Cass. civ. Sez. III, Sent., 28-06-2012, n. 10865 Esecuzione forzata per consegna o rilascio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 24 gennaio 2008 il Tribunale di Roma, sez. dist. di Ostia, ha accolto l’opposizione proposta da G.A. avverso l’esecuzione per rilascio intrapresa da C.S., dichiarando la nullità del precetto e di tutti gli atti successivi.

In motivazione il decidente ha evidenziato che il titolo esecutivo – la sentenza n. 22111/2003 del Tribunale di Roma – aveva un oggetto indeterminato e indeterminabile, posto che non conteneva, nè in motivazione, nè in dispositivo, riferimento alcuno all’immobile da rilasciare. Ha aggiunto: a) che nell’atto di acquisto del C. era indicata una particella 296 dell’ampiezza di mq. 13215, laddove nel precetto si faceva riferimento a una particella 7087 da quella derivata, di mq. 44 9; b) che il Tribunale e la Corte d’appello di Roma avevano dichiarato la nullità parziale delle cessioni (del 26 gennaio 2004, rectius 1994), della Sogene s.p.a. al C.; c) che la sentenza posta in esecuzione aveva espressamente escluso che l’immobile di cui ora veniva chiesto il rilascio rientrasse nella pronuncia di nullità, ma tale affermazione era inesatta e contraddxttoria e che, in ogni caso, non era possibile eseguire l’ineseguibile; d) che solo con l’atto di compravendita del 5 febbraio 2003 n. 97065 Sogene s.p.a. aveva venduto al C. la particella oggetto del precetto, ivi affermandosi espressamente che prima non era stato possibile una esatta identificazione catastale della stessa; e) che il precetto aveva pertanto un oggetto che solo con atto successivo alla sentenza era stato determinato; f) che, conseguentemente, diversamente da quanto opinato dal Tribunale nella sentenza n. 22111/2003 l’atto di acquisto del C. non identificava affatto il bene che si pretendeva acquisire con l’esecuzione opposta; g) che l’esecutante aveva inammissibilmente integrato il precetto trasferendovi indicazioni fondamentali mancanti nel titolo.

Per la cassazione di detta pronuncia ricorre a questa Corte C. S. formulando due motivi.

Resiste con controricorso, illustrato anche da memoria, G. A., che propone ricorso incidentale condizionato affidato a due mezzi, al quale il ricorrente ha a sua volta replicato con controricorso.

Motivi della decisione

1 I ricorsi hinc et inde proposti avverso la stessa sentenza sono stati riuniti ex art. 335 cod. proc. civ..

Il ricorso principale è articolato in due mezzi che, per la loro stretta connessione, sì prestano a essere esaminati congiuntamente.

2.1 Con il primo motivo l’impugnante denuncia violazione degli artt. 1362, 1367, cod. civ., art. 12 preleggi, artt. 1346, 1366, 2099 cod. civ., art. 88 cod. proc. civ., nonchè mancanza di motivazione, ex art. 360 cod. proc. civ., nn. 4 e 5.

In punto di fatto espone: che il C., con atto del 26 gennaio 1994, aveva acquistato da Sogene s.p.a. vari beni immobili facenti parte del comprensorio di (OMISSIS) – e cioè un’area di complessivi mq. 13.215, distinta in catasto alla particella n. 296 – e, tra questi, una striscia di terreno larga 20 metri, corrente tra Via (OMISSIS) e retrostanti lotti edificati; che il medesimo C. aveva poi convenuto in giudizio alcuni tra i proprietari di tali lotti, tra cui Gi.AD s.r.l., che risultavano in possesso di corrispondenti porzioni della predetta striscia; che la causa era stata definita dal Tribunale di Roma con sentenza n. 2111/2003, la quale aveva condannato i convenuti a rilasciare le porzioni immobiliari rivendicate dall’attore; che il C. aveva quindi notificato a Gi.AD. atto di precetto nel quale aveva precisato che la porzione di striscia dalla stessa detenuta e di cui veniva intimato il rilascio – di mq. 449 – andava individuata nella particella n. 7087, derivata da quella originaria n. 296; che la G., avente causa di Gi.AD. aveva proposto opposizione, deducendo che nel titolo non era certa la porzione immobiliare di cui veniva chiesto il rilascio; che in ogni caso questa non era larga metri venti, bensì metri nove.

