T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, Sent., 10-01-2012, n. 202

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il ricorrente, ex appartenente all’associazione mafiosa del territorio niscemese è stato sottoposto ad un piano provvisorio di protezione unitamente ai suoi familiari, in considerazione della collaborazione offerta all’Autorità giudiziaria.

Successivamente alla sottoposizione al citato piano provvisorio di protezione, il suddetto è stato segnalato all’Autorità giudiziaria per aver acquistato degli oggetti di dubbia provenienza. Assume lo stesso di aver chiarito che tali oggetti erano stati acquistati da uno sconosciuto.

La Commissione centrale, al contrario, ha disposto la revoca del piano provvisorio di protezione precedentemente disposto in favore del ricorrente e dei suoi familiari (la convivente Altamore ed i figli di questa), proprio in ragione della segnalazione relativa all’episodio sopra descritto.

Ritenendo erronee ed illegittime le determinazioni assunte dalla Commissione centrale che, tra l’altro, hanno esposto gli interessati ad un elevato rischio per la loro incolumità personale, il B. ha proposto ricorso dinanzi al TAR del Lazio, avanzando le domande indicate in epigrafe.

L’Amministrazione resistente, costituitasi in giudizio, ha sostenuto l’infondatezza del ricorso e ne ha chiesto il rigetto.

All’udienza del 23 giugno 2011 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

Motivi della decisione

1. La parte ricorrente ha avanzato le censure di seguito esposte avverso gli atti impugnati:

a) violazione ed erronea applicazione della L. 15 marzo 1991, n. 82; violazione ed erronea applicazione della L. n. 241 del 1990 e del principio della partecipazione al procedimento amministrativo; violazione del diritto di difesa del ricorrente, illogicità e ingiustizia: – la delibera impugnata è un atto autoritativo unilaterale illegittimamente assunto senza coinvolgere l’interessato e senza consentirgli di partecipare al relativo procedimento;

b) violazione ed erronea applicazione della L. 15 marzo 1991, n. 82 sotto altro aspetto; eccesso di potere per errore di motivazione, carenza di istruttoria, travisamento dei fatti, illogicità e ingiustizia, contraddittorietà: – la delibera impugnata è stata assunta senza considerare che le condotte penali contestate al ricorrente non avevano costituito oggetto di accertamento nelle competenti sedi giudiziarie; – nel caso di specie, la Commissione centrale ha omesso di verificare la sussistenza dei presupposti che giustificano la revoca delle misure di protezione precedentemente disposte in favore del ricorrente e dei suoi familiari;

c) eccesso di potere per errore di motivazione, carenza di istruttoria, travisamento dei fatti e difetto dei presupposti: – il provvedimento impugnato si basa sul presupposto della violazione degli impegni assunti mediante la commissione di delitti indicativi del reinserimento nel circuito criminale, secondo quanto previsto dall’art. 13 quater della L. n. 82 del 1991; – in realtà, i comportamenti posti a base del provvedimento contestato non possono dirsi indice inequivocabile della sua volontà di rientrare nel circuito criminale, poiché si tratta di condotte che, da una parte, avrebbero dovuto ancora essere accertate nelle competenti sedi penali, e, dall’altra, non rivestivano carattere di gravità tale da essere qualificate come reati sintomatici del suo reingresso nel circuito della criminalità organizzata.

2. L’Amministrazione resistente si è difesa in giudizio depositando note e documenti relativi alla vicenda, contestando le censure avanzate dalla parte ricorrente, affermando l’infondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto.

3. E’ opportuno, prima di valutare le censure avanzate dalla parte ricorrente, esaminare il quadro normativo dettato in materia di protezione dei collaboratori e testimoni di giustizia.

La materia trova la sua disciplina primaria nel D.L. 15 gennaio 1991, n. 8 (recante Nuove norme in materia di sequestri di persona a scopo di estorsione e per la protezione dei testimoni di giustizia, nonché per la protezione e il trattamento sanzionatorio di coloro che collaborano con la giustizia) pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 15 gennaio 1991, n. 12 e convertito in legge, con modificazioni, con L. 15 marzo 1991, n. 82 (in G.U. 16 marzo 1991, n. 64), come modificato dalla L. 13 febbraio 2001, n. 45.

