Cass. civ. Sez. V, Sent., 28-06-2012, n. 10838

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Rigettando l’appello proposto dall’Ufficio Roma (OMISSIS) della Agenzia delle Entrate, la Commissione tributaria della regione Lazio con sentenza 14.5.2007 n. 66 ha confermato la decisione di prime cure che aveva riconosciuto il diritto del contribuente B.F. al rimborso del maggiore importo trattenuto dal sostituto di imposta, a titolo IRPEF per l’anno 1998, sul trattamento di fine rapporto di lavoro dipendente.

I Giudici di appello dopo aver rilevato che. con riferimento alla tassazione IRPEF dei redditi dal lavoro di pendente prestato anteriormente alla data di entrata in vigore della L. 29 maggio 1982, n. 297, vi era contrasto nella giurisprudenza di legittimità in ordine al computo od alla sottrazione dalla base imponibile anche dei ratei delle mensilità aggiuntive a quelle retributive e delle altre indennità corrisposte al lavoratore non periodicamente nel corso dell’anno, hanno ritenuto preferibile l’indirizzo giurisprudenziale che escludeva tali ulteriori voci retributive dal computo della base imponibile aderendo agli argomenti svolti nel precedente di questa Corte n. 15674/2004, integralmente riportati nella motivazione della sentenza.

Avverso tale decisione, non notificata, ha proposto ricorso per cassazione la Agenzia delle Entrate con atto notificato presso il domicilio eletto D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 17, comma 3, deducendo un unico motivo corredato di quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c.. Non si è costituito l’intimato.

Motivi della decisione

La Agenzia delle Entrate ha impugnato la sentenza di appello deducendo il vizio di violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 14, comma 3, nel testo sostituito dalla L. 26 settembre 1985, n. 482, art. 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), sostenendo che i Giudici territoriali avevano fornito una interpretazione della norma adottata da un orientamento giurisprudenziale risalente e da tempo superato da una differente interpretazione normativa (secondo cui anche le voci di emolumenti estranee alla ordinaria base retribuiva mensile venivano a costituire la base imponibile del TFR) che aveva trovato ormai ampio e costante riconoscimento nella giurisprudenza di legittimità.

Il motivo è fondato.

Il contrasto giurisprudenziale formatosi in ordine al calcolo della base imponibile del trattamento di fine rapporto, ai fini della applicazione della aliquota IRPEF, è stato risolto dalla più recente giurisprudenza di questa Corte che ha affermato il principio, ormai consolidato, secondo cui in tema di IRPEF, ai sensi D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 14 come modificato dalla L. 26 settembre 1985, n. 482, art. 2, comma 3 il trattamento di fine rapporto, ai fini della determinazione dell’aliquota applicabile, per il lavoro dipendente prestato in epoca anteriore all’entrata in vigore della L. 29 maggio 1982, n. 297, dev’essere calcolato, per ciascun anno preso a base di commisurazione, in misura pari, non già ad una mensilità della paga base riferita ad un mese di prestazione, ma ad un dodicesimo dell’intera retribuzione globale di fatto percepita nell’anno, comprensiva di ogni elemento retribuivo aggiuntivo a carattere continuativo (e quindi anche della tredicesima e della quattordicesima mensilità): tale disposizione, la quale non impedisce di provare che nel regime previgente la normativa contrattuale di settore escludesse i predetti elementi dal calcolo dell’indennità di anzianità, costituisce infatti la traduzione sul piano tributario dei criteri applicati in materia giuslavoristica a seguito della riformulazione dell’art. 2120 c.c. da parte della citata L. n. 297 del 1982, la quale ha uniformato la determinazione del trattamento di fine rapporto per tutte le categorie di lavoratori dipendenti del settore privato (cfr. Corte cass. 5 sez. 27.6.2005 n. 13801; id. 5 sez. 16.4.2007 n. 9000; id. 5 sez. 17.12.2009 n. 26487;

id. 5 sez. ord. 14.1.2011 n. 801; id. 5 sez. ord. 5.2.2011 n. 2798).

Da tale orientamento non ha ragione di discostarsi il Collegio e dunque la sentenza impugnata, non avendo fatto applicazione del principio di diritto indicato, deve essere cassata.

Non occorrendo procedere ad ulteriori accertamenti in fatto la causa può esser decisa nel merito ex art. 384 c.p.c., comma 2 con il rigetto del ricorso introduttivo del contribuente.

In considerazione della natura della controversia e della mancata resistenza dell’intimato le spese di lite possono dichiarasi interamente compensate tra le parti.

P.Q.M.

La Corte:

– accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente;

– dichiara interamente compensate tra le parti le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 15 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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