Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 30-06-2011) 06-12-2011, n. 45368

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

C.A., D.P.M., G.D., L.E., L.S., P.A., Q.V., Lo.Lu., F.I. e P. S. sono ricorrenti avverso la sentenza 30/4/10 della Corte di Appello di Catania che, in riforma della sentenza 25/3/09 resa in giudizio abbreviato dal Gup del Tribunale di Catania, ha confermato le pene inflitte a C., L., Lo., F. e P., ridotto la pena inflitta a D.P. e rideterminato le pene inflitte a L. (qualificato il tentato omicidio di cui al capo 3-A come lesioni personali aggravate con l’uso di arma), a P. (prosciolto dal reato di associazione mafiosa con ruolo direttivo sub 1A per precedente giudicato e assolto per non aver commesso il fatto dal reato in tema di armi sub 1P), G. (cui erano concesse le attenuanti generiche) e Q. (assolto per non aver commesso il fatto dai reati sub 1H e 1M in tema di estorsioni).

Le pene, con la continuazione e la diminuente del rito, sono le seguenti:

Cassia anni 6 di reclusione per i reati di associazione mafiosa (capo 1-A) e traffico di sostanze stupefacenti (capi 2-O e 2-P);

D.P. anni 7 e mesi 8 di reclusione per i reati di associazione di tipo mafioso (capo 1-A), detenzione e porto illegali di arma comune da sparo (capo 1-O), associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e singoli fatti di traffico (capi 2-A e 2-B);

G. anni 2 di reclusione per il reato di associazione mafiosa (capo 1-A);

L. anni 16 di reclusione per i reati di associazione mafiosa con ruolo direttivo (capo 1-A) e di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti con ruolo di capo promotore e singoli fatti di traffico (capi 2-A e B);

L. anni 15 di reclusione per i reati di associazione mafiosa (capo 1-A), estorsione (1-N), associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e singoli fatti di traffico (capi 2-A e 2-B), lesione personale aggravata in danno di M.P. (capo 3-A) e connessi di porto e detenzione illegali di due pistole (capo 3-B) e ricettazione di motociclo (capo 3-C);

P. anni 15 e mesi 8 di reclusione per i reati di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti con ruolo direttivo e singoli fatti di traffico (capi 2-A, 2-B, 2-L, 2-M, B);

Q. anni 20 di reclusione per i reati di associazione mafiosa con ruolo direttivo (capo 1-A) e associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti con ruolo di capo promotore (capo 2- A), danneggiamento aggravato (1-F) ed estorsioni (capi 1-G e 1-N);

Lo. anni 7 di reclusione per i reati di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e singoli fatti di traffico (capi 2-A e 2-B);

P. anni 9 di reclusione per i reati di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e singoli fatti di traffico (capi 2-A, 2-B, 2-L, 2-M);

F., infine, anni 9 di reclusione per i reati di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e singoli fatti di traffico (capi 2-A, 2-B, 2-L, 2-M).

Il processo è l’esito di più informative di reato della Squadra Mobile della Questura e dei Carabinieri di Siracusa degli anni 2006- 2007 riguardanti il gruppo criminale denominato "Bottaro-Attanasio" operante nel territorio di quella città. Nel corso delle indagini iniziavano a collaborare tre soggetti affiliati dal 2004 al gruppo in questione e cioè S.M., B.G. e G.D., quest’ultimo già nominato tra gli attuali ricorrenti. Numerose sono anche le conversazioni telefoniche ed ambientali intercettate. Ammissioni di responsabilità da parte di alcuni imputati, tra cui quelle, parziali, di L.S. circa il ferimento di M.P., nei confronti del quale escludeva l’intento omicida.

