Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 22-06-2011) 06-12-2011, n. 45367

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

a) La sentenza di primo grado.

Con sentenza del 13 maggio 2008 il G.u.p. del Tribunale di Catanzaro, all’esito del giudizio abbreviato, ha condannato, per quanto qui interessa, A.H.H., E.J., R.A. E. e Y.T. per il delitto di partecipazione ad associazione per delinquere (capo A della imputazione), qualificata la partecipazione di E.J. come concorso cd. esterno nel reato ai sensi dell’art. 110 cod. pen., finalizzata al favoreggiamento della permanenza illegale di cittadini stranieri nel territorio dello Stato, con modalità consistenti nell’organizzazione di sistematiche fughe di gruppo dal Centro di prima accoglienza di S. Anna di Isola Capo Rizzuto. b) La sentenza impugnata.

Con sentenza dell’8 marzo 2010 la Corte d’appello di Catanzaro ha riformato la sentenza di primo grado limitatamente al trattamento sanzionatorio, riducendo la pena per tutti gli imputati al fine di adeguarla alla effettiva entità dei fatti, mentre ha confermato il diniego delle circostanze attenuanti generiche, tenuto conto della consistente gravità dei fatti e della obiettiva capacità a delinquere insita nell’esercizio dell’attività illegale in forma stabile e organizzata. c) Il compendio probatorio.

Il compendio probatorio della partecipazione degli imputati R. A.E., quale organizzatore, di A.H.H. e Y. T., quali partecipi, e di E.J., quale concorrente esterno, all’attività di due gruppi (una cellula marocchina e una eritrea), dediti a organizzare – a scopo di lucro -fughe collettive di clandestini dall’indicato Centro di prima accoglienza, era rappresentato dagli esiti univoci dell’attività di intercettazione condotta dalla D.D.A. di Catanzaro, nel periodo compreso tra il mese di maggio 2006 e il mese di marzo 2007, in continuità con diverse altre operazioni analoghe, che avevano già permesso di individuare gruppi simili operanti stabilmente, con le stesse finalità, intorno al Centro di prima accoglienza di Crotone.

Dalle conversazioni registrate erano, infatti, emerse consuetudine di rapporti e collaudate modalità operative, probative della sussistenza di un programma duraturo e stabile di assistenza alle fughe degli stranieri e alla loro entrata nella clandestinità, destinato a durare oltre gli episodi specifici, con riparto di ruoli e di competenze e con l’ausilio di un rudimentale apparato logistico e strumentale. d) Le ragioni della decisione.

La Corte d’appello, dopo aver sintetizzato la vicenda giudiziaria, ha rigettato le doglianze preliminari relative alla utilizzabilità delle conversazioni intercettate e nel merito ha, in particolare, ritenuto, con riferimento alle posizioni rilevanti in questa sede, con riguardo al contestato reato associativo, che:

d.1. quanto all’imputato R.A.E., detto A., – lo stesso era risultato essere, sulla base degli univoci elementi desumibili dalle conversazioni intercettate, uno dei capi dell’associazione composta da soggetti di nazionalità marocchina, della quale facevano parte, o con la quale avevano cooperato come concorrenti esterni, tutti gli imputati, ad eccezione di Y. T., affiliato al gruppo degli eritrei;

– l’ipotesi criminosa contestata era sorretta da una serie di elementi, specificatamente riportati nella sentenza di primo grado e rappresentati dall’esistenza di basi logistiche, dall’approntamento di fughe collettive quando si verificava o si profilava l’arrivo di un nuovo "carico" di clienti, dall’esistenza di un riparto di compiti, dall’approntamento dello strumentario occorrente per attuare materialmente le fughe, il successivo ricovero dei fuggiaschi e le loro partenze verso altre destinazioni, dai riferimenti alla organizzazione cui rendere conto delle svolte attività, e dalla consuetudine di rapporti, chiaramente indicativa di un’attività esercitata in modo duraturo e stabile e in attuazione di un programma indeterminato;

– non aveva rilievo, in rapporto alla esistenza della contestata associazione, l’assoluzione per i reati-fine di cui ai capi B) e C);

– il ruolo di promotore dell’ A. nell’organizzazione era riconosciuto dai complici ed emergeva dal tenore delle conversazioni intercettate;

