Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 04-11-2011) 07-12-2011, n. 45889 Sentenza di non luogo a procedere

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L.S.A. ricorre, a mezzo del suo difensore, avverso l’ordinanza 30 giugno 2011 del Tribunale di Caltanissetta (che ha rigettato l’appello proposto contro l’ordinanza 6 giugno 2011 del G.I.P. di Caltanissetta, il quale aveva respinto l’istanza difensiva di inefficacia e/o revoca della misura cautelare della custodia in carcere applicatagli), deducendo vizi e violazioni nella motivazione nella decisione impugnata, nei termini critici che verranno ora riassunti e valutati.

Con istanza del 3 giugno 2011, i difensori di L.S.A. hanno chiesto al G.I.P. la declaratoria di inefficacia o, in subordine, la revoca della misura della custodia cautelare in carcere, applicata con ordinanza del 29 marzo 2011, in relazione all’accusa ex art. 416 bis c.p.. (dall’aprile del 1994 fino a data odierna), evidenziando:

a) che l’indagato, nel 1992, è stato sottoposto ad indagine per il reato di cui all’art. 416 bis c.p. sulla base delle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia M.L., e che il relativo procedimento c.d. "Leopardo" (194/A/92 R.G.N.R.) è stato successivamente archiviato (rectius: vi è stata su richiesta della Procura della Repubblica di Caltanissetta;

b) che nel 1999 il L.S. è stato nuovamente sottoposto ad indagini per il medesimo reato nel procedimento penale n. 1516/1999 R.G.N.R., conclusosi con ulteriore decreto di archiviazione emesso dal G.I.P. di Caltanissetta in data 21 luglio 2004;

c) che mentre tale ultimo procedimento è stato oggetto di un decreto del G.I.P. di autorizzazione alla riapertura delle indagini ai sensi dell’art. 414 c.p.p., analogo decreto non sarebbe stato emesso con riguardo al precedente procedimento "Leopardo", essendo evincibile – dagli atti compiuti nel presente procedimento-che la riapertura delle indagini ha riguardato la posizione del coindagato T. S., non già quella del L.S.;

d) che pertanto la nuova iscrizione, effettuata a carico del L. S. nel presente procedimento, per il reato di cui all’art. 416 bis c.p., da cui è scaturita l’emissione dell’ordinanza custodiale in atto applicata, risulterebbe essere stata effettuata in mancanza di autorizzazione alla riapertura delle indagini, necessaria ai sensi dell’art. 414 c.p.p.:

e) che la preclusione processuale determinata dal decreto di archiviazione impedisce non soltanto l’utilizzabilità degli elementi acquisiti dal P.M. prima della formale riapertura delle indagini, ma anche l’uso degli stessi per la richiesta di emissione di una misura cautelare personale.

Il 6 giugno 2011 il P.M. esprimeva parere contrario all’accoglimento dell’istanza, rilevando: in primo luogo, che nei confronti del L. S., nel procedimento c.d. Leopardo, era stata emessa sentenza di non luogo a procedere in data 31 marzo 1994 e non decreto di archiviazione come indicato dai difensori: in secondo luogo che i fatti per cui si procede nel presente procedimento non sono i medesimi di quelli che hanno costituito oggetto del processo Leopardo, come si evince: dal tempus commissi delicti e dalla condotta oggi contestata all’indagato, richiamando in proposito l’accusa la pronuncia della Suprema Corte n. 17380 del 18.1.2005 relativa ad ipotesi di reato permanente.

Con ordinanza 6 giugno 2011 il G.I.P. rigettava l’istanza avanzata dai difensori, richiamandosi alle identiche argomentazioni espresse dal P.M..

Il Tribunale, decidendo ex art. 310 c.p.p., con provvedimento 30 giugno 2011, ha rigettato l’appello proposto avverso tale ultima ordinanza.

