Cass. civ. Sez. III, Sent., 28-06-2012, n. 10857 Responsabilità civile

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

D.M.T. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Monza il Comune di Concorezzo, P.O. e Fondiaria SAI s.p.a.

chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti in conseguenza dell’incidente stradale verificatosi in data (OMISSIS). Espose l’attore che quel giorno, verso le ore 11.15, mentre circolava a bordo del proprio motoveicolo, era scivolato sulla ghiaia che copriva la strada, in prossimità di un incrocio, andando a collidere con l’autovettura di proprietà di P.O., dallo stesso condotta.

I convenuti, costituitisi in giudizio, contestarono le avverse pretese.

In data 14 marzo 2000 il giudice adito, per quanto qui interessa, affermò la concorrente responsabilità del solo P. nella causazione del sinistro, fissandola nella misura del 20% del totale (pari a quella già stabilita in sede penale), conseguentemente condannando il convenuto e Fondiaria SAI al pagamento in favore dell’attore della somma, di L. 36.286.831, al netto dei già corrisposti acconti.

Proposto gravame dal D.M., la Corte d’appello di Milano, con sentenza del 6 marzo 2007, corretta con ordinanza del 27 giugno successivo, ha condannato il P. e Fondiaria SAI, in solido tra loro, al pagamento in favore del D.M., della somma di L. 54.000.000, nel suo equivalente in Euro, oltre accessori.

Per la cassazione di detta pronuncia ricorre D.M.T., formulando due motivi e notificando l’atto a Fondiaria SAI s.p.a., a D.M.T. e, a fini di litis denuntiatio, al Comune di Concorezzo.

Solo la prima ha notificato controricorso, mentre nessuna attività difensiva ha svolto l’altro intimato.

Entrambe le parti costituite hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

1 Va preliminarmente sgombrato il campo dall’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata da Fondiaria SAI s.p.a.

Secondo la resistente società assicuratrice l’impugnazione sarebbe tardiva, essendo stata notificata il 15 gennaio 2008, laddove la sentenza impugnata era stata notificata a istanza del Comune di Concorezzo il 4 aprile 2007.

2 L’eccezione è destituita di fondamento.

Questa Corte ha ripetutamente affermato che il principio per cui, nel processo con pluralità di parti, stante l’unitarietà del termine per l’impugnazione, la notifica della sentenza eseguita a istanza di una sola di queste, segna, nei confronti della stessa e della parte destinataria della notificazione, l’inizio del termine per la proposizione dell’impugnazione contro tutte le altre parti, trova applicazione soltanto quando si tratti di cause inscindibili o tra loro dipendenti, ovvero nel caso in cui la controversia concerna un unico rapporto sostanziale o processuale, e non anche quando si tratti di cause scindibili o, comunque, tra loro indipendenti, per le quali, in applicazione del combinato disposto degli artt. 326 e 332 cod. proc. civ., è esclusa la necessità del litisconsorzio. In tali ipotesi, il termine per l’impugnazione non è unico, ma decorre dalla data delle singole notificazioni della sentenza a ciascuno dei titolari dei diversi rapporti da essa definiti, mentre per le altre parti si applica la norma dell’impugnabilità nel termine di cui all’art.327 cod. proc. civ. (confr. Cass. civ. 4 febbraio 2010, n. 2557; Cass. civ. 29 gennaio 2007, n. 1825).

2 Venendo al caso di specie, il passaggio in giudicato della statuizione della Corte d’appello di Milano nei rapporti tra l’attore e il Comune di Concorezzo – con conseguente incontestabilità dell’esclusione di ogni responsabilità dell’Ente nella causazione dell’incidente – non incide minimamente sui temi rimasti controversi tra le altre parti, temi che peraltro neppure attengono alla ricostruzione della dinamica del sinistro e alla incidenza della concorrente responsabilità dell’uno o dell’altro guidatore nella sua determinazione, di talchè non v’è alcun nesso di inscindibilità o di dipendenza tra i rapporti processuali sui quali è intervenuta la sentenza impugnata, alcuni dei quali, come detto innanzi, ormai coperti da giudicato.

3 Passando quindi all’esame dei motivi di ricorso, con il primo l’impugnante lamenta violazione degli artt. 2043, 2054, 2056 e 2057 cod. civ., artt. 112, 115 e 116 cod. proc. civ., nonchè vizi motivazionali. Le critiche hanno ad oggetto la determinazione nella misura del 55% dei postumi permanenti derivati dall’incidente, in conformità al parere espresso dal consulente tecnico nominato nel giudizio di gravame. Sostiene l’esponente che siffatta valutazione farebbe malgoverno degli esiti della compiuta istruttoria e segnatamente della documentazione acquisita, dalla quale emergerebbe il grave peggioramento delle condizioni psicotiche del D.M., non a caso dichiarato invalido civile al 100%.

4 Le critiche, anche a prescindere dal carattere chiaramente tautologico dei quesiti formulati a chiusura della loro illustrazione, sono in ogni caso prive di pregio.