– la sua identificazione era certa, atteso il contenuto dei colloqui telefonici, il riferimento al soggetto interlocutore nella quasi totalità delle conversazioni con il suo nome ( A.) e l’incisivo riscontro costituito dal suo arresto commentato dai complici nelle conversazioni intercettate nei giorni successivi;

d.2. quanto all’imputato A.H.H.;

– la prova della sua partecipazione alle attività del gruppo era desumibile dalle intercettazioni telefoniche e dalle dichiarazioni sostanzialmente confessorie dallo stesso rese, negli interrogatori successivi al suo arresto, in ordine alla sua partecipazione a scopo di lucro alle attività del gruppo, che procurava le fughe dei clandestini;

d.3. quanto all’imputato E.J.;

– la prova del suo concorso esterno nel reato associativo era rappresentata dal contributo materiale, concreto e continuativo alle attività del gruppo, cui dichiaratamente lo stesso aspirava a far parte, espresso attraverso le plurime condotte di ausilio tenute mentre si trovava nel Centro di accoglienza S. Anna, segnalando le indagini svolte dagli organi di polizia all’interno del stesso Centro, mettendo in contatto i clandestini con l’organizzazione, ricevendo rassicurazioni sul compenso spettantegli, contribuendo al rafforzamento dell’organizzazione e alla espansione nel Centro della capacità della stessa di penetrazione e radicamento;

d.4. quanto all’imputato Y.T..

– la sua responsabilità quale partecipe all’attività dell’associazione, composta di cittadini eritrei (certamente più di tre), dedita a favorire a scopo di lucro l’immigrazione in Italia dei connazionali e la loro emigrazione in altri Paesi Europei anche con il ricorso a sotterfugi ed espedienti per ingannare le autorità di frontiera circa la loro reale identità, fornendo il servizio di vettore dedito al trasporto dei connazionali da Milano verso la Svizzera e altri Paesi Europei, era provata dalle operazioni di intercettazione e dalle stesse dichiarazioni del predetto, che aveva riconosciuto di avere offerto, dietro compenso, un "servizio" di viaggio a chi glielo chiedeva. e. I ricorsi.

Avverso la citata sentenza hanno proposto ricorso per cassazione tutti gli imputati sopra indicati: A.H.H., E. J., R.A.E. e Y.T.. e.1. A.H.H. ricorre per mezzo del suo difensore avv. Bruno Napoli. e.1.1. Con unico motivo il ricorrente denuncia inosservanza e mancata applicazione dell’art. 62-bis c.p., e carenza e illogicità della motivazione quanto alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, perchè la Corte di merito non solo ha rafforzato la disparità di trattamento sanzionatorio nei confronti degli imputati dello stesso processo, ma non ha tenuto in debito conto, con riferimento a esso ricorrente, la confessione resa, il leale comportamento processuale tenuto riferendo agli inquirenti, fin dall’inizio, circostanze precise, dettagliate e concordanti, e le condizioni di vita individuale, familiare e sociale del Paese estero di provenienza, influenti sul suo atteggiamento mentale. e.2. E.J. ricorre per mezzo del suo difensore avv. Gregorio Viscomi. e.2.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per motivazione meramente ripetitiva, nei suoi passaggi, di quella di primo grado, e senza la prova effettiva del vaglio del materiale probatorio e delle censure contenute nell’atto di appello. e.2.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), per erronea applicazione degli artt. 110 e 416 cod. pen. in ordine alla prova del contributo causale fornito all’associazione.

Secondo il ricorrente, in particolare, la Corte, limitandosi a ripetere la motivazione della sentenza di primo grado, è incorsa nello stesso errore di diritto di quest’ultima, ritenendo provata la sua condotta collaborativa, qualificata quale concorso esterno in associazione per delinquere, mentre dalle intercettazioni in atti era emerso, al più, un suo tentativo di far parte dell’associazione, al quale nessun contributo aveva comunque fornito, avendo solo mirato a un ritorno economico personale. e.2.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per illogicità della motivazione in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, non riconosciutegli da parte della Corte, che aveva pur dato atto della contraddittoria concessione delle stesse in favore dell’unico imputato condannato in primo grado, oltre che per il delitto associativo, anche per altro grave fatto delittuoso. e.3. R.A.E. ricorre per mezzo del suo difensore avv. Gregorio Viscomi. e.3.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per mancanza di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza della presunta associazione, nonchè in ordine alla sua identificazione.