La disciplina dettata in materia, è completata dalla normativa di rango secondario contenuta nel D.M. 23 aprile 2004, n. 161 (recante il Regolamento ministeriale concernente le speciali misure di protezione previste per i collaboratori di giustizia e i testimoni, ai sensi dell’articolo 17-bis del D.L. 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla L. 15 marzo 1991, n. 82, introdotto dall’articolo 19 della L. 13 febbraio 2001, n. 45), emanato dal Ministero dell’Interno (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 25 giugno 2004, n. 147).

Per quanto concerne la protezione dei Collaboratori di giustizia, il Capo II, del D.L. n. 8 del 1991, all’articolo 9 (Condizioni di applicabilità delle speciali misure di protezione) stabilisce che alle persone che tengono le condotte o che si trovano nelle condizioni previste dai commi 2 e 5 del medesimo articolo 9, possono essere applicate speciali misure di protezione idonee ad assicurarne l’incolumità provvedendo, ove necessario, anche alla loro assistenza.

Le speciali misure di protezione sono applicate: 1) quando risulta la inadeguatezza delle ordinarie misure di tutela adottabili direttamente dalle autorità di pubblica sicurezza; 2) se si tratta di persone detenute o internate, dal Ministero della giustizia – Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, e risulta altresì che le persone nei cui confronti esse sono proposte versano in grave e attuale pericolo per effetto di talune delle condotte di collaborazione aventi le caratteristiche indicate nel comma 3 del medesimo articolo 9 e tenute relativamente a delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine costituzionale ovvero ricompresi fra quelli di cui all’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale e agli articoli 600-bis, 600-ter, 600-quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’articolo 600-quater.1, e 600-quinquies del codice penale.

Ai fini dell’applicazione delle speciali misure di protezione, il terzo comma dell’articolo 9 precisa che assumono rilievo la collaborazione o le dichiarazioni rese nel corso di un procedimento penale, le quali devono avere carattere di intrinseca attendibilità; devono, altresì, avere carattere di novità o di completezza o per altri elementi devono apparire di notevole importanza per lo sviluppo delle indagini o ai fini del giudizio ovvero per le attività di investigazione sulle connotazioni strutturali, le dotazioni di armi, esplosivi o beni, le articolazioni e i collegamenti interni o internazionali delle organizzazioni criminali di tipo mafioso o terroristico-eversivo o sugli obiettivi, le finalità e le modalità operative di dette organizzazioni. Nella determinazione delle situazioni di pericolo si tiene conto, oltre che dello spessore delle condotte di collaborazione o della rilevanza e qualità delle dichiarazioni rese, anche delle caratteristiche di reazione del gruppo criminale in relazione al quale la collaborazione o le dichiarazioni sono rese, valutate con specifico riferimento alla forza di intimidazione di cui il gruppo è localmente in grado di valersi (art. 9, comma 6).

I contenuti delle speciali misure di protezione sono stabiliti dall’articolo 13 del D.L. n. 8 del 1991 e dall’art. 7 del D.M. n. 161 del 2004, mentre l’articolo 9, comma 4 del medesimo decreto legge prevede che se le speciali misure di protezione indicate nell’articolo 13, comma 4, non risultano adeguate alla gravità ed attualità del pericolo, esse possono essere applicate anche mediante la definizione di uno speciale programma di protezione i cui contenuti sono indicati nell’articolo 13, comma 5 del medesimo decreto legge e nell’art. 8 del D.M. n. 161 del 2004, comprendendo, tra le altre, misure di assistenza personale ed economica (cfr. art. 13, commi 6 e ss., D.L. n. 8 del 1991).

Le speciali misure di protezione di cui al comma 4 dell’articolo 9 possono essere applicate anche a coloro che convivono stabilmente con le persone indicate nel comma 2 del citato articolo 13 nonché, in presenza di specifiche situazioni, anche a coloro che risultino esposti a grave, attuale e concreto pericolo a causa delle relazioni intrattenute con le medesime persone.