Storicamente attive in Siracusa due associazioni di tipo mafioso, rispettivamente denominate "Bottaro-Attanasio" (che qui specialmente interessa) e "Santa Panagia". Quanto alla prima, dopo la cattura nel marzo 2004 di numerosi suoi esponenti nel processo cd. Libra, si era reso necessario un riassetto del gruppo, anche al fine di assicurare un sostegno economico alle famiglie degli affiliati tratti in arresto e di far fronte alle spese legali. In un primo tempo la reggenza fu affidata a L.S. (uno degli odierni ricorrenti), latitante dal marzo 2004 al febbraio 2005 anche con l’aiuto di B.G. (uno dei sopra nominati collaboratori di giustizia), interprete delle direttive del capo B.S. (anche circa l’attentato a M.P. compiuto il 7/1/05), il quale, benchè definitivamente condannato all’ergastolo, dal settembre 2004 era agli arresti domiciliari per gravi motivi di salute e si sarebbe poi suicidato nel maggio 2005. Dopo l’arresto del L. (febbraio) ed il suicidio del B. (maggio) la reggenza era stata assunta da Q.V. (altro odierno ricorrente), designato dallo stesso B.. Nel luglio dello stesso 2005 era P.A. (ricorrente anch’egli) che, dopo la scarcerazione, si assumeva l’incarico di riorganizzare il gruppo, insoddisfatti i sodali dell’azione del Q.. Dal dicembre di quel 2005 erano poi L.E. e il già nominato L. S., nel frattempo anch’essi scarcerati, a svolgere il detto compito direttivo. L. veniva ancora arrestato a fine luglio del 2006 e L. restava unico reggente fino agli arresti del novembre 2007 del presente procedimento. Le indagini rivelavano dunque l’esistenza di una cassa comune, dove confluivano i proventi derivanti dalle estorsioni, dal gioco d’azzardo, dal traffico di droga; che gli affiliati, alcuni di essi anche da detenuti, percepivano mensilmente uno "stipendio"; si delineavano i ruoli di ciascuno (direttivi, di raccordo, operativi nei singoli settori di intervento); si individuavano le basi logistiche e di incontro; si delineavano i contatti con le organizzazioni criminali catanesi e l’interruzione delle ostilità con il gruppo di Santa Panagia; si accertava in capo all’associazione la disponibilità e l’uso di armi.

Settori di intervento, come detto, le estorsioni ai danni di imprenditori commerciali, la gestione del gioco d’azzardo, il traffico di sostanze stupefacenti (come l’hashish e la cocaina). A tal proposito il gruppo acquistava la droga dai fornitori per poi cederla per lo spaccio a sottogruppi, quali quello guidato da U. P. (tra gli adepti Lo.Lu., uno degli odierni ricorrenti), quello cd. del Bronx, quello guidato da C.A. (altro odierno ricorrente). Degli imputati, delle imputazioni e delle condanne irrogate in appello si è detto.

Ricorrevano per cassazione dieci dei diciotto imputati giudicati in appello (ventuno gli imputati in primo grado, uno assolto; un imputato assolto in appello: definitive, quindi, due condanne in primo grado, sette in secondo).

C.A. con unico difensore deduceva vizio di motivazione: 1) il giudice aveva valorizzato le dichiarazioni dei collaboratori S. e B., dalle quali tuttavia non emergeva in modo univoco la sua pregressa partecipazione al clan Bottaro, da cui egli si era comunque staccato per spacciare droga in modo autonomo (reato, questo, pacificamente ammesso dall’imputato); il distacco dal gruppo emergeva anche dalle conversazioni con il fratello V. ed in particolare da quella intercettata in data 9/4/05, laddove l’appartenenza associativa gli era contestata fino al novembre 2006;

2) omessa dal giudice di appello, infine, ogni valutazione circa le richieste attenuanti generiche.