Il ricorrente, in particolare, deduce che il G.u.p. aveva in modo incoerente individuato le tre fasi distinte della vita dell’associazione (sbarco, fuga, liberazione dei clandestini dietro compenso) e affermato la sussistenza della stessa in difetto della prova della prima e della terza fase, con ricorso a formule di stile, e che la Corte d’appello, incorrendo nello stesso errore, non ha calato nella realtà processuale gli elementi potenzialmente idonei a dimostrare l’esistenza di un’associazione e non ha tenuto conto della incidenza dell’assoluzione per i reati-fine sulla esistenza dell’associazione.

Nè, ad avviso del ricorrente, il suo riconoscimento era certo, essendo il nome di battesimo comune e non individualizzante, avendo il giudice di primo grado – che aveva pur detto che non era sufficiente a identificarlo il nome A. risultante dalle intercettazioni – fatto riferimento ad assunti indimostrati e avendo la Corte, contraddicendo il G.u.p. che aveva escluso il ricorso ad altri appellativi per chiamarlo, tratto la sua identificazione dai commenti fatti da altri soggetti dopo il suo arresto. e.3.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per mancanza di motivazione sul ruolo svolto e, quindi, sulla sussistenza degli elementi per ritenere la fattispecie di cui all’art. 416 c.p., comma 1, invece che quella di cui al comma 2, sul rilievo che la sentenza impugnata ha ritenuto esso ricorrente promotore, piuttosto che organizzatore, dell’associazione, sulla base di affermazioni immotivate, sganciate dai dati fattuali, senza serio vaglio del materiale probatorio e con mero richiamo alle intercettazioni e alle dichiarazioni di un correo, non valutato ai sensi dell’art. 192 c.p.p.. e.3.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per mancanza assoluta di motivazione in ordine alla sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416 c.p., comma 5, rilevando che la Corte ha omesso di affrontare la questione, prospettata con i motivi di appello e risultante dalla sentenza di primo grado, della esistenza di diverse associazioni, che non consentiva di ritenere che ciascuna fosse formata da più di dieci soggetti. e.3.4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per illogicità della motivazione in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e in ordine alla quantificazione della pena.

Si assume che illogicamente le attenuanti non sono state riconosciute al ricorrente da parte della Corte, che aveva dato atto della contraddittoria concessione delle stesse in favore dell’unico imputato condannato, oltre che per il delitto associativo anche per altro grave fatto, e aveva ritenuto tale circostanza motivo per diminuire la pena agli altri imputati.

Tale diminuzione di pena era tuttavia risultata non motivata e del tutto irrisoria, dopo l’affermazione iniziale della eccessività della pena inflitta dal G.u.p., prossima al massimo. e.4. Y.T. ricorre per mezzo del suo difensore avv. Gregorio Viscomi. e.4.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), per erronea applicazione della legge penale in ordine alla possibilità di configurare la fattispecie di cui all’art. 416 cod. pen., essendo il numero dei correi pari a due, e per totale assenza di motivazione sul punto.

Secondo il ricorrente, l’associazione per delinquere ipotizzata non è configurabile perchè sarebbe formata solo da due persone, avendo esso ricorrente evidenziato in atto di appello di avere, al limite, intrattenuto rapporti illeciti solo con un altro soggetto. e.4.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per illogicità della motivazione in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e in ordine alla quantificazione della pena.

Si assume che illogicamente le attenuanti non sono state riconosciute a esso ricorrente da parte della Corte di merito, che aveva dato atto della contraddittoria concessione delle stesse in favore dell’unico imputato condannato, oltre che per il delitto associativo, anche per altro grave fatto, e aveva ritenuto tale circostanza motivo per diminuire la pena agli altri, pervenendo, tuttavia, a una immotivata e del tutto irrisoria diminuzione di pena.

Motivi della decisione

1. Va fatta, innanzitutto, una premessa di carattere generale con riferimento ai vizi di mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, articolati dai ricorrenti sotto diversi profili.