L’ammissione alle speciali misure di protezione, oltre che i contenuti e la durata di esse, sono deliberati dalla Commissione centrale di cui all’articolo 10, comma 2, del D.L. n. 8 del 1991, su proposta formulata dalla competente Autorità giudiziaria inquirente o dal Capo della Polizia-Direttore Generale della Pubblica Sicurezza (cfr. artt. 2 e ss., D.M. n. 161 del 2004), ai sensi dell’articolo 11 del citato decreto legge, il quale prevede i casi in cui è possibile chiedere un parere, rispettivamente, al Procuratore Nazionale Antimafia ed ai Procuratori Generali presso le Corti di Appello interessati, o al competente Procuratore della Repubblica.

L’ammissione alle speciali misure di protezione avviene all’esito dell’istruttoria del caso concreto e previa assunzione da parte delle persone protette degli impegni di cui all’art. 12 del D.L. n. 8 del 1991, specificati nell’art. 9, del D.M. n. 161 del 2004.

L’art. 10, del D.M. n. 161 del 2004, disciplina la modifica e la verifica periodica delle speciali misure di protezione, precisando, in particolare, che: – la Commissione centrale può modificare le speciali misure di protezione ed il programma speciale di protezione attraverso l’introduzione, la modificazione, l’integrazione, l’abrogazione o la sospensione delle misure tutorie, di quelle assistenziali, nonché di quelle relative agli impegni previsti a carico degli interessati (comma 1); – le speciali misure di protezione e il programma speciale di protezione sono a termine (comma 7) ed il termine delle misure e dei programmi speciali di protezione – non inferiore a sei mesi e non superiore ai cinque anni – è fissato dalla Commissione centrale con lo stesso provvedimento con cui vengono adottati; in caso di mancata indicazione il termine è di un anno dalla data del provvedimento (comma 8).

L’art. 13, comma 1, del D.L. n. 8 del 1991 e l’art. 11 del D.M. n. 161 del 2004, prevedono che quando risultano situazioni di particolare gravità e vi è richiesta dell’autorità legittimata a formulare la proposta, la Commissione delibera, anche senza formalità e, comunque, entro la prima seduta successiva alla richiesta, un piano provvisorio di protezione dopo aver acquisito, ove necessario, informazioni dal Servizio centrale di protezione di cui all’articolo 14 del D.L. n. 8 del 1991 o per il tramite di esso.

La richiesta contiene, oltre agli elementi di cui all’articolo 11, comma 7, del citato decreto legge, la indicazione, quanto meno sommaria, dei fatti sui quali il soggetto interessato ha manifestato la volontà di collaborare e dei motivi per i quali la collaborazione è ritenuta attendibile e di notevole importanza; e specifica, inoltre, le circostanze da cui risultano la particolare gravità del pericolo e l’urgenza di provvedere.

I contenuti del piano provvisorio di protezione sono specificati nell’art. 6 del D.M. n. 161 del 2004.

Il provvedimento con il quale la commissione delibera il piano provvisorio di protezione cessa di avere effetto se, decorsi centottanta giorni, l’Autorità legittimata a formulare la proposta di cui all’articolo 11, del D.L. n. 8 del 1991, non ha provveduto a trasmetterla e la Commissione non ha deliberato sull’applicazione delle speciali misure di protezione osservando le ordinarie forme e modalità del procedimento. Al presidente della Commissione è data facoltà di disporre la prosecuzione del piano provvisorio di protezione per il tempo strettamente necessario a consentire l’esame della proposta da parte della commissione medesima.

Le speciali misure di protezione, oltre ad essere a termine, anche se di tipo urgente o provvisorio a norma dell’articolo 13, comma 1, del D.L. n. 8 del 1991, possono essere revocate o modificate, ai sensi dell’art. 13 quater del medesimo decreto legge, in relazione ai seguenti fatti o circostanze: – attualità del pericolo; – gravità del pericolo e idoneità delle misure adottate; – condotta delle persone interessate; – osservanza degli impegni assunti a norma di legge.

