Cass. Civ. Sez. I 14.03.2011 n. 5995 – equa riparazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

C.G., con ricorso alla Corte d’appello di Napoli depositato nel luglio 2006, proponeva, ai sensi della L. n. 89 del 2001, domanda di equa riparazione per violazione dell’art. 6 della C.E.D.U. a causa della irragionevole durata del procedimento penale instaurato nei suoi confronti con decreto di citazione a giudizio – per il reato di ricettazione-dinanzi al Tribunale di Nocera Inferiore notificatogli nel gennaio 1995, procedimento concluso nel maggio 2006 con sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato.

La Corte d’appello, con decreto depositato il 21 marzo 2007, rigettava la domanda, rilevando in sintesi: a)che il mancato rispetto del termine di durata ragionevole del processo – che nella specie poteva ben essere determinato in tre anni, tenuto conto della relativa celerità di soluzione e dell’esigenza di procedere alla audizione di pochi testi – non era imputabile al "giudice inteso come apparato giustizia" bensì all’utilizzo di tecniche dilatorie da parte dell’imputato, che avevano condotto a numerosi rinvii delle udienze, peraltro fissati a date lontane per cause riconducibili non all’organo giudicante ma alle difficoltà di gestione dell’Ufficio, per la soppressione della Sezione distaccata del Tribunale che aveva reso necessario il trasferimento degli atti e dell’organo giudicante presso la sede di Nocera Inferiore; b) che del resto la durata del processo non poteva aver determinato alcun danno all’immagine del ricorrente il quale, già condannato per il reato di furto, non aveva nemmeno rinunciato alla prescrizione del reato.

Avverso tale provvedimento il C. ha proposto ricorso a questa Corte con atto notificato al Ministero della Giustizia il 5 maggio 2008, formulando tre motivi. Resiste il Ministero con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 6, comma 1 CEDU (come interpretato dalla giurisprudenza della Corte europea) nonchè vizio di motivazione con riguardo: a) alla ritenuta ascrivibilità della irragionevole durata del procedimento a tecniche dilatorie dell’imputato, che non risultano dagli atti e in ogni caso non escludono il diritto alla riparazione, almeno per la differenza del tempo irragionevolmente impiegato per la conclusione del processo (motivo 1); b) alla ritenuta non addebitabilità all’apparente giustizia dei lunghi rinvii delle udienze, anche ove dipendenti dalle difficoltà organizzative derivanti dalla soppressione di una Sezione distaccata o dalle richieste del P.M. per assenza dei propri testi (motivo 2); c) alla ritenuta esclusione che una persona già condannata per reato analogo possa aver subito danno all’immagine per il protrarsi irragionevole del processo penale (motivo 3).

2.- Tali censure, da esaminare congiuntamente in quanto connesse, sono fondate. L’errore di fondo emergente dalla motivazione del provvedimento impugnato consiste nel non aver considerato che il diritto all’equa riparazione sorge per il protrarsi della durata del processo oltre il termine che, in rapporto alle caratteristiche specifiche del processo medesimo, appare ragionevole, indipendentemente dal fatto che ciò sia dipeso da comportamenti colposi di singoli operatori del processo o da fattori organizzativi di ordine generale riconducibili all’attività o all’inerzia dei pubblici poteri deputati a far funzionare il servizio giurisdizionale. In tal senso è l’orientamento consolidato di questa Corte, ben chiarito sin dalle prime pronunce (cfr. Cass. n. 15852/02;

n. 14885/02; n. 13422/02) e tenuto fermo: il disposto della L. n. 39 del 2001, art. 2, va inteso nel senso che ciò che rileva ai fini dell’accertamento della violazione dell’art. 6, comma 1 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali non è il comportamento dei singoli operatori, in quanto tali, bensì la inottemperanza dei fondamentale dovere dello Stato, nella sua veste di erogatore del servizio giurisdizionale, di fornire a ciascuno tale servizio in un tempo ragionevole, da commisurarsi alla complessità del caso specifico.

Erroneamente dunque la Corte di merito, stabilita in tre anni la durata ragionevole del procedimento penale in questione tenute conto della sua non complessità, ha ritenuto che delle disfunzioni organizzative derivanti dalla soppressione di una Sezione distaccata, che abbiano contribuito alla protrazione del procedimento oltre il suddetto limite ragionevole impedendo al giudice di fissare le udienze di rinvio a date prossime, l’Amministrazione non debba rispondere, in netto contrasto con il principio sopra ricordato. Vero è che, nella determinazione del periodo eccedente la durata ragionevole del quale l’Amministrazione debba rispondere, il giudice deve anche valutare se, ed in quale misura, a tale protrazione abbia contribuito il comportamento della stessa parte che chiede di essere indennizzata, e dei suoi difensori. Ma, da un lato, la individuazione, espressa nel decreto impugnato, dei rinvii ritenuti imputabili alla parte si mostra non chiara, non risultando fornita alcuna spiegazione delle ragioni che hanno indotto la Corte ad includere in tale ambito numerosi rinvii per "assenza testi", che non appaiono per ciò solo ascrivibili alla difesa dell’imputato. D’altro lato, non va comunque trascurato che anche i rinvii richiesti dalla parte possono essere imputati in parte all’apparato giudiziario, se e nella misura in cui la lunghezza di ciascun rinvio non risulti giustificata dalle ragioni per le quali è stato richiesto, dovendo essere piuttosto ascritta ad obiettive disfunzioni ed insufficienze dell’apparato stesso (cfr. ex multis Cass. n. 11037/2010; n. 24356/2006; n. 21020/2006).

Fondata infine è anche la terza doglianza: la circostanza della preesistenza di una condanna per delitto contro il patrimonio non è invero di per sè sufficiente per escludere che l’imputato abbia sofferto quello stato di ansia e patema d’animo che normalmente consegue alla pendenza del processo. Tantomeno può ritenersi sufficiente a tal fine la circostanza che il C. non abbia rinunciato alla prescrizione, atteso che anche la parte che resista infondatamente alla pretesa avanzata nei suoi confronti ha diritto ad una definizione del processo in un tempo ragionevole.

3.- Conclusivamente, i ricorso va accolto, il decreto impugnato va cassato e la causa rinviata alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione, perchè proceda al riesame della domanda alla stregua dei principi e delle regole di argomentazione indicate. Al giudice del rinvio incomberà anche di regolare le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione della spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 25 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 marzo 2011

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