D.P.M. con unico difensore deduceva: 1) violazione di legge in ordine alla prova in genere, basata su dichiarazioni di collaboratori di cui non era stata indagata la credibilità intrinseca e pure mancanti di riscontri; vera la circostanza che l’imputato percepisse la (peraltro modesta) somma di 500 Euro al mese, ma ciò solamente per i suoi personali servizi di "spesino" del B. e della sua famiglia; nè egli era consapevole che il pacco consegnato al detto B. contenesse la pistola con cui poi quello si suicidò; 2) del pari carente di prova anche la sua partecipazione ai reati in materia di droga (non sviluppato dal giudice di appello il contenuto della conversazione, cui fa cenno, intercettata col Q.).

G.D. con unico difensore deduceva: 1) vizio di motivazione in ordine alla dedotta sperequazione con altro collaboratore nell’applicare l’attenuante speciale della L. n. 203 del 1991, art. 8 comunque applicata in misura inferiore al minimo di legge; 2) violazione di legge per l’applicazione prima dell’attenuante speciale e dopo di quelle attenuanti generiche (con esito pregiudizievole per l’imputato). L.E. con un primo, unico difensore deduceva: 1) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla valutazione della prova sul reato di associazione mafiosa circa il suo preteso ruolo verticistico, dedotto dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia S. e B. e in specie dai loro verbali illustrativi (non riscontrata l’affermazione dello S. che quello prendesse ordini dal L.; insufficiente per dedurne un ruolo apicale la percezione di uno stipendio; non contestato alcun reato-fine); 2) violazione di legge in ordine alla valutazione della prova sull’associazione per traffico di droga e i singoli reati-fine, da nessuna intercettazione emergendo una partecipazione del L. a tali fatti e tanto meno in posizione di vertice (allo stesso modo nulla in tal senso poteva desumersi dalle intercettazioni a carico di A.S., con cui egli era in sporadica frequentazione); 3) corrispondentemente, vizio di motivazione in ordine alle dette imputazioni per droga.

Con motivi nuovi di un secondo difensore, depositati il 9/6/11, il L. deduceva ancora violazione di legge e vizio di motivazione sul quadro probatorio relativo ai reati di droga, per i quali lo stesso PG a quo aveva chiesto l’assoluzione, e si doleva soprattutto della mancata risposta alle censure difensive (per il qual motivo neppure poteva invocarsi una motivazione per relationem dalla sentenza di primo grado): quella di appello si limitava ad un’illegittima ed apodittica estensione della condanna per associazione mafiosa ai reati di droga (dubbia infatti l’identificazione del L., noto a tutti come " P.", nel personaggio denominato invece "u longu"; mai i collaboratori avevano fatto in materia il nome del L.); e ciò valeva non solo per l’associazione ma anche per i singoli reati-fine. Deduceva anche violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al miglior trattamento sanzionatorio chiesto con l’atto di appello (misura della pena e mancata concessione delle attenuanti generiche). L. S. con atto a sua firma (qualificato come motivi aggiunti all’atto di impugnazione presentato in carcere il 10/8/10) deduceva violazione di legge e vizio di motivazione per l’errato calcolo della pena (peraltro in suo favore: anni 15 invece che 16 di reclusione o 15 e mesi 8) e mancata concessione delle richieste attenuanti generiche.

P.A. con atto a sua firma, premesso che il ruolo che gli era contestato di promotore e organizzatore era limitato a pochissimi mesi (dalla propria scarcerazione del 5/7/05 al 1/12/05, quando altri sarebbero subentrati) e che in altro processo (il cd.