L’ordinanza del Tribunale ha evidenziato nell’ordine:

1) che la richiesta del P.M., di applicazione della misura cautelare nei confronti del L.S., reca la contestazione del reato associativo di cui all’art. 416 bis c.p. commesso "in provincia di (OMISSIS) dall’aprile del (OMISSIS) fino a data odierna" (vale a dire fino alla data della richiesta stessa), con la conseguenza che l’arco temporale dell’associazione è diverso rispetto a quello oggetto del procedimento "Leopardo", laddove l’incolpazione per la quale vi è stata sentenza di non luogo a procedere è stata formulata a "contestazione chiusa", cioè con indicazione della data finale della condotta addebitata (si trattava di fatto commesso "da data imprecisata e fino al 1993"):

2) che la misura cautelare in atto applicata al L.S. ha ad oggetto condotte di partecipazione tenute in un segmento temporale successivo alla predetta sentenza di non luogo a procedere:

3) che sussiste diversità del "fatto", anche sotto il profilo della diversità dei partecipanti all’associazione mafiosa, come emerge dalla lettura della sentenza di proscioglimento emessa dal G.U.P., nonchè sotto il profilo del ruolo assunto dall’indagato, che nel presente procedimento è chiamato a rispondere del delitto in esame in qualità di rappresentante della famiglia di Bompensiere e di soggetto che avrebbe svolto un ruolo di collegamento tra esponenti mafiosi della provincia nissena ed esponenti di primo piano di Cosa Nostra agrigentina (nella specie F.S.);

4) che la contestazione associativa oggi in esame poggia su risultanze probatorie acquisite, autonomamente, in epoca successiva alla sentenza di non luogo a procedere: ci si riferisce alle dichiarazioni accusatorie rese dai collaboratori di giustizia V. C., D.G.M. ed I.E., raccolte, rispettivamente, nel 2002/2003, nel 2007 e nel 2009.

In conclusione, per il Tribunale, nella fattispecie, l’efficacia preclusiva della sentenza di non luogo a procedere impediva che il P.M. indagasse sullo stesso periodo oggetto della precedente contestazione associativa in assenza di un provvedimento di revoca, o che utilizzasse, per tale periodo, elementi probatori già acquisiti, ma non poteva estendersi al segmento temporale successivo, stante la permanenza del reato in questione, che si interrompe solo con l’emissione di una sentenza di condanna di primo grado.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Motivi della decisione

Con un articolato ricorso la difesa deduce inosservanza ed erronea applicazione della legge, nonchè vizio di motivazione in relazione agli artt.. 414, 434 e 191 c.p.p..

Il ricorrente contesta la legittimità dell’assunto, posto a base della decisione impugnata, secondo cui, essendo la contestazione all’indagato riguardante un periodo (dall'(OMISSIS) fino alla data odierna), successivo al momento dell’emissione della sentenza di non doversi procedere, ciò non comporterebbe l’applicazione dei principi contenuti nell’art. 414 c.p.p..

Sostiene il ricorso che nella fattispecie de qua le nuove indagini sono state avviate dalla medesima autorità, nei confronti della stessa persona e per il medesimo fatto, senza l’emissione del decreto autorizzativo e senza l’osservanza della procedura di cui all’art. 434 c.p.p., e segg., da ciò la censura a quella parte della motivazione dell’ordinanza impugnata secondo cui la diversità del fatto si desume dalla "diversità dei partecipanti all’associazione mafiosa" e "dalla qualità di rappresentantè.

Invero, con riferimento alla nozione di "stesso fatto" quale presupposto dell’efficacia preclusiva della sentenza di non luogo a procedere in assenza di revoca, la giurisprudenza di legittimità è costante nel ritenere che essa vada riferita a tutti gli elementi costitutivi della fattispecie, ossia condotta, evento e nesso di causalità (si cita: ex plurimis, Cass. Pen, Sez. 1, 11 Giugno 1996).

Nessun riferimento vi è quindi alla "diversità dei partecipanti all’associazione mafiosa", nè "alla qualità dell’agente" poichè tali circostanze certamente non modificano la condotta nè interrompono il nesso di causalità.

La conclusione difensiva è quindi quella della inutilizzabilità di tutto ciò che è stato compiuto a far data dal 1994, non essendo stato rimosso l’ostacolo con la revoca della sentenza di non luogo a procedere.

Si sarebbe determinata, infatti, una preclusione processuale all’utilizzabilità degli elementi acquisiti successivamente alla sentenza di non luogo a procedere e prima della revoca della stessa (revoca, nella specie, mai emessa) la cui emissione "funge da condizione di procedibilità per la ripresa delle investigazioni in ordine allo stesso fatto e nei confronti delle stesse persone, nonchè per l’adozione di ogni consequenziale provvedimento, compresa l’applicazione di misure cautelari.