Tanto premesso, sostiene l’esponente che le argomentazioni svolte dal decidente erano volte unicamente a stabilire se il giudice della sentenza azionata come titolo esecutivo avesse o meno sbagliato allorchè, al fine di decidere sulla eventuale pregiudizialità del giudizio relativo alla nullità parziale dell’atto di acquisto per indeterminatezza dell’oggetto, aveva affermato che il bene rivendicato (la striscia di terreno) era individuato e che la questione della nullità dell’atto di acquisito del C. non era rilevante all’interno del thema decidendum a lui devoluto. Il giudice dell’opposizione aveva quindi completamente ignorato la vera questione sottoposta alla sua decisione, e cioè la sussistenza nel titolo degli elementi necessari alla identificazione del bene del quale veniva chiesto il rilascio, omettendo di confrontarsi con il dispositivo della sentenza azionata in executivis, nella parte in cui aveva dichiarato occupanti abusivi delle rispettive porzioni della striscia di terreno di proprietà di C.S. della larghezza di circa mt. 20, situata tra Via (OMISSIS) e i retrostanti lotti dei rispettivi aventi causa della SGI e nella parte in cui, in motivazione, aveva affermato che dell’immobile era possibile l’identificazione con gli atti catastali.

In tale contesto, secondo l’esponente, la decisione del Tribunale di accoglimento dell’opposizione aveva violato gli artt. 1367, 1346 e 1366 cod. civ., nonchè l’art. 12 preleggi, a tenor dei quali tra varie interpretazioni deve essere preferita quella che conduca all’efficacia, piuttosto che all’inefficacia di un testo, e ciò tanto più che l’opponente, dopo avere affermato l’inutilizzabilità del titolo, aveva contraddittoriamente eccepito che la porzione da rilasciare aveva una consistenza di soli 9 metri, piuttosto che di venti metri.

2.2 Con il secondo mezzo il ricorrente deduce violazione degli artt. 606 e 608 cod. proc. civ., art. 112 cod. proc. civ., nonchè mancanza di motivazione. Sostiene che solo all’ufficiale giudiziario spettava l’individuazione, in concreto, del bene descritto nel titolo, svolgendo l’attività di ricerca di cui all’art. 606 cod. proc. civ., ben potendo in tale operazione ricevere dal creditore le indicazioni opportune, ovvero ricorrere a un esperto, ai sensi dell’art. 68 cod. proc. civ..

Conseguentemente il giudice dell’opposizione, in assenza di attività di ricerca da parte dell’ufficiale giudiziario, avrebbe dovuto disporre che lo stesso procedesse con l’ausilio di un tecnico, ovvero officiare tout court un esperto per pervenire alla esatta identificazione del bene da rilasciare.

3 Le censure sono fondate.

Va premesso che, contrariamente a quanto sostiene l’impugnante, l’interpretazione del titolo esecutivo consistente in una sentenza passata in giudicato compiuta dal giudice dell’opposizione a precetto o all’esecuzione si risolve nell’apprezzamento di un fatto, come tale incensurabile in sede di legittimità se esente da vizi logici o giuridici, senza che possa diversamente opinarsi alla luce dei poteri di rilievo officioso e di diretta interpretazione del giudicato esterno da parte del giudice di legittimità, atteso che, in sede di esecuzione, la sentenza passata in giudicato, pur ponendosi come giudicato esterno (in quanto decisione assunta fuori dal processo esecutivo), non opera come decisione della controversia, bensì come titolo esecutivo e, pertanto, al pari degli altri titoli esecutivi, non va intesa come momento terminale della funzione cognitiva del giudice, bensì come presupposto fattuale dell’esecuzione, ossia come condizione necessaria e sufficiente per procedere ad essa (confr.

Cass. civ. 14 gennaio 2011, n. 760; Cass. civ. 6 luglio 2010, n. 15852; Cass. civ. 22 novembre 2000, n. 15083).

Ciò posto, e in disparte ogni rilievo in ordine alla legittimazione del terzo ad opporsi all’esecuzione, pur senza far valere un diritto sostanziale autonomo e prevalente, rispetto a quello dell’esecutante (confr. Cass. civ. 13 febbraio 2007, n. 3087; Cass. civ. 4 febbraio 2005, n. 2279), profilo preclusivo alla proponibilità del mezzo rimasto del tutto negletto nel dibattito processuale, la sentenza impugnata non resiste alle critiche formulate dal ricorrente principale per le ragioni che seguono.