Lybra, inizialmente basato nei suoi confronti sulle insufficienti dichiarazioni del collaboratore di giustizia P.R. e dove veniva condannato, solo a seguito delle dichiarazioni acqisite in appello di S. e B., con sentenza del 7/6/07) tale ruolo non gli era contestato, deduceva: 1) mancanza di motivazione in riferimento a tutte le censure sollevate in appello in ordine alla contraddittorietà delle emergenze probatorie sopra ricordate (insussistenza, in particolare, del reato sub 2-A per l’inutilizzabilità delle dichiarazioni acquisite del P., rese ad oltre sei mesi di distanza dall’inizio della sua collaborazione e peraltro limitate alla gestione della cassa comune, e le comunque discordanti dichiarazioni rese da S. e B., da cui si evince la modesta personalità criminale del P.; insussistenza dei reati sub 2-L, 2-M e B, relativi a singoli traffici di droga attribuiti al ricorrente sulla base o di isolate affermazioni del B. o di conversazioni intercorse tra terzi di equivoco significato); 2) violazione di legge sul trattamento sanzionatorio (per la misura della pena, anche per le mancate decurtazioni degli aumenti in continuazione a seguito delle assoluzioni dai capi 1-A e 1-P e l’erroneo aumento per gli altri reati in continuazione; per la mancata concessione delle attenuanti generiche).

Q.V. con unico difensore deduceva: 1) vizio di motivazione circa l’affermazione di responsabilità per i reati sub 1- F, 1-G (danneggiamento e tentata estorsione al Bar (OMISSIS)) e 1-N (estorsione alla pescheria Onda Blu) per l’erronea interpretazione delle conversazioni ritenute auto indizianti quanto ai primi due e l’assenza della ritenuta convergenza accusatoria delle dichiarazioni di B. e S. per il terzo; 2) vizio di motivazione in ordine alla ritenuta ricorrenza del ruolo di capo-promotore per entrambi i reati associativi sub 1-A e 2-A, gli elementi a carico indicando al più un ruolo marginale o subordinato e comunque limitato nel tempo; 3) violazione di legge per la reformatio in pejus derivata dall’aumento di sei mesi per tutti i sedici reati in continuazione, laddove in primo grado per i reati sub 1-Q e 2-J esso era stato di soli tre mesi.

Lo.Lu. con unico difensore deduceva: violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al reato associativo sub 2-A, censurando l’erronea interpretazione delle dichiarazioni rese dallo S. sul ruolo del ricorrente nei tre verbali informativi da quello formati ed il mancato riscontro in proposito nelle dichiarazioni del B., che non gli attribuisce alcun ruolo nel settore delle sostanze stupefacenti, al quale, eppure, egli sarebbe stato preposto; 2) vizio di motivazione per l’omessa valutazione delle dichiarazioni del B..

F.I. e P.S., con unico atto di comune difensore, deducevano: 1) violazione di legge e vizio di motivazione sulla inutilizzabilità delle intercettazioni, la cui esecuzione era autorizzata (attraverso un generico richiamo alla certificazione, a sua volta stereotipa e non specifica, di un funzionario) a mezzo di impianti diversi da quelli in dotazione all’ufficio di procura; 2) violazione di legge e vizio di motivazione sulla ritenuta partecipazione dei ricorrenti al sodalizio per traffico di droga aggravato dall’ingente quantità, mancando di ciò ogni elemento significativo prima e dopo la conversazione intercettata l’11/9/05 tra il B. ed il soggetto palermitano poi individuato nel F. ed i sequestri di droga eseguiti il 19/9/05 ed il 10/10/05 a carico di G.G. e di C.R.; generici i richiami dei collaboratori che identificano il F. in " F." e il P. in "quello con gli occhiali" ma giusta la sentenza è P. che così definisce G.: ndr); 3) violazione di legge e vizio di motivazione sulla pretesa quantità ingente della droga acquistata e venduta; 4) violazione di legge e vizio di motivazione per la omessa configurazione della ipotesi associativa attenuata del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 6;

5) violazione di legge e vizio di motivazione per la ritenuta responsabilità dei due ricorrenti in ordine alle singole cessioni di cui ai capi 2-L e 2-M (cinque ore prima del sequestro del 19/9/05 la telefonata del F. col B.; mai intercettato il P.); 6) violazione di legge e vizio di motivazione per la mancata concessione delle attenuanti generiche.