L’art. 13 quater, comma 2, del D.L. n. 8 del 1991, prevede ipotesi di revoca vincolata e ipotesi di revoca facoltativa.

In particolare, costituiscono fatti che comportano la revoca delle speciali misure di protezione: 1) l’inosservanza degli impegni assunti a norma dell’articolo 12, comma 2, lettere b) ed e); 2) la commissione di delitti indicativi del reinserimento del soggetto nel circuito criminale.

Costituiscono, invece, fatti valutabili ai fini della revoca o della modifica delle speciali misure di protezione: 1) l’inosservanza degli altri impegni assunti a norma dell’articolo 12; 2) la commissione di reati indicativi del mutamento o della cessazione del pericolo conseguente alla collaborazione; 3) la rinuncia espressa alle misure; 4) il rifiuto di accettare l’offerta di adeguate opportunità di lavoro o di impresa; 5) il ritorno non autorizzato nei luoghi dai quali si è stati trasferiti; 6) ogni azione che comporti la rivelazione o la divulgazione dell’identità assunta, del luogo di residenza e delle altre misure applicate.

L’art. 13 quater, comma 2, del D.L. n. 8 del 1991, prevede che nella valutazione da eseguire ai fini della revoca o della modifica delle speciali misure di protezione, specie quando non applicate mediante la definizione di uno speciale programma, si deve tenere particolare conto del tempo trascorso dall’inizio della collaborazione oltre che della fase e del grado in cui si trovano i procedimenti penali nei quali le dichiarazioni sono state rese e delle situazioni di pericolo di cui al comma 6 dell’articolo 9 del medesimo decreto legge.

Riguardo alla cessazione delle misure di protezione, l’articolo 11 del D.M. n. 161 del 2004, precisa che le speciali misure di protezione, anche se di tipo urgente o provvisorio ai sensi dell’articolo 13, comma 1, della L. 15 marzo 1991, n. 82, sono revocate o non sono prorogate nei casi espressamente previsti dalla legge ovvero quando vengono meno l’attualità e la gravità del pericolo o appaiono idonee altre misure adottate. Le misure speciali di protezione possono altresì essere revocate o non prorogate in caso di inosservanza degli impegni assunti da parte dei soggetti ad esse sottoposti in relazione a quanto disposto all’articolo 13-quater, commi 1 e 2, della L. 15 marzo 1991, n. 82 e negli altri casi in cui la legge non prevede espressamente l’obbligatorietà della revoca.

A tal fine, il Prefetto e il Servizio centrale di protezione informano la Commissione centrale, l’Autorità proponente e il Procuratore nazionale antimafia o il Procuratore generale presso la Corte d’appello interessato di ogni comportamento o circostanza che possono integrare i presupposti per la revoca delle misure speciali di protezione.

La Commissione centrale, una volta ricevuta dal Servizio centrale di protezione o dal Prefetto la nota informativa di cui al comma 2 del citato articolo 11 del Regolamento, chiede all’Autorità proponente, al Procuratore nazionale antimafia o al Procuratore generale presso la Corte d’appello interessato di esprimere un parere in ordine alla modifica o alla revoca delle speciali misure di protezione, in conseguenza dei fatti segnalati. Qualora le predette Autorità non abbiano emesso il parere entro trenta giorni dalla richiesta della Commissione centrale, quest’ultima decide nel merito, ove non ritenga di prorogare ulteriormente il termine. In ogni caso, il comma 4 del medesimo articolo 11 precisa che il parere reso dall’Autorità proponente non è vincolante.

Con motivata richiesta l’Autorità proponente può indurre la Commissione a verificare la permanenza delle condizioni che hanno determinato l’applicazione delle speciali misure di protezione, provvedendo, se necessario, alla modifica o alla revoca delle medesime (cfr. art. 11, comma 5, D.M. n. 161 del 2004).

