nei luoghi dai quali si è stati trasferiti, nonché ogni azione che comporti la rivelazione e la divulgazione dell’identità assunta, del luogo di residenza e delle altre misure applicate" (comma 2, secondo periodo).

Dal plesso normativo costituito dalla Legge e dal Regolamento e, con specifico riguardo al gravame oggetto del corrente scrutinio, dalle puntuali disposizioni in precedenza richiamate, traggono giuridico alimento e fondamento una serie di principi:

– le Speciali misure di protezione (al pari del P.s.p.) danno vita ad un contratto ad oggetto pubblico nei cui confronti trovano applicazione i principi generali del codice civile in materia contrattuale, e segnatamente quelli di buona fede, lealtà, correttezza. Sicché, non c’è dubbio che il collaboratore/testimone di giustizia debba rispettare le misure di sicurezza (la cui scelta e attuazione compete non al protetto ma alle Forze di polizia preposte) e collaborare attivamente alla loro applicazione nel rispetto dei canoni essenziali della buona fede e della correttezza;

– la situazione di pericolo ( e la relativa gravità ed attualità) per l’incolumità del testimone/collaboratore costituisce il parametro cardine e fondamentale che presiede sia la concessione dello speciale regime di protezione (sia esso attuato attraverso il P.s.p. che con Speciali misure protettive) che la relativa modificazione. In particolare la Legge stabilisce (art.13 quater, c. 2, ultimo periodo) che "Nella valutazione ai fini della revoca o della modifica delle speciali misure di protezione, specie quando non applicate mediante la definizione di uno speciale programma, si tiene particolare conto del tempo trascorso dall’inizio della collaborazione oltre che della fase e del grado in cui si trovano i procedimenti penali nei quali le dichiarazioni sono state rese e delle situazioni di pericolo di cui al comma 6 dell’articolo 9". Essendo la situazione di pericolo definita mediante rinvio all’art. 9, co. 6, occorre che nella sua valutazione si tenga doverosamente "conto, oltre che dello spessore delle condotte di collaborazione o della rilevanza e qualità delle dichiarazioni rese, anche delle caratteristiche di reazione del gruppo criminale in relazione al quale la collaborazione o le dichiarazioni sono rese, valutate con specifico riferimento alla forza di intimidazione di cui il gruppo è localmente in grado di valersi";

– con l’eccezione dei casi di revoca obbligatoria (estranei alla fattispecie in esame), qualsiasi altra modifica del regime di protezione speciale fruito (incluso quello della mancata proroga dello stesso) richiede una valutazione comparativa di due interessi essenziali in gioco: quello dello Stato a conservare la collaborazione e quello del privato alla vita e all’incolumità personale.

Rimane fermo il postulato che l’eventuale attualità dello stato di pericolo non giustifica, dunque, di per sé sola, la fruibilità di uno speciale programma di protezione da parte degli interessati, allorché il loro comportamento non solo renda superflue le speciali misure di protezione accordate, ma risulti in oggettivo contrasto con le finalità perseguite dalla stessa L. n. 82 del 1991 e successive modifiche e integrazioni.

Quest’ultima, invero, non accorda alle persone ammesse allo speciale programma di protezione una sorta di autorizzazione a commettere atti illeciti, vincolandole anzi al rigoroso rispetto della legge, indipendentemente dagli obblighi specificatamente assunti all’atto della sottoscrizione del programma medesimo.

L’espressa previsione contenuta nell’art. 11 del D.M. n. 161 del 2004, che consente alla Commissione centrale di disporre la modifica o la revoca del programma in presenza di inosservanze agli impegni assunti a norma dell’art. 12 cit. o del compimento di fatti costituenti reato o per altra ragione comunque connessa alla condotta di vita del soggetto interessato, si limita pertanto a dare concretezza e specificazione ad un obbligo morale e giuridico già insito nella L. n. 82 del 1991, la cui "ratio" giustificatrice non è certo quella di esonerare da responsabilità gli autori di comportamenti illeciti, ma di offrire adeguata protezione e sostegno economico a chi dimostri la seria intenzione di collaborare con la giustizia nella lotta dello Stato contro il crimine e, in particolare, contro la delinquenza di tipo mafioso.

Gli obblighi volontariamente assunti dagli interessati attraverso la sottoscrizione dello speciale programma di protezione rafforzano, pertanto, l’impegno assunto dagli stessi già al momento in cui decidono di prestare la propria attività collaborativa con la giustizia e con gli apparati statali preposti istituzionalmente a combattere il crimine organizzato.

La revoca o la modifica dell’originario programma speciale di protezione non è, dunque, una specie di prassi seguita dalla Commissione centrale in presenza della constatata inosservanza agli obblighi derivanti dal programma di protezione stesso, ma rappresenta, come si è detto, diretta conseguenza, prevista sia dalla legge che dal richiamato Regolamento attuativo, dell’inosservanza all’impegno assunto dall’interessato sin dal momento della sua decisione – di offrire il pratico apporto collaborativo alla giustizia – e confermato dall’atto della sottoscrizione prevista dal citato art. 12, comma secondo, della L. 15 marzo 1991, n. 82.

Alla stregua delle considerazioni che precedono, l’operato dell’Amministrazione rimane invulnerato dalle deduzioni prospettate da parte ricorrente col mezzo di gravame oggetto di scrutinio, atteso che essa si limita:

a) a precisare di non aver commesso alcuna violazione comportamentale che importa la revoca obbligatoria del Programma; ma questa è doglianza non pertinente al caso di specie in cui viene in considerazione non una revoca obbligatoria ma una revoca facoltativa del P.s.p.;

b) a sostenere che le liti con la fidanzata, la dilapidazione dell’assegno di mantenimento e l’aggravio dei costi di gestione del Programma non sono elementi sufficienti a giustificare la disposta revoca alla luce del notevole contributo collaborativo prestato; ma così facendo omette di considerare non solo le ulteriori condotte violative degli obblighi comportamentali che hanno resi necessari (non uno, ma) 14 trasferimenti in altrettante località protette, ma anche che la Commissione ha tenuto in debita considerazione le propalazioni effettuate tant’è che ha chiarito ( nel terzultimo periodo del preambolo dell’atto gravato) che l’incontestato apporto collaborativo, in sede di bilanciamento degli interessi coinvolti, recede a fronte di condotte del tutto incompatibili con lo status di persona sottoposta al P.s.p.

II.3)- Diversa questione è quella relativa alla censura, invero appena enunciata, nella memoria conclusionale depositata il 10.6.2011 in cui , per la prima volta, si accenna all’omessa considerazione, nell’economia dell’atto gravato, della situazione di pericolo per l’incolumità del titolare del Programma e dei suoi familiari; aspetto questo che introduce tematica di diverso spessore che però esula dal presente giudizio essendo stata detta doglianza irritualmente prospettata con memoria e non atto, debitamente e tempestivamente, notificato all’amministrazione.

III)- In conclusione il ricorso è infondato e da respingere.

Non v’è luogo a pronuncia sulle spese non essendosi l’evocata amministrazione costituita in giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter) respinge il ricorso in epigrafe.

Nulla per le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 dicembre 2011 con l’intervento dei magistrati:

Linda Sandulli, Presidente

Pietro Morabito, Consigliere, Estensore

Roberto Proietti, Consigliere

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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