Alla pubblica udienza fissata per la discussione il PG concludeva per l’annullamento con rinvio per L., P. e Q. in ordine al loro trattamento sanzionatorio (rigetto nel resto per P. e Q.), per l’inammissibilità dei ricorsi C., D.P., G., L. e Lo. e per il rigetto del ricorso di F. e P.; concludevano per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi le difese di Q., P. (non ammessa una memoria ex art. 121 c.p.p., la trattazione del processo in pubblica udienza di cassazione ex art. 614 c.p.p. essendo orale, salva l’analogica applicazione – che qui non ricorre – dell’art. 611 c.p.p.), D.P., L. e F. e P..

Le singole posizioni.

Il ricorso di C.A. è fondato solo in ordine al mancato esame del motivo di appello relativo al diniego in primo grado delle circostanze attenuanti generiche; è infondato nel resto. La sua appartenenza associativa, a capo di un sottogruppo dei Bottari- Anastasio (cd. di via Italia), specialmente dedito al traffico della droga, è nelle dichiarazioni sia di S. che di B., i quali ricordano entrambi la sua adesione al sodalizio (importante il dettaglio, riferito dallo S., che in costanza di rapporto il C. percepisse uno stipendio di circa 2.000 Euro mensili), da cui solo successivamente veniva allontanato (per aver rifiutato l’incarico di gambizzare C.S.). La circostanza trova riscontro nella conversazione intercettata (il 2/9/05) nel carcere di Melfi, dove è detenuto C.V., fratello dell’imputato, quando C.A. spiega all’interlocutore le ragioni (per così dire tecniche) del rifiuto. Precedenti conversazioni in carcere (l’8 e il 9/4/05) con lo stesso fratello confermano anche la fuoriuscita dal gruppo facente capo al B., avvenuta nel febbraio 2005. L’allontanamento non gli impedì tuttavia (giusta conversazioni intercettate dal 28/4 al 5/7/05) di mantenere il collegamento con Q.V., delegato dallo stesso B. per la reggenza del gruppo ed il controllo del traffico di droga (nei richiamati colloqui intercettati in carcere l’8 e 9/4/05 è lo stesso C. ad affermare l’attualità del nuovo sodalizio ed il sistema, anche da lui rispettato, degli stipendi agli affiliati). Corretto il rilievo del giudice di appello fondato su massime d’esperienza, per cui il mantenimento dei rapporti del C. con il gruppo B. non consente di affermare la cessazione del sodalizio.

Del tutto assente invece nella sentenza di appello ogni motivazione circa la doglianza sulla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. Di ciò dovrà farsi carico (previo annullamento sul punto) il giudice del rinvio.

Del tutto infondato il ricorso di D.P.. Correttamente valutati nella loro credibilità intrinseca ed estrinseca i collaboratori B. e S. e riscontrate (tra loro e dalle intercettazioni ricordate dai giudici di merito) le loro dichiarazioni: la percezione dello stipendio è per sè sintomo associativo e la sua misura è commisurata al ruolo, che nel caso dell’imputato ("spesino" o più propriamente uomo di fiducia di B.S., ma alla bisogna anche porta-messaggi, accompagnatore, vedetta) può ammettersi modesto, ma non estraneo ai compiti di un associato. La piena intraneità al sodalizio del D.P. e la sua qualità di uomo di fiducia del capo danno la corretta lettura anche dell’episodio della consegna fatta al B. del pacco contenente la pistola con cui quello poi si suicidò. Provato, allo stesso modo (contatti intrattenuti col Q.), il suo contributo (materiale e morale) in tema di traffici di droga (generica la doglianza del ricorrente in proposito). Consegue il rigetto con condanna alle spese.

