Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 30-06-2011) 06-12-2011, n. 45375

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con sentenza pronunciata il 12 luglio 2010 la Corte di Appello di Torino confermava quella resa dal GUP del Tribunale di Ivrea il 22 giugno 2009 e, con essa, la condanna ad anni nove di reclusione dell’appellante, B.A., imputato del tentato omicidio in danno di M.M., nonchè del reato di cui alla L. n. 895 del 1967, artt. 2, 4, 7 e art. 61 c.p., n. 2, per aver portato in luogo pubblico la pistola utilizzata per commettere il reato omicidiario.

In (OMISSIS).

1.2 La vicenda veniva ricostruita dalla corte territoriale e prima ancora dal giudice di prime cure nel modo seguente: verso le ore 2,30 del (OMISSIS) M.M. veniva ricoverato presso l’ospedale di (OMISSIS) perchè ferito al collo da un colpo di arma da fuoco. La vittima era stata accompagnata presso il pronto soccorso da una persona immediatamente allontanatasi, persona poi individuata in F.P., sorvegliato speciale. Il F. veniva però in breve tempo identificato e, sentito dagli investigatori, dichiarava altresì di aver accompagnato il M. insieme ad altri tre rumeni, dei quali non forniva le generalità, presso l’abitazione dell’imputato, perchè il M. stesso intendeva chiarire con lui questioni in corso e ne temeva la reazione violenta. Secondo il racconto del F., il B. era sceso dalla sua abitazione armato di pistola, con la quale aveva immediatamente sparato colpi a scopo intimidatorio per poi colpire la vittima sparandogli al collo da distanza ravvicinatissima.

Il M., sentito poche ore dopo il ricovero presso il reparto di rianimazione, dichiarava da parte sua di essere stato colpito dall’imputato presso il quale si era portato per risolvere dissapori originati dalla sua gelosia per la moglie e che ad accompagnarlo erano stati F. e tre rumeni che avrebbero dovuto spalleggiarlo in caso di atteggiamento violento ed aggressivo del B., non nuovo ad atti di tali caratteristiche.

L’imputato veniva quindi fermato ed in sede di convalida si difendeva affermando di aver ricevuto verso la mezzanotte del (OMISSIS) una telefonata minacciosa di uno sconosciuto, di origine rumena, che gli aveva poi passato F.; di aver sentito in tale circostanza la voce del M.; di aver ricevuto verso le ore 1,45 la visita del M., del F. e di altra persona sconosciuta, i quali avevano tentato di bloccarlo; nella colluttazione era riuscito a divincolarsi ed a deviare la pistola nelle mani di F., deviando altresì il colpo che aveva poi colpito il M.. Sulla base delle dichiarazioni appena sintetizzate i giudici di merito sono pervenuti alla condanna dell’imputato con la imputazione di tentato omicidio (il M. in seguito al colpo di pistola ha subito lesioni personali gravissime, consistenti nella completa paraplegia) assumendo che le dichiarazioni del M. e del F. coincidessero tra loro, che la versione dell’imputato si appalesava non credibile, che l’ipotesi accusatoria risultava altresì confermata dal teste C.M., l’unico dei tre accompagnatori rumeni identificato; che il movente dell’azione delittuosa era da ricercarsi in ruggini tra imputato e vittima sfociate in ripetuti contrasti anche violenti tra loro, contrasti confermati dai testi escussi; che la consulenza balistica aveva sconfessato la versione del B. e confermato quella dell’imputato.

La Corte di Appello, in particolare, in relazione ai motivi di gravame diligentemente proposti dalla difesa del B., ha negato la ricorrenza nella fattispecie dei requisiti di legge per il riconoscimento della legittima difesa; ha negato rilevanza, ai fini del giudizio, alla incertezza del movente della condotta dell’imputato; ha negato che tra la versione della vittima e quella del F. vi siano sostanziali differenze; ha affermato la credibilità del teste C.; ha valorizzato le conclusioni della CT balistica ritenendole logiche e corrette; ha concluso che non è ravvisabile nei fatti di causa l’attenuante della provocazione e che non meritava l’imputato la concessione delle attenuanti generiche, nè alcuna riduzione della pena.