Le misure speciali di protezione possono essere modificate o revocate prima della scadenza, d’ufficio o su richiesta degli interessati, anche per avviare il reinserimento sociale e lavorativo delle persone protette, tenuto conto degli impegni processuali, della esposizione a pericolo, della compatibilità delle iniziative proposte con le esigenze di sicurezza, del tempo trascorso dall’adozione delle misure speciali di protezione (cfr. art. 11, comma 6, D.M. n. 161 del 2004). Anche in tal caso è richiesto il parere dell’Autorità proponente e di quelle preposte all’attuazione delle misure speciali di protezione, nonché quello del Procuratore nazionale antimafia o del Procuratore generale presso la Corte d’appello interessato.

4. Ciò posto, le censure avanzate dalla parte ricorrente vanno considerate infondate per le ragioni di seguito indicate.

Nel caso di specie, dall’esito dell’istruttoria condotta – per come emerge e risulta dal tenore del provvedimento impugnato, dallo stralcio del verbale della riunione della Commissione centrale e dagli atti posti a base dell’atto contestato – risulta che il Servizio Centrale di Protezione, con nota del 2 febbraio 2010, ha comunicato che, a seguito di perquisizione domiciliare eseguita ai sensi dell’art. 41 del R.D. n. 773 del 1931, presso l’abitazione protetta del B., seguita ad una denuncia sporta dalla sua convivente, è stata rivenuta una carabina marca Diana mod. F/24 depotenziata e con matricola abrasa, abusivamente detenuta, nonché diversi utensili da lavoro, materiale risultato provento di furto presso un’abitazione della stessa località protetta; per tali condotte, il B. è stato deferito alla competente Autorità Giudiziaria per il reato di ricettazione.

In considerazione di ciò, la Commissione centrale ha acquisito i pareri della DDA di Catania e della DNA.

La Direzione Distrettuale Antimafia di Catania, con nota del 27 aprile 2010, ha espresso parere favorevole alla revoca del piano provvisorio di protezione evidenziando che il B. ha continuato a commettere reati che denotano la volontà del medesimo a non interrompere la precedente condotta criminale.

La Direzione Nazionale Antimafia, con nota del 18 marzo 2010. ha espresso analogo parere favorevole alla revoca, rappresentando che la condotta del B., evidenzia profili comportamentali incompatibili con la prosecuzione delle misure di protezione in atto.

Il Collegio ritiene che, in considerazione dei fatti descritti e della valutazione degli elementi acquisiti nel corso dell’istruttoria, la Commissione centrale abbia correttamente disposto la revoca del piano provvisorio di protezione, ai sensi di quanto stabilito dall’art. 13 quater del D.L. n. 8 del 1991.

Al riguardo, si rivelano infondate le censure aventi ad oggetto il mancato coinvolgimento dell’interessato nel procedimento amministrativo che si è concluso con l’adozione del provvedimento contestato, in quanto, in tema di partecipazione ai procedimenti di cui al D.L. n. 8 del 1991, l’art. 10, comma 2-ter, L. n. 82 del 1991 prevede l’esclusione dalla partecipazione al procedimento amministrativo, estrisencantesi nella cognizione di atti, degli accertamenti e verifiche poste in essere dall’Amministrazione o dei contributi di altri partecipanti e nella possibilità di interloquire in contraddittorio (Cons. Stato, Sez. VI, sent. n. 7387 del 13-12-2006). Più in particolare, è stato precisato che la conoscenza degli atti afferenti ai procedimenti di competenza della Commissione istituita dall’art. 10, L. n. 82 del 1991, resta limitata ai soli soggetti preposti alla trattazione e, ove sia stata apposta classifica di segretezza, ai soggetti in possesso di apposito nulla osta (n.o.s.), corrispondente al grado di classifica dell’atto, rilasciato dall’Autorità Nazionale di Sicurezza (Cons. Stato, Sez. VI, sent. n. 7387 del 13-12-2006). Del resto, l’articolo 13 della L. n. 241 del 1990 stabilisce chiaramente l’inapplicabilità degli artt. 7 e ss. della medesima legge ai procedimenti di cui al D.L. n. 8 del 1991.