Manifestamente infondato, e quindi inammissibile, il ricorso di G.D.. La attenuante collaborativa (tra l’altro in un contesto di complessiva riduzione di pena) risulta correttamente applicata, in misura (seppur di poco) non inferiore al minimo di legge. L’eventuale difformità di trattamento con altri imputati deriva dal diverso, motivato appezzamento del giudice di merito, in quanto tale incensurabile in sede di giudizio di legittimità, quale emerge dalla analisi delle singole posizioni. Corretto anche l’ordine di applicazione delle attenuanti. Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna alle spese ed al versamento di una congrua somma alla cassa delle ammende.

Il ricorso di L.E. è fondato per quanto di ragione.

Infondato per quanto riguarda il reato di associazione mafiosa con ruolo di vertice: in tal senso vi sono le probanti chiamate in correità dei collaboratori S., G. e B., riscontrate tra loro e dalle conversazioni intercettate. S. ricorda fin dalle prime dichiarazioni la figura associativa del L., che – detenuto – impartiva ordini agli associati in libertà sia per la gestione delle attività estorsive che per la misura degli stipendi da corrispondere. Egli stesso (così B.) percepiva circa 2.500 Euro quando era in carcere e alla scarcerazione aveva preso le redini del gruppo criminale. Maggiori dettagli sia in ordine alla gestione del gruppo (le estorsioni curate dal L., il traffico di droga dal L.) che degli stipendi (prelievi a tal fine a mesi alterni dalle distinte casse dei due settori) vengono infine dal G. (secondo cui, dopo l’arresto del L., L. si curò pure della droga). La reggenza del gruppo da parte di " P." ( L.) dopo la sua scarcerazione è confermata anche da alcune conversazioni intercettate tra C. V. ed il cognato G.M.. Accertata da servizi di pg la frequentazione del L. con soggetti contigui o intranei al sodalizio come P.A.. Marginali i rilievi logico- fattuali della difesa sul ruolo direttivo del L.. La responsabilità per il reato associativo, infine, prescinde dalla contestazione di singoli reati-fine.

Insufficientemente motivata invece la responsabilità aggravata del L. per il reato associativo in tema di stupefacenti e per i singoli reati fine. Al proposito la parola del G. appare isolata, anche se credibile (logico che dopo l’arresto del co- reggente L. il settore da quello curato passasse all’altro co- reggente, L.E.). Non indicati sicuri riscontri esterni. Di ciò (previo annullamento sul punto) si farà carico il giudice del rinvio. Assorbiti i motivi sul trattamento sanzionatorio.

Infondato il ricorso di L.S.. Nel corso del giudizio di secondo grado l’imputato ha ammesso tutti i fatti contestati, negando solo l’intento omicida nella aggressione al M., al quale – secondo le stesse disposizioni del B. – doveva solo dare una lezione. La linea difensiva è stata accolta ed il L. ha beneficiato di una congrua riduzione di pena. Oggi lamenta il suo errato calcolo e l’assenza di motivazione in ordine alle richieste attenuanti generiche.

Deve per contro osservarsi che l’evidenziato errore nel calcolo di pena, pur esistente, si risolve comunque a vantaggio dell’imputato (nella misura, in difetto, di un anno: da sedici a quindici anni di reclusione).

Implicita, d’altra parte, la motivazione per le negate attenuanti generiche: ricordata la relativa richiesta nel riassunto dei motivi di appello, nel motivare il trattamento sanzionatorio il giudice fa espresso richiamo "alla gravità dei fatti e alla negativa personalità dell’imputato, che annovera a suo carico gravi e specifici precedenti penali, ed alla elevata intensità del dolo".

Consegue il rigetto del ricorso, con condanna alle spese.