2. Si duole della condanna il B., con l’assistenza del suo difensore di fiducia il quale, nel suo interesse, illustra un unico ed articolato motivo di impugnazione, con il quale denuncia la illogicità e la carenza della motivazione.

Lamenta, in particolare, la difesa ricorrente che sarebbe in violazione di ogni massima di esperienza che:

– sia ritenuto normale la spedizione del M. e dei suoi sodali presso l’abitazione dell’imputato;

– dei tre sodali ne sia stato identificato soltanto uno;

– la vittima ed il F. siano ritenuti credibili pur in presenza del loro silenzio sulla identità degli altri componenti della spedizione, circostanza questa che impedisce l’accertamento della verità;

– non venga creduto il B. solo perchè non avrebbe chiamato la forza pubblica anzicchè scendere in strada per affrontare il M.;

Denuncia altresì la difesa ricorrente l’apodditticità della motivazione impugnata là dove nega la ricorrenza nella fattispecie della legittima difesa solo perchè non creduto il B. e ritenuti credibili i racconti della vittima e dei due suoi sodali, nonchè l’illegittimità, ex art. 192 c.p.p., del credito dato alle versioni del M. e del F., palesemente concordate e nonostante le palesi discrasie rilevate tra esse.

Rileva in particolare la difesa ricorrente che il M. arrivò al pronto soccorso vigile e presente a se stesso, di guisa che errata si appaleserebbe la tesi dei giudicanti, i quali avrebbero sostenuto l’impossibilità di concordare tra il F. e la vittima la versione da dare agli inquirenti perchè ricoverato il M. in stato confusionale.

Il F. sarebbe stato inoltre sentito, secondo denuncia difensiva, in costanza di violazione delle prescrizioni della sorveglianza speciale alla quale era sottoposto, eppertanto in situazione di reità, con la copertura del M., e, quindi, in violazione degli artt. 62 e 63 c.p.p., di guisa che le sue dichiarazioni sono inattendibili ed intrinsecamente non credibili ex art. 192 c.p.p.; il M. ed il F. erano, infine persone indagabili.

3. Il ricorso è infondato.

3.1 Osserva la Corte che le argomentazioni illustrate dalla difesa impugnante costituiscono la pedissequa riproposizione della doglianza di merito, puntualmente ed esaustivamente confutata dalla Corte territoriale con motivazione logicamente articolata. Con essa, inoltre, la difesa istante torna a proporre una ricostruzione degli accadimenti alternativa a quella accreditata, con argomenti privi di illogicità e contraddizioni, dalle istanze di merito. Appare pertanto opportuno precisare, sul piano dei principi, che la funzione dell’indagine di legittimità sulla motivazione non è quella di sindacare l’intrinseca attendibilità dei risultati dell’interpretazione delle prove e di attingere il merito dell’analisi ricostruttiva dei fatti, bensì quella, del tutto diversa, di accertare se gli elementi probatori posti a base della decisione siano stati valutati seguendo le regole della logica e secondo linee argomentative adeguate, che rendano giustificate, sul piano della consequenzialità, le conclusioni tratte, verificando la congruenza dei passaggi logici, con l’ulteriore conseguenza, costantemente affermata da questa Corte, che ad una logica valutazione dei fatti operata dal giudice di merito, non può quello di legittimità opporne un’altra, ancorchè altrettanto logica (Cass. 5.12.02 Schiavone; Cass. 6.05.03 Curcillo).