Analoga sorte spetta alle altre censure proposte dal ricorrente, considerato che, mentre il provvedimento di revoca del programma di protezione adottato nei confronti del soggetto "collaboratore di giustizia", di cui all’art. 13 quater, comma 2, prima parte del D.L. n. 8 del 1991, si deve considerare vincolato, quello che si adotta in base a quanto dispone la seconda parte dello stesso articolo si configura come atto sostanzialmente discrezionale, cioè avente aspetti propriamente valutativi rimessi all’apprezzamento dell’Amministrazione. In questo contesto, il mutamento o la cessazione dello stato di pericolo in connessione con il reinserimento nel circuito criminale del soggetto protetto, in quanto elementi che contraddistinguono, in concreto, tale istituto, legittimano l’adozione di un provvedimento di revoca (Cons. Stato, Sez. VI, Sent. n. 243 del 29-01-2008).

Del resto, non si può ritenere illegittimo il provvedimento di revoca del programma di protezione di cui alla L. n. 82 del 1991, a cui un soggetto è stato ammesso, qualora siano stati acquisiti, su detto soggetto, elementi di coinvolgimento in vicende criminali tali da non apparire irragionevole ed infondata la valutazione di pericolosità sociale, in riferimento, appunto, a tali elementi obiettivamente incompatibili con il programma di protezione (Cons. Stato, Sez. VI, Sent. n. 3088 del 12-06-2007).

Infatti, si deve ritenere che la L. n. 82 del 1991, nel disporre la protezione di testimoni, non accordi alle persone ammesse allo speciale programma di protezione una sorta di autorizzazione a commettere atti illeciti, vincolandole anzi al rigoroso rispetto della legge, indipendentemente dagli obblighi specificatamente assunti all’atto della sottoscrizione del programma medesimo; la "ratio" giustificatrice di tale tutela, infatti, non è certo quella di esonerare da responsabilità gli autori di comportamenti illeciti, ma di offrire adeguata protezione e sostegno economico a chi dimostri la seria intenzione di collaborare con la giustizia nella lotta dello Stato contro il crimine e, in particolare, contro la delinquenza di tipo mafioso. La revoca o la modifica dell’originario programma speciale di protezione, quindi, non può ritenersi una specie di prassi seguita dalla Commissione centrale in presenza della constatata inosservanza agli obblighi derivanti dal programma di protezione stesso, ma rappresenta diretta conseguenza dell’inosservanza all’impegno assunto dall’interessato sin dal momento della sua decisione di offrire il pratico apporto collaborativo alla giustizia e confermato dall’atto della sottoscrizione, prevista dall’art. 12, comma secondo, della L. n. 82 del 1991 (Cons. Stato, Sez. VI, sent. n. 2541 del 24-04-2009).

La revoca, come la modifica, delle speciali misure di protezione e dello speciale programma di protezione disposti dalla Commissione Centrale e sottoscritti dall’interessato (art. 12 L. n. 82 del 1991 e succ. mod.) – e dunque costituenti oggetto di un vero e proprio contratto di natura pubblica, fonte di reciproci diritti ed obblighi – possono essere disposte o per la cessazione, o per la modifica, del presupposto essenziale delle misure, ossia del pericolo cui è esposto il collaboratore di giustizia in conseguenza dei suoi apporti alle indagini, oppure per i comportamenti inadempienti dello stesso collaboratore (Cons. Stato, Sez. VI, sent. n. 1955 del 07-04-2010, che conferma la sentenza del Tar Lazio – Roma, sez. I ter, n. 8197/2004).