Fondato il ricorso di P.A.. Invero l’accusa a suo carico per associazione (aggravata dal ruolo direttivo) finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e singoli reati-fine, fonda sulle originarie dichiarazioni del collaboratore P. (secondo cui egli fungeva da cassiere per il gruppo nel settore della droga), cui si sono aggiunte quelle del B. (che riferisce di un carico di 50 kg di hashish proveniente da Palermo organizzato dal P.). La sentenza di appello fa cenno, a conferma del ruolo e specificamente dei traffici intrattenuti con i fornitori di Palermo, ai contenuti delle intercettazioni richiamate in una certa informativa (denominata Tenax) dei CC di Siracusa, da cui risultavano i diretti e continui rapporti telefonici del soggetto con i fornitori palermitani (due le forniture trattate: l’una di 50, l’altra di 120 kg di hashish, entrambe conclusesi con l’arresto del corriere e il sequestro dello stupefacente), ma di tali contenuti non è offerto al vaglio critico del lettore alcuno scampolo che consenta di apprezzarne la valenza accusatoria. Di per sè sole, poi, le dichiarazioni di P. e B., che hanno diverso oggetto, non possono dirsi di reciproco riscontro sul P. se non per la sua collocazione, all’interno del gruppo mafioso (per il che è già stato definitivamente condannato in altro processo), nel settore degli stupefacenti. La motivazione in ordine a tutte le (residue) imputazioni a carico del P. (in relazione alla droga: partecipazione associativa con ruolo direttivo e reati fine) va perciò meglio e più puntualmente svolta. Di ciò, previo annullamento della sentenza impugnata, si farà carico il giudice del rinvio.

Il ricorso di Q.V. è fondato limitatamente al rilevato errore di calcolo nel trattamento sanzionatorio. L’errore (la determinazione in pejus degli aumenti di pena per i reati in continuazione 1/q e 2/j, fissati in appello nella misura di sei mesi di reclusione ciascuno rispetto ai tre mesi ciascuno del primo grado), tuttavia, è tale da essere ovviato in questa stessa sede di legittimità – con annullamento senza rinvio sul punto della sentenza impugnata – operando la dovuta correzione e ferma restando la misura della pena finale di 20 anni di reclusione (risultante dalla diminuzione di un terzo per il rito della pena complessiva – ex art. 78 c.p. – di 30 anni di reclusione, comunque tale sia partendo dai 31 anni erroneamente calcolati in sentenza che dai 30 anni e 6 mesi corretti in questa sede).

Infondato il ricorso per il resto. Correttamente e congruamente motivate le condanne per il danneggiamento e l’estorsione sub 1/F ed 1/G (Bar del Ponte) e l’estorsione sub 1/N (pescheria Onda Blu): la prova della responsabilità del Q. per il primo fatto criminoso è nelle conversazioni del 21/7/05 dove l’imputato si attribuisce il fatto e fa poi esplicito riferimento all’utilizzazione di una bomboletta di gas da campeggio (circostanza confermata dall’accertamento di Pg, per cui l’esplosione era stata causata proprio da una bomboletta di quel tipo); la prova della responsabilità per il secondo fatto criminoso a carico del Q. è nelle convergenti dichiarazioni accusatorie di B. e S. (così i giudici di piena cognizione di primo e secondo grado, laddove il ricorrente richiama il diverso giudizio del giudice cautelare). Allo stesso modo il ruolo di vertice rivestito in entrambe le associazioni dall’imputato dopo l’arresto del L. è provato dalle convergenti dichiarazioni dei due detti collaboratori, riscontrati sul punto anche da conversazioni intercettate dalle quali si apprende che egli si occupava anche della corresponsione degli stipendi, incarico di cui il Q. stesso, in una conversazione intercettata il 12/5/05, lamentava la gravosità.

Fondato il ricorso di Lo.Lu.. La partecipazione dell’imputato alla associazione per droga sub 2/a non risulta, infatti, adeguatamente motivata. L’accusa riposa solo sulle dichiarazioni di S., secondo cui il Lo. (piccolo spacciatore dichiarato, in amicizia con lo stesso S. ed in parentela con il L.) spacciava abitualmente per conto dell’associazione (senza peraltro farne parte). L’affermazione abbisogna comunque di riscontri (eventualmente da rinvenire nelle dichiarazioni del B., ignorate dal giudice di appello). Di ciò, previo annullamento sul punto, si farà carico il giudice del rinvio. Ferma l’accertata responsabilità per i reati sub 2/b.