Mette conto evidenziare, a conferma dell’attenzione che ha connotato l’approccio del giudice di merito, che nel corso del giudizio sono state espletate ben tre consulenze tecniche, due in primo grado, e una in fase di gravame; che tali consulenze hanno determinato il danno biologico del periziaito nella misura, rispettivamente, del 50%, del 60%, e del 55%; che la Corte d’appello ha ritenuto i risultati di quest’ultima particolarmente attendibili in ragione, da un lato, della loro sostanziale sovrapponibilità con le conclusioni alle quali erano pervenuti gli altri consulenti, e segnatamente l’esperto che aveva quantificato i postumi nella misura del 60%; e, dall’altro, del maggiore aggiornamento dei dati sui quali essi erano basati, non mancando peraltro di rimarcare che i documenti prodotti dall’attore successivamente all’espletamento della consulenza, in disparte ogni questione in ordine alla ritualità della produzione, non modificavano il quadro valutativo preso in considerazione dal consulente tecnico.

5 Ora, tali argomentazioni, intrinsecamente logiche, complete ed esaustive, resistono ai rilievi svolti nel motivo di ricorso in esame, rilievi che, attraverso la surrettizia deduzione di violazioni di legge e di vizi motivazionali, in realtà inesistenti, mirano solo a sollecitare una rivalutazione dei fatti e delle prove, preclusa in sede di legittimità.

Non è inutile in proposito ricordare che il giudice del merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l’obbligo della motivazione con l’indicazione delle fonti del suo convincimento, di talchè non è necessario che si soffermi sulle contrarie deduzioni dei consulenti di fiducia: e invero tali deduzioni, anche se non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perchè incompatibili con le argomentazioni accolte. Ne deriva che le critiche di parte, che tendano al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, si risolvono in mere allegazioni difensive, inidonee a configurare il vizio di motivazione previsto dall’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 (Cass. civ., 3 aprile 2007, n. 8355).

6 Con il secondo mezzo il ricorrente torna a lamentare violazione degli artt. 2043, 2054, 2056 e 2057 cod. civ., artt. 112, 115 e 116 cod. proc. civ., nonchè vizi motivazionali, con riferimento alla quantificazione dei danni subiti dal D.M., in L. 395.000.000, per quello biologico permanente, e in L. 197.625.000, per quello morale.

Secondo l’impugnante, il decidente avrebbe dovuto applicare, anche d’ufficio, le tabelle adottate dal Tribunale di Milano nel gennaio 2007; ovvero altri criteri personalizzati; calcolare il tasso medio di rivalutazione; applicare interessi sulle somme via via rivalutate;

oppure procedere con criterio equitativo ex artt. 2056 e 1223 cod. civ..

6 Trattasi di critiche per certi aspetti inammissibili, per altri infondate.

Queste le ragioni.

Il giudice di merito ha motivato la scelta decisoria adottata rilevando che la richiesta di applicazione delle nuove tabelle, formulata solo in comparsa conclusionale, era inammissibile, in quanto tardiva. Ha poi aggiunto che le evocate tabelle erano, in ogni caso, inapplicabili, posto che il Tribunale, del tutto correttamente, aveva fatto riferimento, per la determinazione equitativa del danno, a quelle vigenti al momento della liquidazione.

Tale percorso motivazionale connota di inemendabile genericità le deduzioni dell’impugnante in ordine alla mancata adozione di altri, non meglio specificati criteri personalizzati o equitativi, mentre del tutto nuove sono le critiche relative al preteso, scorretto computo, sulle somme liquidate, di rivalutazione e interessi, di talchè neppure si riesce a comprenderne, al postutto, l’esatta portata.

Per il resto le censure si risolvono nell’apodittica affermazione dell’esistenza di un principio di applicabilità officiosa delle tabelle vigenti al momento della decisione, principio inesistente e comunque qui solo astrattamente enunciato. E’ sufficiente, in proposito, considerare che l’impugnante neppure illustra con le necessaria precisione quale risultato, in concreto, quell’applicazione avrebbe sortito, nè, a maggior ragione – considerato che, in via di principio, le tabelle per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da lesione all’integrità psico- fisica predisposte dal Tribunale di Milano costituiscono valido criterio di riferimento ai fini della valutazione equitativa ex art. 1226 cod. civ. (confr. Cass. civ. 30 giugno 2011, n. 14402; Cass. civ. 7 giugno 2011, n. 12408) – i profili peculiari della fattispecie concreta che avrebbero imposto, come idoneo criterio di personalizzazìone, l’applicazione di più aggiornate tabelle, rispetto a quelle utilizzate dal giudice di merito.

In definitiva il ricorso deve essere interamente rigettato.

L’impugnante rifonderà alla controparte le spese di lite nella misura di cui al dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in complessivi Euro 3.200,00 (di cui Euro 3.000,00 per onorari), oltre I.V.A. e C.P.A., come per legge.

Così deciso in Roma, il 23 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2012

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