Cass. civ. Sez. III, Sent., 28-06-2012, n. 10868 Pignoramento di beni immobili e di beni mobili registrati

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 17.04.2008, il Tribunale di Perugia accoglieva l’opposizione proposta da T.G. avverso il fermo amministrativo effettuato dalla concessionaria Sorit s.p.a. (ora Equitalia Perugia s.p.a.) su autoveicolo Fiat di proprietà dell’opponente e condannava la Sorit s.p.a. al pagamento delle spese processuali.

Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la s.p.a.

Equitalia Perugia, svolgendo cinque motivi.

Nessuna attività difensiva è stata svolta da parte intimata.

Motivi della decisione

1. La decisione del G.O.T. si fonda su due rationes decidendi, ognuna astrattamente sufficiente a sorreggerla ex se: innanzitutto è stata affermata la carenza di potere in capo alla concessionaria in considerazione del mancata emanazione del D.M. attuativo previsto dall’art. 86, comma 4 D.P.R.; nel contempo è stata dichiarata la non assoggettabilità al vincolo del veicolo di cui trattasi, avuto riguardo all’applicabilità allo strumento fermo amministrativo – siccome funzionale all’esecuzione – del limite di impignorabilità di cui all’art. 514 cod. proc. civ., n. 4 (vigente all’epoca dello stesso fermo) e in considerazione della natura del bene, strumentale all’esercizio dell’attività del T. e indispensabile al suo svolgimento.

1.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 57 e inammissibilità dell’opposizione per motivi diversi dalla pignorabilità dei beni. Al riguardo parte ricorrente chiede a questa Corte di chiarire se siano o meno conformi alla legge i seguenti principi di diritto: "Il fermo di beni mobili registrati di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 86, costituisce ad ogni effetto un primo atto di esecuzione, onde per cui l’opposizione, prima della riforma disposta dal D.L. n. 223 del 2006, art. 35 – che ha introdotto al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, la lett. e-ter – andava proposta davanti al Giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 615 cod. proc. civ., comma 2"; "Prima della riforma disposta dal D.L. n. 223 del 2006, art. 35 – che ha introdotto al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, la lett. e-ter, avverso il provvedimento di fermo di bene mobile registrato, siccome costituente il primo atto dell’esecuzione a mezzo ruolo, era esperibile l’opposizione all’esecuzione davanti al GO ai sensi dell’art. 615 cod. proc. civ., comma 2, e, nel caso in cui il credito iscritto a ruolo fosse di natura tributaria, dette opposizioni erano ammissibili esclusivamente per questioni riguardanti la pignorabilità dei beni ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 57".

1.2. Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 86, in relazione al D.L. 30 settembre 2005, art. 3, comma 41, convertito dalla L. 2 dicembre 2005, n. 248 e art. 11 preleggi (art. 360 cod. proc. civ., n. 3).

Parte ricorrente – dopo aver formulato un primo quesito sulla retroattività della norma interpretativa e il carattere vincolante della stessa – chiede in particolare a questa Corte di chiarire se sia o meno conforme alla legge il principio secondo cui "il fermo di autoveicolo di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 86, è legittimamente eseguito dall’agente della riscossione in base alle modalità stabilite dal D.M. n. 503 del 1998, pur essendo stato introdotto il comma 4 del citato articolo in epoca successiva al decreto stesso, ossia dal D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 16, in vigore dal 1 luglio del 1999, poichè in ossequio al principio di retroattività delle leggi di interpretazione autentica (nella fattispecie il D.L. 30 settembre 2005, art. 3, comma 41, convertito dalla L. 2 dicembre 2005, n. 248, che in questo caso ha espressamente statuito) devono ritenersi conformi alla legge i fermi eseguiti a far tempo dalla medesima data, ossia dall’1.7.1999, secondo le modalità attuative precedentemente in vigore".