1.1. Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione deve essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, e di procedere alla "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, dep. 02/07/1997, Dessimone e altri, Rv. 207944, e, tra le successive conformi, da ultimo Sez. 6, n. 29263 del 08/07/2010, dep. 26/07/2010, Capanna e altro, Rv. 248192).

Non integra, infatti, manifesta illogicità della motivazione come vizio denunciabile in questa sede, la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali, nè la diversa ricostruzione degli atti ritenuta più logica, nè la minima incongruenza, nè la mancata confutazione di un’argomentazione difensiva.

L’illogicità della motivazione deve, invece, consistere in carenze logico -giuridiche, risultanti dal testo del provvedimento impugnato ed essere evidenti, e cioè di spessore tale da essere percepibili ictu oculi, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, dep. 22/10/1996, Di Francesco, Rv. 205621; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, dep. 16/12/1999, Spina, Rv. 214794; Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, dep. 23/06/2000, Jakani, Rv. 216260; Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, dep. 10/12/2003, Petrella, Rv. 226074, e, tra le successive conformi, da ultimo, Sez. 3, n. 40873 del 21/10/2010, dep. 18/11/2010, Merja, Rv. 248698).

2. L’esame dei singoli ricorsi deve, quindi, procedere avendo riguardo ai predetti principi, che questo Collegio condivide e riafferma, agli elementi – come sintetizzati nella parte espositiva – ritenuti in sentenza tali da comprovare la responsabilità degli imputati per il reato associativo e ai rilievi – pure già sintetizzati – espressi con i proposti ricorsi.

3. Ricorso proposto da A.H.H..

3.1. L’unico motivo del ricorso, attinente al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, è manifestamente infondato.

E’, infatti, del tutto irrilevante il rilievo difensivo che intende trarre argomento di censura della decisione impugnata dal confronto con altre posizioni giuridiche, in contrasto con la necessaria valutazione individualizzata del trattamento sanzionatorio e delle circostanze del reato, che non può prescindere, per ciascuna posizione, dai parametri considerati dall’art. 133 cod. pen., applicabili anche ai fini dell’art. 62-bis cod. pen..

Inammissibile è, poi, la doglianza che riguarda la non compiuta valutazione della personalità del ricorrente quanto alla confessione resa e al comportamento processuale tenuto, avendo la Corte di merito, che ha concordato con le valutazioni svolte sul punto dal primo Giudice, congruamente e logicamente evidenziato, nell’esaminare specificatamente la posizione del ricorrente, il "contenuto edulcorato e solo parzialmente ammissivo" delle dichiarazioni dallo stesso rese, relative a fatti già provati aliunde, e contenenti spiegazioni relative al proprio reclutamento "artificiose e poco credibili" e giustificazioni della sua condotta "intrinsecamente poco plausibili" e non riscontrate.

Si tratta di un apprezzamento in fatto, congruo e non illogico, non censurabile opponendo una alternativa analisi valutativa, affidata all’affermata, e indimostrata, mancata contestazione in dibattimento da parte del Pubblico Ministero delle informazioni fornite, ed estranea, per sua natura, al tema di indagine legittimamente proponibile come oggetto di censura di legittimità.

Del pari inammissibile è la generica censura riguardante le condizioni di vita individuale, familiare e sociale del ricorrente, non resa più specifica, nella sua incidenza sulla valutazione della capacità a delinquere dello stesso, dal riferimento pure generico alle tensioni e ai conflitti del Paese estero di provenienza e alle influenze negative, non volute, sull’atteggiamento mentale del predetto.

3.2. Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.

4. Ricorso proposto da E.J..

4.1. Quanto al primo motivo, si rileva che la censura, con la quale si sostiene che la sentenza di appello non è sorretta da autonoma congrua motivazione per essere stati integralmente trascritti nella stessa alcuni passaggi della sentenza di primo grado, senza la prova effettiva del vaglio del materiale probatorio e delle censure contenute nell’atto di appello, è manifestamente infondata.