3.2 Ciò detto appare agevole rilevare che il preteso accordo tra le versioni rese dalla vittima e dal teste F. agli inquirenti, accordo reso possibile allorchè quest’ultimo accompagnò il M. in ospedale, risulta confutato adeguatamente dalla Corte distrettuale con la constatazione che la vittima medesima era stata colpita in modo assai grave alla gola ed arrivò in ospedale in condizioni tali da rendere del tutto impossibile e comunque assolutamente inverosimile che vi furono, in quei rapidi frangenti, le condizioni per accordarsi su alcunchè. E sono proprio le documentazioni sanitarie offerte dalla difesa ricorrente al giudizio di questa Corte, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, a smentire l’assunto difensivo in favore della motivazione decisionale, là dove si legge, nel verbale di pronto soccorso, che il M., ricoverato alle ore 2.24.08, appariva al medico del pronto soccorso che gli prestò la prima assistenza, "confuso, confabulante", quindi non nel pieno possesso delle facoltà raziocinanti e soprattutto impossibilitato a parlare ad alta voce o comunque atteggiato a parlare su bassi toni. Nè poteva essere diversamente, posto che la vittima era stata ferita alla base del collo laterale sinistro e ciò cagionava, è sempre il medico del pronto soccorso ad annotarlo, disfonia. Soltanto successivamente, e cioè dopo l’affidamento del M. al reparto di anestesia e rianimazione, questi potè recuperare presenza a se stesso e vigilanza di sè. 3.3 D’altra parte i giudici di merito hanno affidato la determinazione del loro libero convincimento non già soltanto alla concordanza di versioni tra la vittima ed il F., come detto ritenute non concordate sulla base di valutazioni motivazionali logiche e coerenti, ma anche al riscontro della consulenza balistica, che ha escluso la verosimiglianza della versione fattuale offerta dall’imputato.

Ogni altro argomento, salvo quanto si dirà in seguito, utilizzato dalla difesa istante sulla incertezza del movente, sulle reali intenzioni del gruppo capeggiato dal M. desumibili dalle circostanze di luogo e di tempo, sulla mancata indicazione delle generalità relative a due dei sodali della vittima, appare squisitamente di merito, superabile e superato dal dialettico articolarsi della motivazione impugnata innanzi sintetizzata e comunque privo di apprezzabile decisività. 3.4 Anche in ordine alla invocata applicazione della disciplina relativa alla legittima difesa va rilevato che, in questa sede di legittimità, l’unico doglianza utilizzata a sostegno della tesi difensiva è quella che censura, per un verso, la credibilità dei racconti contrari alla tesi dell’imputato e che, per altro verso, fa riferimento, come unico sostegno della tesi difensiva, alle dichiarazioni dello stesso B., ritenute soltanto per questo insufficienti.

Sul punto non può, pertanto, non rilevarsi la genericità dell’argomentare difensivo, il suo carattere di merito, l’esaustività sul punto della motivazione impugnata, che ha sostenuto la tesi della credibilità delle accuse mosse all’imputato dalla vittima, dal F. e dal C., perchè tra loro concordanti e perchè confermate dalla CT balistica.

3.5 Rimangono le censure, anch’esse peraltro articolate nella dimensione del difetto di motivazione, più strettamente connesse all’applicazione dell’art. 192 c.p.p., sotto il profilo sia della credibilità delle dichiarazioni accusatorie del M. e del F., portatori, soprattutto la vittima, di palesi astii vero l’imputato, sia della loro imputabilità per reati connessi al momento delle dichiarazioni accusatorie medesime.

Quanto alla credibilità del M. e del F. già si è ampiamente detto in ordine all’adeguatezza della motivazione spesa in sentenza ed ai profili squisitamente in fatto delle censure. Con riferimento invece alla disciplina di cui all’art. 62 c.p.p., comma 2, peraltro mai evocato nel ricorso di legittimità che limita le argomentazioni difensive alla disciplina dell’art. 192 c.p.p., correttamente ha la Corte distrettuale rilevato che l’imputabilità del M. e del F. per fatti strettamente collegati all’episodio per cui è causa, al momento delle loro dichiarazioni, si appalesava del tutto astratta, di labile potenzialità e necessariamente sottoposta ad eventuali future indagini ed accertamenti (Cass., Sez. 4, 1.12.2003, n. 4867, rv. 229377).

Con riferimento particolare poi alla violazione delle prescrizioni di sorveglianza speciale imposte al F., violate con la presenza notturna sul luogo del delitto, osserva la Corte che l’inutilizzabilità in discussione riguarda il reato eventualmente commesso dal F., che di esso non potrà essere accusato sulla base di prove date dalle sue dichiarazioni, ma non già il reato di tentato omicidio del M., trattandosi di dichiarazioni che non lo coinvolgono penalmente nel fatto reato e che si riferiscono a terzi.

4. In conclusione, il ricorso va rigettato ed il ricorrente, a mente dell’art. 616 c.p.p., condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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