1.3. Con il terzo motivo si deduce ius superveniens, violazione dell’art. 11 preleggi, in relazione all’abrogato comma 4 (rectius n. 4 dell’) art. 514 c.p.c. (art. 360 cod. proc. civ., n. 3). A tal riguardo parte ricorrente chiede a questa Corte di chiarire se siano o meno conformi alla legge i seguenti principi di diritto: "lo ius superveniens è immediatamente applicabile dal giudice, anche d’ufficio, purchè, in forza del principio di irretroattività sancito all’art. 11 preleggi, la nuova norma, intervenuta nel corso del giudizio, non riconduca gli effetti sostanziali scaturenti dalla sua applicazione ad un fattore causale non previsto dalla normativa precedente"; "le norme che, in deroga al principio della responsabilità patrimoniale di cui all’art. 2740 cod. civ., pongono limiti alla pignorabilità dei beni, assumono concorrente funzione di norme processuali, nella misura in cui, in relazione alla natura intrinseca del bene, o alla relazione che ha con questi il proprietario debitore, condizionano la proponibilità dell’azione esecutiva. Sicchè il mutamento dello status di detti beni, intervenuto ad opera del legislatore nel corso del giudizio di opposizione all’esecuzione, determina il dovere per il giudice di farne immediata applicazione quando gli effetti che si sarebbero prodotti in forza dell’abrogata normativa, non siano già esauriti e compiuti al momento della decisione".

1.4. Con il quarto motivo si denuncia error in procedendo (art. 360 cod. proc. civ., n. 4); inammissibilità della prova orale. Al riguardo parte ricorrente chiede a questa. Corte di chiarire se siano o meno conformi alla legge i seguenti principi di diritto: "la prova testimoniale diretta che verta su fatti o circostanze negative è inammissibile, pertanto incorre nel vizio procedurale il giudice che fondi il suo convincimento sulle relative risultanze"; "l’onere di provare il fatto negativo, che normalmente non comporta inversione ma permane a carico della parte che l’allega, può essere assolto anche mediante presunzioni, purchè non sia ravvisabile altro mezzo istruttorio diretto cui l’interessato possa accedere senza dispendio o difficoltà; così l’imprenditore commerciale al pari dell’artista/artigiano e del professionista, possono raggiungere la prova negativa dell’assenza di ulteriori beni nell’azienda gestita, o dal complesso di beni strumentali all’arte o alla professione, oltre a quelli pignorati, mediante esibizione del libro contabile o fiscale obbligatorio in cui questo tipo di beni devono essere annotati, si da mettere il giudice in condizione di verificare, a mente dell’art. 514 cod. proc. civ., n. 4, l’indispensabilità di quelli sottoposti a pignoramento per la mancanza di equipollenti beni strumentali".

1.5. Con il quinto e ultimo motivo di ricorso si denuncia motivazione carente e illogica sulla indisponibilità del bene pignorato all’esercizio dell’impresa (art. 360 cod. proc. civ., n. 5).

2. Il ricorso, per molti versi al limite dell’inammissibilità, va rigettato.

2.1. Il primo motivo che, peraltro, all’udienza pubblica, il difensore ha dichiarato di volere abbandonare, è inammissibile.

Innanzitutto i quesiti di diritto, con cui si conclude il motivo, non sono riconducibili all’impianto motivazionale della sentenza impugnata, in quanto non consentono di individuare la diversa regula iuris adottata nel provvedimento impugnata, nè in particolare quale – tra le due rationes decidendi sopra indicate – sia oggetto di specifica impugnazione.

L’astrattezza dei quesiti è del resto il riflesso della genericità e inconferenza del motivo, che si traduce nell’inammissibilità del motivo stesso. La consolidata giurisprudenza di questa Corte ha, infatti, statuito che la proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al decisum della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 cod. proc. civ., n. 4, con conseguente inammissibilità del ricorso, rilevabile anche d’ufficio (ex multis, Cass. 07/11/2005, n. 21490; Cass. 24/02/2004, n. 3612; Cass. 23/05/2001, n. 7046). L’inconferenza del motivo comporta che l’eventuale accoglimento della censura risulta, comunque, privo di rilevanza nella fattispecie, in quanto inidoneo a risolvere la questione decisa con la sentenza impugnata (Cass. Sez. Unite, 12/05/2008, n. 11650).