Sotto questo profilo, risulta infondata la censura con la quale si contesta che le accuse aventi ad oggetto condotte penalmente rilevanti possa avere rilievo determinate in assenza di una sentenza penale passata in giudicato, poiché è chiaro che – ai fini della revoca o della modifica di speciali misure di protezione o dello speciale programma di protezione – ciò che rileva sono i comportamenti inadempienti del collaboratore desumibili anche da atti di indagine penale o da una sentenza di condanna non ancora passata in giudicato, posto che l’accertamento e la valutazione dei fatti eseguita in via amministrativa dalla Commissione centrale (al fine di revocare misure di protezione precedentemente disposte) è del tutto diversa e distinta da quella che, in relazione ai medesimi fatti, è chiamata a compiere l’Autorità giudiziaria (allo scopo di accertare la responsabilità penale dell’interessato).

Va, infine, considerato che, il piano provvisorio di protezione cessa, in ogni caso, di avere effetto se, decorsi centottanta giorni, l’Autorità legittimata a formulare la proposta di cui all’articolo 11, del D.L. n. 8 del 1991, non ha provveduto a trasmetterla e la Commissione non ha deliberato sull’applicazione delle speciali misure di protezione osservando le ordinarie forme e modalità del procedimento. Al presidente della Commissione è data solo la facoltà di disporre la prosecuzione del piano provvisorio di protezione per il tempo strettamente necessario a consentire l’esame della proposta da parte della commissione medesima.

In sostanza, in ipotesi del genere la condizione di procedibilità per l’adozione delle speciali misure di protezione previste dal D.L. n. 8 del 1991 è la formulazione di una proposta da parte della competente Autorità (cfr. art. 11 D.L. n. 8 del 1991 e artt. 2 e ss. D.M. n. 161 del 2004). Quindi, in mancanza di una proposta formale, la Commissione non avrebbe, comunque, potuto ritenersi investita del potere di adottare speciali misure di protezione.

Tali condizioni si verificano anche quando (come nel caso di specie), successivamente all’ammissione ad un piano provvisorio di protezione adottato a seguito di una specifica proposta avanzata dall’Autorità competente, non solo non sia pervenuta alla Commissione centrale, nei termini previsti (180 gg.) una formale proposta di adozione di definitive misure speciali di protezione e di uno speciale programma di protezione, ma sia stato espresso un parere contrario alla prosecuzione del piano provvisorio di protezione. In tal caso, infatti, l’art. 13, comma 1, del D.L. n. 8 del 1991, prevede la cessazione degli effetti del piano provvisorio di protezione e, quindi, è la stessa fonte di rango primario indicata a prevedere la cessazione delle misure di protezione disposte in via provvisoria.

Per quanto concerne, infine, i familiari del soggetto ammesso a protezione, essi stessi sono destinatari del programma speciale, dovendosi adottare nei loro confronti la speciali misure di cui all’art. 9, comma 5, D.L. n. 8 del 1991, in funzione della relazione di convivenza o comunque della specificità del rapporto con il "titolare principale" delle misure: essi, infatti, sono esposti, in connessione a ciò, a gravi, attuali e concreti pericoli. E’ evidente, quindi, che una volta accertato, in base alla commissione di significativi delitti e della tenuta di specifici comportamenti, che, rispetto al collaboratore di giustizia-titolare del programma di protezione, sia venuta meno o comunque mutata la situazione di pericolo, al punto da essere incompatibile il mantenimento delle misure di protezione, tale venir meno del pericolo si estende in modo automatico anche agli altri soggetti indicati dal comma 5 dell’art. 9, ed anche qui nel senso della incompatibilità con il proseguire della protezione; con il che diventa legittima la revoca anche nei confronti di detti soggetti (Cons. Stato, Sez. VI, Sent. n. 243 del 29-01-2008).

5. Alla luce delle considerazioni che precedono il Collegio ritiene che il ricorso sia infondato e debba essere respinto.

6. Sussistono validi motivi – legati alla particolarità delle vicenda e delle questioni trattate – per disporre la integrale compensazione delle spese di giudizio fra le parti in causa.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

– lo respinge il ricorso;

– dispone la integrale compensazione delle spese di giudizio fra le parti in causa;

– ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla competente Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 dicembre 2011 con l’intervento dei magistrati:

Linda Sandulli, Presidente

Pietro Morabito, Consigliere

Roberto Proietti, Consigliere, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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