Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 22-11-2011) 07-12-2011, n. 45879

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con sentenza del 7 dicembre 2010 la Corte d’appello di Ancona confermava la decisione di primo grado che aveva dichiarato S. R. colpevole del "delitto ascrittogli", precisando in motivazione che il fatto commesso ricadeva nell’ipotesi prevista dall’art. 570 c.p., comma 1.

Contro la sentenza ricorre l’imputato che denuncia:

1. la violazione dell’art. 521 c.p.p., perchè il giudice di primo grado, riqualificando il fatto come reato previsto dall’art. 570 c.p., comma 1, ha pronunciato il giudizio di colpevolezza per un fatto diverso da quello contestato;

2. manifesta illogicità della motivazione, perchè "si è creata confusione in seguito alla mancata correlazione tra fatto contestato e accertato". 2. Per comprendere la vicenda processuale occorre partire dal capo d’imputazione così concepito: "Imputato del reato di cui all’art. 570 c.p.p, comma 2, ipotesi seconda, perchè, abbandonando il domicilio domestico si sottraeva agli obblighi di assistenza familiare verso il coniuge dalla quale si era separato, facendole mancare i mezzi di sussistenza per lei e per il loro figlio minore M., omettendo di corrispondere le somme in denaro necessarie per la straordinaria amministrazione, per la crescita e l’educazione del minore, così come stabilito nella sentenza di omologa del Tribunale di Ancona".

Il giudice di primo grado, alla stregua della testimonianza della moglie dell’imputato, riteneva provato: a) che lo stesso, abbandonando il domicilio domestico e serbando una condotta contraria all’ordine e alla morale delle famiglie, si era disinteressato della moglie e del figlio; b) che lo stesso aveva omesso di corrispondere somme per il mantenimento del coniuge e soprattutto del figlio minorenne non autosufficiente e afflitto da gravi problemi di salute.

Quindi, ritenuto che la fattispecie doveva essere qualificata ai sensi dell’art. 570 c.p., comma 1, poneva il reato in continuazione con una precedente condanna per analoga violazione e applicava l’aumento di pena di un mese di reclusione.

La sentenza d’appello, ritenuta infondata la dedotta violazione dell’art. 521 c.p.p., sul rilievo che l’ipotesi di reato prevista dall’art. 570 c.p., comma 1, era contestata in fatto nell’imputazione, confermava la condanna, osservando che l’imputato aveva serbato una condotta contraria alla morale delle famiglie, rendendosi inadempiente agli obblighi di assistenza morale inerenti alla qualità di padre e di coniuge e, inoltre, che non aveva provveduto ai bisogni economici della moglie e del figlio che, per far fronte alle loro necessità materiali, avevano dovuto rivolgersi all’aiuto di parenti e amici.

Ciò premesso, questa Corte osserva che entrambe le sentenze di merito incorrono di una certa confusione sulla definizione giuridica del fatto accertato, confusione alimentata dall’imprecisa formulazione del capo d’accusa che, pur citando solamente l’art. 570 c.p., comma 2, n. 2, contesta in fatto una condotta che ricade anche sotto la fattispecie di cui al primo comma dello stesso articolo, là dove addebita l’abbandono del domicilio domestico con sottrazione agli obblighi di assistenza familiare.

A questo proposito, si rammenta che la dottrina ha criticato fin dal suo esordio la formulazione dell’art. 570 c.p. soprattutto per l’indeterminatezza e genericità che connotano la disposizione del comma 1. Comunque nel corso del tempo è venuta affermandosi l’interpretazione – condivisa dalla giurisprudenza dominante – che nel corpo dell’art. 570 c.p. enuclea tre distinte, autonome ipotesi di reato:

1. il fatto di colui che "abbandonando il domicilio domestico o comunque serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla patria potestà, alla tutela legale o alla qualità di coniuge";

2. il fatto di colui che "malversa o dilapida i beni del figlio minore o del pupillo o del coniuge";

3. il fatto di colui che "fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia separato per sua colpa".

Mentre la prima ipotesi di reato, punendo chi si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla patria potestà, alla tutela legale o alla qualità di coniuge tenendo una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie, della quale la legge stessa fornisce l’esempio emblematico dell’abbandono del domicilio domestico, sanziona la violazione di obblighi di natura morale, le altre ipotesi di reato perseguono l’inadempimento di obblighi di natura prettamente economico-patrimoniale.

Ne deriva che, così definite e caratterizzate le tre ipotesi di reato previste dal cit. art. 570 c.p., non è legittimo trasferire la sussunzione di una determinata condotta da una fattispecie all’altra, affermando che in ogni caso si ricadrebbe nella violazione degli obblighi di assistenza familiare. Invero a diversità di condotte corrisponde diversità di sanzioni, per cui la violazione dell’obbligo di assistenza materiale, perpetrata facendo mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, non può essere ricondotta, pena l’inosservanza del principio di correlazione tra accusa e sentenza, nella diversa fattispecie della violazione degli obblighi di assistenza morale prevista dall’art. 570 c.p., comma 1.

Pertanto la doglianza sollevata con il primo motivo di ricorso è fondata, ma solo in linea astratta. Infatti, a prescindere dalla considerazione che la riqualificazione giuridica del fatto, non essendo stata esplicitata nel dispositivo, si è risolta in un mero errore di motivazione correggibile mediante rettifica, la peculiarità del presente processo risiede nel fatto che i giudici di merito, di fronte a un’imputazione poco perspicua (e che purtuttavia contestava entrambe le ipotesi di reato previste dall’art. 570 cit.), hanno raccolto le prove della violazione sia degli obblighi morali di cui al comma 1 sia degli obblighi materiali di cui all’art. 570, comma 2 e conseguentemente hanno pronunciato condanna, pur pensando erroneamente che le condotte incriminate confluissero nella sola fattispecie di cui al comma 1.

L’errore giuridico, circoscritto alla motivazione, è innocuo, perchè la sentenza di condanna è comunque correlata ai fatti contestati, debitamente accertati e provati.

Il ricorso deve dunque essere rigettato con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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