Infondato il ricorso di P.S. e F.I.. Su ognuno dei punti toccati si è già correttamente e congruamente espresso il giudice di merito. Infondato il primo motivo.

L’indisponibilità (insufficienza) degli impianti siti presso la Procura (e quindi la legittima utilizzazione degli impianti installati presso gli uffici della Pg) è attestata con modalità conformi a quelle richieste dalla giurisprudenza di questa Corte (opportunamente richiamata dal giudice di appello la sentenza a S.U. Gatto, n. 919 del 26/11/03, rv. 226487). In assenza di aggiornamenti, l’indisponibilità inizialmente attestata si presume persistere per tutto il periodo successivo (il contrario rilievo è della difesa in sede di discussione orale).

Infondato il secondo motivo. Illogico sostenere che dal contenuto periodo di tempo intercorrente tra la conversazione intercettata l’11/9/05 (tra F. e B.) ed i sequestri di droga (e arresto dei corrieri) del 19/9 e 10/10/05 non possa desumersi una partecipazione associativa dei soggetti coinvolti prima e dopo quel periodo, essendo evidente come ripetute forniture di quell’importanza (adeguatamente preparate con precedenti contatti) siano l’espressione di una continuità e stabilità di rapporti, tali da integrare gli estremi, anche, del rapporto associativo. L’identificazione degli imputati ad opera dei collaboratori di giustizia è puntuale e confermata dalle conversazioni intercettate.

Infondato il terzo motivo. La forma associata dell’agire e l’aggravante quantitativa nei traffici di stupefacente contestati è nella misura stessa delle singole operazioni e, complessivamente, dell’intero traffico.

Infondato il quarto motivo. Per la stessa ragione indicata nel precedente paragrafo è da escludere l’attenuante del reato associativo connessa coi fatti di lieve entità di cui ai singoli reati-fine.

Infondato il quinto motivo. Massima la prova per gli specifici fatti di cui ai capi 2-L e 2-M, tra loro in sequenza e culminati entrambi col sequestro della mercè trasportata e l’arresto dei corrieri, preceduto il primo ( F. qualche ora prima col B.) e seguito ( P. che commenta l’arresto del G., "quello con gli occhiali") da conversazioni che palesemente denotano il coinvolgimento degli imputati. Infondato infine il sesto motivo, che si duole per la misura della pena e il diniego delle attenuanti generiche che – l’una e l’altro – il giudice di merito ha espressamente e correttamente motivato (notevole gravità dei fatti, protrarsi nel tempo dell’attività delittuosa, negativa personalità di entrambi gli imputati e intensità del dolo; assenza di circostanze che possano genericamente indurre ad una diminuzione della pena). Consegue il rigetto con condanna alle spese.

P.Q.M.

Annulla, senza rinvio, la sentenza impugnata nei confronti di Q.V., limitatamente agli aumenti di pena per i reati di cui ai capi 1/q e 21, che ridetermina in mesi tre per ciascun delitto, restando invariata la pena principale di anni venti di reclusione.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Lo.Lu., limitatamente al reato di cui al capo 2/a, nei confronti di C. A., limitatamente al diniego delle attenuanti generiche, nei confronti di L.E., limitatamente ai reati di cui ai capi 2/a e B e nei confronti di P.A. e rinvia per nuovo giudizio, sui capi e i punti anzidetti, ad altra sezione della Corte di appello di Catania.

Rigetta, nel resto, i ricorsi di C., L., Lo. e Q..

Rigetta i ricorsi di D.P.M., L. S., F.I. e P.S., che condanna al pagamento delle spese processuali.

Dichiara inammissibile il ricorso di G.D., che condanna al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000 (mille) alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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