La Corte di merito ha, infatti, svolto una particolareggiata analisi della posizione del ricorrente, con la specificazione delle emergenze probatorie acquisite attraverso le attività di intercettazione delle conversazioni telefoniche; con la specifica valutazione della condotta in rapporto a dette emergenze, e con l’argomentata indicazione delle ragioni della condivisa ricostruzione delle risultanze delle indagini e della sufficiente specifica valutazione del materiale probatorio, operate dal primo Giudice.

4.2. Le censure sviluppate con il secondo motivo, che oppongono alla qualificazione della condotta del ricorrente in termini di concorso esterno nel reato associativo la carenza probatoria del contributo causale dello stesso all’associazione, sono inammissibili.

La Corte, invero, nell’analizzare le censure svolte con i motivi di appello, cui ha fornito adeguata risposta, ha condiviso la corretta applicazione, operata dal primo Giudice, dei principi in tema di concorso esterno, richiamando pertinenti decisioni di questa Corte, e ha rappresentato, sulla scorta di specifici richiami alle conversazioni intercettate, sia le ragioni della inesistenza di un rapporto organico dell’imputato con l’organizzazione, della quale lo stesso, non ancora affiliato, aspirava dall’esterno a far parte, sia le plurime e concrete condotte di ausilio da parte dello stesso alle attività del gruppo, e il sicuro rafforzamento derivato, sul piano economico e su quello operativo, da dette condotte all’organizzazione.

Le argomentazioni difensive, che oppongono che dalle intercettazioni in atti era emerso al più un tentativo del ricorrente di far parte dell’associazione, alla quale nessun contributo aveva comunque fornito, avendo mirato a un ritorno economico meramente personale, si risolvono in doglianze generiche che, astratte dalle ragioni argomentate dalla decisione impugnata e prospettate formalmente sotto il profilo della violazione di legge, tendono a una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, e sottratta a sindacato di legittimità. 4.3. Manifestamente infondato è, infine, il terzo motivo, con il quale il ricorrente afferma illogica la motivazione della decisione che gli ha negato le circostanze attenuanti generiche.

La dedotta illogicità della motivazione è posta dal ricorrente in correlazione al diverso trattamento riservato dal primo Giudice al coimputato condannato anche per un grave fatto diverso da quello associativo, oltre che per il reato associativo, a differenza dello stesso ricorrente, e non sanato dalla riduzione della pena sulla base di presupposti diversi da quelli per i quali era invocata l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche.

Si tratta di una censura che attiene alla valutazione operata, con riferimento ad un coimputato non parte del giudizio di appello, da parte del primo Giudice sulla base di elementi non noti, e non censurabili comunque nè da parte del Giudice di appello nè in questa sede, e pertanto non esportabili per la valutazione della posizione del ricorrente, che non evidenzia nessun significativo elemento di segno opposto non considerato a suo favore.

4.4. Consegue agli svolti rilievi la declaratoria di inammissibilità del ricorso di E.J..

5. Ricorso proposto da R.A.E..

5.1. Le censure svolte con il primo motivo attengono innanzitutto alla sussistenza del reato associativo, che si assume affermata sulla base di formule di stile, sganciate dal riferimento alle emergenze probatorie, e di elementi potenzialmente idonei a dimostrare l’esistenza dell’associazione, ma non calati nella realtà processuale attraverso la dimostrazione che gli interlocutori delle conversazioni fossero membri di una associazione.

Le censure sono manifestamente infondate, dovendo rilevarsi che i Giudici di merito hanno correttamente e logicamente desunto la sussistenza del vincolo associativo in capo al ricorrente e il suo ruolo apicale, riconosciuto dai complici, escludendo la sussistenza del dedotto mero concorso di persone nel reato continuato, da accertati plurimi e significativi elementi probatori, analiticamente riportati in sentenza, corredati dai riferimenti specifici alle emergenze delle conversazioni intercettate, ed evidenzianti l’esistenza di un supporto organizzativo e strumentale, la presenza di gerarchie e di divisione di compiti tra gli associati, l’esercizio di attività in modo duraturo e stabile e la sussistenza di un programma indeterminato.