2.2. Il secondo motivo risulta fondato, ma può comportare solo la correzione della motivazione ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., u.c., senza però incidere sul suo dispositivo. Invero la norma interpretativa di cui al D.L. n. 203 del 2005, art. 3, comma 41 ("Le disposizioni del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 86, si interpretano nel senso che, fino all’emanazione del decreto previsto dal comma 4 dello stesso articolo, il fermo può essere eseguito dal concessionario sui veicoli a motore nel rispetto delle disposizioni, relative alle modalità di iscrizione e di cancellazione ed agli effetti dello stesso, contenute nel D.M. 7 settembre 1998, n. 503, del Ministro delle finanze") vincolava il giudice dell’opposizione a ritenere che il potere della concessionaria (oggi "agente di riscossione") di eseguire il fermo amministrativo fosse regolato dall’indicato decreto ministeriale. L’errore, tuttavia, risulta inidoneo a travolgere la decisione, dal momento che essa trova, comunque, fondamento nell’altra ratio, costituita dal rilievo di impignorabilità del bene.

2.3. Il terzo motivo – oltre a concludersi con quesiti di assoluta astrattezza, dal momento che neppure individuano lo ius superveniens, asseritamente violato – si rivela anche manifestamente infondato, alla luce della disposizione transitoria di cui alla L. 24 febbraio 2006, n. 52, art. 22, da cui parte ricorrente totalmente prescinde, che ha individuato nel 1 marzo 2006 la data di entrata in vigore della stessa legge. Da tale norma discende l’applicabilità dell’art. 514 cod. proc. civ., n. 4, nella formulazione antecedente alla stessa legge, alle procedure già incardinate alla data del 28 febbraio 2006, come quella in oggetto.

2.4. Il quarto motivo, che verte sulla considerazione che non potesse essere affidato alla prova testimoniale la dimostrazione che il T. non avesse altri veicoli a disposizione per l’esercizio della sua attività – a prescindere dalla dubbia ritualità dei quesiti – non merita, comunque, accoglimento.

In via di principio – precisato che nel nostro ordinamento non vige il principio negativa non sunt probanda e che la deduzione di un fatto negativo non esonera dall’onere della prova – si osserva che l’accertamento di un fatto negativo implica simmetricamente l’accertamento di un fatto positivo idoneo ad escluderlo e che i fatti negativi che non possono essere provati direttamente possono essere provati per presunzioni, le quali possono basarsi, a loro volta, in fatti positivi contrari a quello negativo che si tratta di provare o, comunque, in fatti positivi idonei, ex art. 2729 cod. civ., a fare desumere il fatto negativo.

Tanto premesso, si osserva che spetta al giudice del merito – in considerazione del principio del libero convincimento consacrato nel nostro ordinamento – scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione e dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi (non ricorrenti nella specie, nella quale si trattava di accertare "l’indispensabilità" del bene strumentale all’esercizio dell’attività lavorativa del T.) tassativamente previsti dalla legge in cui è assegnato alla prova un valore legale.

Si rammenta che l’impignorabilità sancita dal n. 4 (ora abrogato) dell’art. 514 cod. proc. civ., pone, come criterio di discrimine, un concetto di indispensabilità relativo (la cui valutazione è rimessa al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se adeguatamente e logicamente motivato) che deve essere riferito alle concrete condizioni di esercizio dell’attività del debitore;

sicchè, agli effetti della relativa dimostrazione, non è dato ravvisare alcuna ragione di inammissibilità della prova testimoniale.

2.5. L’ultimo motivo è inammissibile perchè non si conclude e nemmeno contiene "la chiara indicazione" richiesta dall’art. 366 bis c.p.c., dal momento che questa, secondo i canoni elaborati da questa Corte (Sez. Unite, 1 ottobre 2007, n. 20603; Cass. ord. 7 aprile 2008, n. 8897) deve consistere in una parte del motivo che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata, da cui risulti non solo "il fatto controverso", ma anche la "decisività" del vizio. Ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità.

Non appare superfluo aggiungere che il motivo investe valutazioni di stretto merito, espresse dal Giudice a quo in termini succinti, ma non censurabili in questa sede.

In conclusione il ricorso va rigettato.

Nulla deve disporsi in ordine alle spese del giudizio di legittimità non avendo parte intimata svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 4 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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