Cass. civ. Sez. V, Sent., 28-06-2012, n. 10834 Tassa occupazione suolo pubblico

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Comune di Roma propone ricorso per cassazione, affidato a unico motivo, nei confronti della NDP in liquidazione, che resiste con controricorso, e avverso la sentenza con la quale, in data 5 maggio 2008 e in controversia concernente impugnazione di ventotto avvisi di accertamento per TOSAP relativi all’anno 1997, la CTR-Lazio ha confermato la sentenza di primo grado favorevole alla contribuente.

La causa perviene all’odierna udienza pubblica a seguito di relazione ex art, 380 bis c.p.c. e di ordinanza camerale del 23 febbraio 2011.

Motivi della decisione

1.-Preliminarmente, la ricorrente deposita in udienza documentazione sull’attivazione della procedura di definizione di lite, secondo il regolamento comunale n. 31 del 2009; indi, chiede rinviarsi la causa a nuovo ruolo per le determinazioni dell’amministrazione ai fini della cessazione della materia del contendere. La richiesta non è meritevole di accoglimento.

A mente dell’art. 13 della legge finanziaria 2003 e con riferimento ai tributi propri, i Comuni possono stabilire, con le forme previste dalla legislazione vigente per l’adozione dei propri atti destinati a disciplinare i tributi stessi, la riduzione dell’ammontare delle imposte e tasse loro dovute, nonchè l’esclusione o la riduzione dei relativi interessi e sanzioni, per le ipotesi in cui, entro un termine appositamente fissato da ciascun ente, i contribuenti adempiano ad obblighi tributari precedentemente in tutto o in parte non adempiuti (comma 1). Le medesime agevolazioni possono essere previste anche per i casi in cui siano già in corso procedure di accertamento o procedimenti contenziosi in sede giurisdizionale. In tali casi, la richiesta del contribuente di avvalersi delle predette agevolazioni comporta la sospensione, su istanza di parte, del procedimento giurisdizionale, in qualunque stato e grado questo sia eventualmente pendente, sino al termine stabilito dall’ente locale, mentre il completo adempimento degli obblighi tributari, secondo quanto stabilito dall’ente locale, determina l’estinzione del giudizio (comma 2).

Pertanto, la disciplina attuativa del condono è riconosciuta dalla legge come una competenza di carattere organizzatorio degli enti locali, da esercitare attraverso i regolamenti disciplinati in via generale dal D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 52. Il Comune di Roma ha provveduto con la delibera citata, assegnando agli interessati il termine del 30 giugno 2009 per attivare la procedura di definizione delle liti pendenti (art. 3, comma 3), anche in tema d’imposta comunale sulla pubblicità (art. 2), e fissando diversificati termini di sospensione (a seconda che si tratti definizione in unica soluzione o rateale), l’ultimo dei quali è scaduto 30 giugno 2010 (art. 5, comma 1, art. 6, commi 2 e 3). La parte che ha presentato l’istanza di definizione, al termine della durata della sospensione o nella ipotesi in cui si sia perfezionata la definizione agevolata, è "…tenuta a presentare…l’atto di rinuncia alla prosecuzione del giudizio debitamente sottoscritto dalla controparte per accettazione con compensazione delle spese del giudizio" (art. 5, comma 3).

La documentazione, da ultimo, versata in atti dalle società non rispetta le modalità di presentazione di nuovi documenti dinanzi a questa Corte.

Infatti, si è ritenuto che, nel corso del giudizio di legittimità, possono essere prodotti documenti diretti a evidenziare la cessazione della materia del contendere per fatti sopravvenuti alla proposizione del ricorso, tali da far venir meno l’interesse alla definizione del procedimento, rientrando tale produzione nell’ambito di applicazione dell’art. 372 c.p.c., comma 2, riguardante la facoltà di deposito dei documenti attinenti all’ammissibilità del ricorso (cfr. C. 21122/08 che ha ammesso il deposito di documenti attestanti l’avvenuta definizione con condono di una violazione amministrativa per affissione abusiva).

Del deposito di nuovi documenti, però, deve essere dato avviso all’altra parte mediante notifica del relativo elenco al fine di garantire il contraddittorio (ult.cit; conf. giurisprudenza costante a partire da SU 2921/1988); la mancanza della notifica è sanata solo dalla presenza dell’avversario che accetti il contraddittorio sulla questione cui si riferisce il documento (conf. giurisprudenza costante a partire da SU 5781/1981).