Anche in ordine alla dedotta incidenza sulla esistenza dell’associazione dell’assoluzione per i reati-fine di cui ai capi B) e C), rientranti nella fase delle ipotizzate attività degli sbarchi e dei sequestri, il ricorrente censura una logica analisi valutativa della Corte di merito, che ha evidenziato, rigettando analoga censura svolta con i motivi di appello, la sufficienza – al fine di concretare il programma associativo – della finalità, pacificamente emergente dalle intercettazioni, di programmare e attuare una serie indeterminata di condotte di ausilio alla clandestinità con l’assistenza, dietro compenso, all’evasione dal Centro di prima accoglienza.

Del tutto infondata è, infine, la doglianza relativa alla identificazione del ricorrente, che si assume non logicamente motivata dalla Corte a fronte delle censure svolte nell’atto di appello, poichè con il riferimento al fatto che "nella quasi totalità delle conversazioni", e non "sempre" come assunto in ricorso, lo stesso è chiamato con il suo nome A. e non con altri appellativi, la Corte ha motivato in modo coerente con le emergenze probatorie.

A ciò si aggiunge che all’incisivo riscontro della identificazione del ricorrente, individuato dalla Corte nell’arresto del medesimo il 15 febbraio 2007 e nei commenti fatti dai complici nei giorni successivi e intercettati, la difesa oppone, senza correlarsi con l’argomentazione, che censura, riferita a un fatto specificatamente riferito al ricorrente, la frequenza dell’indicato nome nei luoghi di provenienza del medesimo ricorrente.

5.2. La manifesta infondatezza della censura, dedotta con il secondo motivo, che lamenta la carenza motivazionale circa la ritenuta sussistenza degli elementi per ritenere la fattispecie di cui all’art. 416 c.p., comma 1, piuttosto che quella di cui al comma 2, deriva dalla corretta valutazione del ruolo del ricorrente, ragionevolmente operata in sede di merito avendo riguardo al tenore delle conversazioni intercettate, e in particolare al ruolo allo stesso riconosciuto dai complici e alla condotta dallo stesso tenuta, muovendosi sempre in prima persona per cercare clandestini da far fuggire, impartendo disposizioni, dettando condizioni, discutendo prezzi, e altro, ulteriormente confortato dalle dichiarazioni del coimputato A.H.H. dopo il suo arresto.

5.3. Destituito del tutto di fondamento è il terzo motivo con il quale si censura la ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 416 c.p., comma 5, deducendosi che per l’esistenza di più associazioni, emergente dalle risultanze istruttorie e dalla sentenza di primo grado, non poteva considerarsi ciascuna formata da più di dieci soggetti.

Anche tale censura si sviluppa al di fuori delle argomentazioni della sentenza impugnata, che ha fatto riferimento alla organizzazione marocchina, facente capo al ricorrente, e al numero, superiore a nove, dei partecipanti, molti dei quali non ancora compiutamente identificati, ma esistenti sulla base delle risultanze delle conversazioni intercettate e dei riferimenti desunti dalle stesse ai sudanesi, libici ed egiziani, operanti unitamente al gruppo. Essa, inoltre, deducendo circostanze fattuali, che non prova, si pone in contrasto con il principio della necessaria autosufficienza del ricorso, e tende a introdurre, alle stesse riferendosi, inammissibili sovrapposizioni argomentative.

5.4. Anche il quarto motivo, che attiene alla censurata logicità della motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche e in ordine alla quantificazione della pena, è manifestamente infondato.

La dedotta illogicità della motivazione è posta dal ricorrente in correlazione alla irragionevolezza della diversità del trattamento riservato dal primo Giudice all’unico imputato condannato anche per il delitto di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, oltre che per il reato di cui all’art. 416 cod. pen., e beneficiario delle circostanze attenuanti generiche, non riconosciute, invece, al ricorrente, condannato per il solo reato associativo, sulla base del solo riferimento alla consistente gravità dei reati.

L’illogicità della motivazione è ulteriormente dedotta in ordine al trattamento sanzionatorio, che si assume ridimensionato secondo un non comprensibile iter logico, che ha portato a ritenere la concessione delle circostanze attenuanti generiche a uno solo degli imputati motivo di diminuzione della pena per gli altri, e a ritenere congrua una diminuzione della pena di solo quattro mesi a fronte di una pena ritenuta eccessiva dalla stessa Corte.