Occorre muovere dalla considerazione che l’esecuzione per consegna o rilascio mira al trasferimento, dall’esecutato all’esecutante, del potere di fatto sul bene indicato nel titolo, potere inteso come detenzione corpore dello stesso, di talchè il suo effetto consiste in una modificazione della realtà materiale: prima dell’esecuzione il bene è nel dominio dell’obbligato, dopo l’esecuzione sarà in quello dell’avente diritto.

Lo snodo fondamentale della procedura è l’assenza, nel giudice dell’esecuzione, della potestà di risolvere questioni giuridiche in ordine al diritto di procedere ad esecuzione, e la limitazione di ogni possibilità di intervento alla soluzione di problemi pratici relativi al modus procedendi in concreto necessario per adeguare la realtà fattuale al comando da eseguire.

Entro questi limiti all’ufficio esecutivo spetta anche una funzione cognitiva, che, ovviamente, non ha nè le forme, nè gli effetti di quella propria del processo di cognizione, ma che è comunque insopprimibile, in quanto l’attività allo stesso demandata presuppone pur sempre la ricognizione dei presupposti e dei contenuti dell’ordine da attuare.

In tale contesto eventuali difficoltà che possano insorgere nel corso dell’esecuzione – e che, a norma dell’art. 610 cod. proc. civ., abilitano ciascuna parte e lo stesso ufficiale giudiziario a sollecitare, anche verbalmente, al giudice i provvedimenti temporanei occorrenti alla loro soluzione – vanno intese come difficoltà materiali le quali, ancorchè involgenti la portata soggettiva del titolo esecutivo o la identificazione dei beni, devono essere affrontate e risolte dall’ufficio nell’ambito dei poteri di autodeterminazione allo stesso conferiti dalla legge, e quindi esclusivamente in vista dell’attuazione della tutela esecutiva.

Non a caso è stato segnatamente evidenziato anche da questa Corte che al giudice dell’esecuzione compete il potere d’interpretare il titolo, sia pure ai soli effetti esecutivi: e il giudice dell’esecuzione, sollecitato senza formalità, provvedere attraverso provvedimenti ordinatori altrettanto liquidi (confr. 22 settembre 2006, n. 20648; Cass. civ. 10 febbraio 1994, n. 1365).

5 Tanto premesso, ai fini della identificazione dei connotati propri della procedura esecutiva azionata dall’opposto, il giudice di merito, sollecitato ex art. 615 cod. proc. civ. da G. A., avente causa da Gi.AD., a scrutinare la lamentata genericità della pretesa esecutiva, per l’asserita, mancata individuazione della porzione immobiliare oggetto del rilascio e, in ogni caso, per l’erroneità della individuazione, non poteva andare a sindacare -qualificandola come inesatta e contraddittoria – la correttezza dell’affermazione, contenuta nella sentenza n. 22111 del 2003, in ordine alla estraneità al thema decidendum delle questioni dibattute nel giudizio relativo alla nullità parziale dell’atto di acquisto per indeterminatezza dell’oggetto, essendo il bene rivendicato (la contestata striscia), identificabile mercè i dati catastali: non par dubbio, infatti, che siffatte valutazioni spettavano, al più, al giudice dell’impugnazione della sentenza azionata in executivis, ove chiamato a conoscerne, a seguito di proposizione di gravame, mentre esulavano dall’area della cognizione devoluta al decidente.

A ciò aggiungasi che questi, a fronte di un precetto in cui si specificava che la particella n. 7087 di mq. 449, della quale si chiedeva il rilascio, era derivata da quella n. 296 di mq. 13215, oggetto dell’atto di acquisto 26 gennaio 1994, a rogito notar Mazza, non poteva ritenerne l’illegittimità sull’assunto che il bene rivendicato era oggetto di un atto successivo alla sentenza azionata – atto del quale neppure è chiara la natura traslativa o meramente ricognitiva – senza confrontarsi con l’affermata derivazione di una particella dall’altra.

6 La ritenuta fondatezza del ricorso principale impone l’esame del ricorso incidentale condizionato proposto dalla controparte.