Invece, nella fattispecie non v’è stata notifica dell’elenco, nè presenza del difensore del Comune in udienza; dunque, la produzione della contribuente è inutilizzabile.

Si aggiungano due considerazioni: a) in primo luogo, tralasciando ogni valutazione sull’osservanza o meno del principio di riserva di legge statale in materia processuale, si rileva che 11 termine ultimo di sospensione temporanea dei procedimenti in corso è, comunque, spirato da molto tempo; b) in secondo luogo, si rileva che tra la documentazione addotta dalla contribuente non v’è la rinuncia al giudizio, con l’accettazione dall’altra parte, richiesta sia dalla delibera comunale (art. 5), sia dal codice di rito (art. 390).

2.-Passando all’esame del ricorso, con l’unico motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 127 del 1997, art. 17, comma 63. Il consiglio comunale può determinare le agevolazioni sino alla completa esenzione dal pagamento della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, per le superfici e gli spazi gravati da canoni concessori non ricognitori e L. n. 448 del 1998, art. 31, comma 27. Per i rapporti non conclusi, inerenti alla tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche di cui al capo 2 del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, i comuni e le province, con propria deliberazione, possono disporre le agevolazioni di cui alla L. 15 maggio 1997, n. 127, art. 17, comma 63, anche con effetto retroattivo, nonchè determinare criteri e modalità di definizione agevolata.

Il mezzo è inammissibile per non idonea formulazione del quesito di diritto:

"Dica la Suprema Corte di Cassazione se la commissione tributaria regionale abbia o meno violato le disposizioni di cui alle L. 15 maggio 1997, n. 127, art. 17, par. 63, nonchè alla L. 23 dicembre 1998, n. 448, art. 31, par. 27".

Il quesito di diritto imposto dall’art. 366-bis c.p.c. costituisce, infatti, il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale, risultando altrimenti inadeguata e quindi non ammissibile l’investitura stessa del giudice di legittimità. Deriva da quanto precede che la parte deve evidenziare sia il nesso tra la fattispecie e il principio di diritto che si chiede venga affermato, sia il principio, differente da quello posto alla base del provvedimento impugnato, la cui auspicata applicazione potrebbe condurre a una decisione di segno diverso (C. 21184/10). Altrimenti, detti enunciati, mancando di riferimento alla fattispecie concreta (SU 7433/09), non sono tali da circoscrivere la pronuncia del giudice nei limiti di un accoglimento o un rigetto del quesito formulato dalla parte (SU 7258/07). Il quesito, comèè noto, deve invece comprendere l’indicazione sia della "regula iuris" adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che la parte ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare m sostituzione del primo (SU 6420/08). La mancanza, evidente nella specie, anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile (C. 24339/08). In altre parole, il quesito, contrariamente all’odierna formulazione, deve investire in pieno la "ratio decidendi" della sentenza impugnata e proporre un’alternativa di segno opposto (C. 4044/09), altrimenti risolvendosi in una tautologia o in un interrogativo circolare (SU 28536/08).

In conclusione, il quesito di diritto formulato è generico e non è direttamente pertinente rispetto alla fattispecie, risolvendosi in enunciazioni di carattere generale e astratto, prive di qualunque indicazione sul tipo di controversia e sulla riconducibilità alla fattispecie (C. 25242/11), il tutto senza enucleare i momenti di conflitto rispetto a esse del concreto operato dei giudici di merito (C. 80/2011).

2bis.-Nè rileva il fatto che la parte resistente abbia controdedotto, giacchè l’espressa previsione del requisito a pena di inammissibilità palesa non solo che l’interesse tutelato dalla norma non è disponibile ed è tutelato dalla rilevabilità d’ufficio, ma esclude anche che possa assumere alcun rilievo in funzione di superamento del vizio l’atteggiamento della controparte (C. 16002/07).

3.-Conseguentemente, il ricorso deve essere rigettato, perchè l’unico motivo è inammissibile. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità liquidate in complessivi Euro 1.600, di cui Euro 1.500 per onorario, oltre agli oneri di legge.

Così deciso in Roma, il 15 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2012

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