Si tratta di censure che tendono a una valutazione comparativa con quella operata, con riferimento ad un coimputato non parte del giudizio di appello, da parte del primo Giudice sulla base di elementi non noti, e non censurabili comunque nè da parte del Giudice di appello nè in questa sede, e pertanto non esportabili per la valutazione della posizione del ricorrente, che non evidenzia nessun significativo elemento di segno opposto non considerato a suo favore, mentre la motivazione della sentenza sui punti è intrinsecamente razionale e idonea a spiegare l’iter logico delle sue argomentazioni.

La Corte ha, infatti, tenuto conto della consistente gravità dei fatti e della spiccata capacità a delinquere, "insita nell’esercizio dell’attività illegale in forma stabile e organizzata", per escludere la concedibilità delle circostanze attenuanti generiche, e ha diminuito la pena, fissata dal primo giudice partendo da una pena base prossima al massimo edittale, al fine di adeguarla alla effettiva entità dei fatti, ridimensionati rispetto all’ipotesi di accusa originaria (che prevedeva anche la tratta di persone), tenendo anche conto, come criterio di conclusiva valutazione, del trattamento riservato all’imputato Z..

5.5. Deve essere, pertanto, dichiarata l’inammissibilità del ricorso.

6. Ricorso proposto da Y.T..

6.1. Il primo motivo, che riguarda la contestata configurabilità della fattispecie di cui all’art. 416 cod. pen. per essere la ritenuta associazione formata, al più, da due sole persone, è manifestamente infondato.

Il ricorrente, nel ribadire di avere, al limite, intrattenuto rapporti soltanto con un altro soggetto e di essere stato dello stesso correo e non associato, escludendo che potessero essere ritenuti membri della presunta associazione le altre persone indicate come tali, ha richiamato le argomentazioni svolte nell’atto di appello e il vaglio del materiale probatorio nello stesso svolto, che ha integrato con la deduzione della immotivata limitata asserzione della Corte, secondo la quale l’inserimento di esso ricorrente "in una autonoma organizzazione delinquenziale" era comprovato dagli "elementi compendiati in sentenza", senza la prova dell’operato vaglio critico della pronuncia di primo grado e delle censure contenute nell’atto di appello.

Si tratta di censura generica priva del riferimento meditato alle ragioni della decisione impugnata.

Tale decisione, con motivazione esente da evidenti incongruenze e da interne contraddizioni (saldata con la struttura motivazionale della decisione di primo grado per formare un unico complesso corpo argomentativo: Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, dep. 04/06/1992, P.M., p.c., Musumeci e altri, Rv. 191229), ha, infatti, analizzato le risultanze processuali, coerentemente giustificando la ricostruzione dei dati emersi dalle conversazioni intercettate, e ha evidenziato, a fronte dell’analoga censura svolta con l’atto di appello di non configurabilità di un rapporto associativo, che l’organizzazione delinquenziale, autonoma rispetto alla cd. cellula marocchina (della quale erano partecipi o concorrenti esterni gli altri imputati), e nella quale il ricorrente è risultato inserito, era composta da cittadini eritrei in certo numero superiore a tre, tali Aw., Al. e D., che organizzavano le traversate dei clandestini dalle coste africane e le loro fughe dal centro di permanenza di Crotone, e tale Re., che, collaboratore di Aw. e Al., era in diretto contatto con il ricorrente, che, insieme ai connazionali tali F. e Am., si occupava del servizio di trasporto dei clandestini, entrati in Italia, verso la Svizzera.

6.2. Manifestamente infondato è il secondo motivo, che attiene al diniego delle circostanze attenuanti generiche e al trattamento sanzionatorio.

In ordine alle svolte censure valgono le considerazioni già svolte con riferimento alle analoghe deduzioni svolte dal ricorrente R.A.E. (sub 5.4.).

6.3. Deve, pertanto, dichiararsi la inammissibilità del ricorso.

7. Alla dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi proposti da A. H.H., E.J., R.A.E. e Y. T. consegue la condanna degli stessi al pagamento delle spese processuali, nonchè di ciascuno – valutato il contenuto dei singoli ricorsi e in difetto dell’ipotesi di esclusione di colpa nella proposizione dell’impugnazione – al versamento della somma, ritenuta congrua, di Euro 1.000 (mille) alla Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille ciascuno alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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