Con il primo motivo la ricorrente lamenta violazione degli artt. 475, 479 e 480 cod. proc. civ.. Oggetto delle critiche è l’affermazione del giudice di merito secondo cui correttamente il C. aveva notificato precetto e preavviso di rilascio al solo soggetto indicato nel titolo giudiziale posto a base dell’esecuzione, atteso che l’opponente, in quanto avente causa, non aveva diritto a ricevere notifiche ulteriori. Sostiene per contro l’esponente che nell’esecuzione per consegna o rilascio il titolo in forma esecutiva e il precetto devono essere notificati, su richiesta dell’istante, al soggetto che si pretende tenuto ad eseguire l’obbligo risultante dal titolo.

7 Le critiche sono destituite di fondamento.

Il titolo esecutivo che da ingresso all’esecuzione per consegna o rilascio consente all’avente diritto di essere immesso forzatamente nel possesso del bene, anche se, al momento dell’esecuzione, questo non sia posseduto o detenuto da chi è indicato come obbligato alla consegna o al rilascio e senza che occorra notificare titolo e precetto al reale possessore o detentore, il quale si trova pertanto a subire l’esecuzione, pur non avendo partecipato al processo formativo del titolo (confr. Cass. civ. 30 aprile 2005, n. 9024;

Cass. civ. 22 novembre 2000, n. 15083).

Tale esegesi si giova, sul piano teleologico, del rilievo che, opinando diversamente, risulterebbe gravemente compromessa l’effettività della tutela, che sarebbe facilmente aggirabile dal soggetto passivo con l’immissione, prima dell’inizio dell’esecuzione, nel possesso o nella detenzione del bene, di terzi non indicati nel titolo.

A ciò aggiungasi, sul piano letterale, che l’art. 606 cod. proc. civ., imponendo all’ufficiale giudiziario di recarsi sul luogo in cui le cose si trovano, prescinde da ogni riferimento a località di pertinenza dell’obbligato, mentre il successivo art. 608, prevede l’immissione nel possesso dell’istante indipendentemente dai poteri di fatto che possano essere esercitati sull’immobile, considerando ogni persona diversa dall’esecutato come un detentore vincolato a riconoscere il nuovo possessore.

8 Con il secondo mezzo la ricorrente incidentale denuncia violazione degli artt. 111i e 112 cod. proc. civ. e art. 2653 cod. civ., ex art. 360 cod. proc. civ., n. 3.

Assume che erroneamente il giudice di merito aveva ritenuto assorbita, o comunque rigettato, l’eccezione, da essa proposta, volta a far valere l’inopponibilità nei suoi confronti della sentenza del Tribunale di Roma n. 22111/2003, per mancata trascrizione e della domanda giudiziale proposta dal C. contro Gi.AD. e della sentenza medesima, pronunciata peraltro dopo che il suo atto di acquisto era stato trascritto.

9 Le censure sono, per certi aspetti inammissibili, per altre infondate.

Esse prospettano una questione in alcun modo trattata nella sentenza impugnata, e quindi nuova, in spregio al principio per cui i motivi del ricorso per cassazione devono investire a pena di inammissibilità questioni già comprese nel "thema decidendum" del giudizio di appello, di modo che, salvo che si prospettino profili rilevabili d’ufficio, è preclusa la proposizione di doglianze che, modificando la precedente impostazione, pongano a fondamento delle domande e delle eccezioni titoli diversi o introducano, comunque, piste ricostruttive fondate su elementi di fatto nuovi e difformi da quelli allegati nelle precedenti fasi processuali (confr. Cass. civ., sez. 1, 13 aprile 2004, n. 6989). Ne deriva che il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere, rimasto nella fattispecie del tutto inadempiuto, non solo di allegarne l’avvenuta deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo aveva fatto, onde dar modo alla Corte di controllare de visu la veridicità di tale asserzione (confr. Cass. civ. sez. lav. 28 luglio 2008, n. 20518; Cass. civ. 1, 31 agosto 2007, n. 18440).

10 A ciò aggiungasi che quel che è qui in discussione è un’occupazione abusiva e di fatto, da parte di altri, di una superficie di proprietà del C., di talchè ogni richiamo alla trascrizione del titolo di acquisito dell’opponente non ha alcuna rilevanza.

11 In definitiva, in accoglimento del ricorso principale, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio, anche per le spese del giudizio di cassazione, al Tribunale di Roma in diversa composizione che, nel decidere si atterrà ai rilievi innanzi svolti.

P.Q.M.

La Corte, pronunciando sui ricorsi riuniti, accoglie il ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale condizionato; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione al Tribunale di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 4 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2012

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