A giudizio del ricorrente il raffronto tra la fattispecie criminosa per la quale è stata emessa sentenza di non luogo a procedere e l’imputazione formulata nel presente procedimento evidenzierebbe che quest’ultima ha ad oggetto il medesimo fatto su cui è intervenuto il proscioglimento.

Sicchè, a nulla rileverebbe:

a) la mera circostanza che si tratti di un periodo diverso rispetto a quello che ha già formato oggetto di giudizio, poichè la mancata riapertura delle indagini comporta l’assoluta inutilizzabilità degli atti d’indagine compiuti dopo la sentenza di non luogo a procedere ed anche la preclusione all’esercizio dell’azione penale;

b) la circostanza che contestazione associativa – oggi in esame – poggia su risultanze probatorie acquisite, autonomamente, in epoca successiva alla sentenza di non luogo a procedere", atteso il tenore dell’art. 434 c.p.p., il quale ha stabilito che le nuove risultanze probatorie acquisite rientrano nell’ambito delle nuove fonti di prova "sopravvenute o scoperte"; diversamente opinando, la norma a tutela del "giudicato", sia in presenza di archiviazione o di sentenza di non luogo a procedere, non avrebbe alcuna ragione d’essere;

c) l’ulteriore circostanza che i nuovi elementi di prova siano stati acquisiti "autonomamente" in quanto essa non fa venir meno la preclusione legislativa, sicchè un’ordinanza cautelare per lo stesso fatto nei confronti del prosciolto non può essere adottata, quando siano emerse nuove fonti di prova, prima che sia stata pronunziata dal giudice delle indagini preliminari la revoca della sentenza di non luogo a procedere. Invero, in virtù della preclusione derivante dalla pronuncia di una sentenza di non luogo a procedere, non può essere applicata una misura cautelare, per lo stesso fatto, nei confronti dell’imputato prosciolto prima che, emerse nuove fonti di prova, sia pronunciata dal giudice per le indagini preliminari la revoca della sentenza medesima.

Il ricorso nelle sue articolazioni risulta infondato.

Invero va correttamente interpretato lo schema dogmatico in cui collocare la nozione del "medesimo fatto", tenuto conto delle specificità che connotano e differenziano il reato permanente.

Il divieto di applicazione di una misura cautelare, sulla base di nuovi elementi di prova, a carico di persona nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di non luogo a procedere, prima che tale pronuncia sia stata revocata, in tanto opera in quanto il fatto sia sempre lo stesso; il che è da escludere quando vi sia diversità in ordine alla condotta, all’evento o al nesso di causalità.

Pertanto, quando si tratta di reati permanenti quali, in particolare, i delitti di associazione, e l’incolpazione sia stata formulata con indicazione della data iniziale e finale della condotta addebitata, costituisce fatto diverso e nuovo il ritenuto protrarsi di tale condotta, al di là della precedente pronuncia di non luogo a procedere o di archiviazione, sicchè può essere legittimamente disposta, per tale fatto, l’applicazione di una misura cautelare senza che sia intervenuta revoca della suddetta declaratoria (cfr. in termini: cass. pen. sez. 1, 29671/2003 Rv. 226142).

In altre parole l’omesso provvedimento di riapertura delle indagini da parte del giudice sortisce effetti diversi a seconda che il reato sia, oppure non sia, permanente.

Invero di fronte alla presenza di un epifenomeno del reato permanente che, come nella specie, si sia concretizzato in tempo successivo alla sentenza ex art. 425 c.p.p., è consentito infatti al Giudice, non solo di prendere in considerazione e quindi valutare i fatti successivi ma anche di recuperare (ai fini cautelari ed anche probatoriamente) quelli antecedenti ad esso correlati, e ciò a prescindere dalla mancata revoca della sentenza di non luogo a procedere.

Infatti può ritenersi che la precedente "pronuncia di proscioglimento" circoscriva la realtà giuridica alla precedente condotta delittuosa, ond’è che la condotta successiva viene a costituire un nuovo reato i cui "ulteriori elementi probatori" possono anche rinvenirsi nel passato, senza che a ciò sia d’ostacolo la definizione del precedente reato.

Il ricorso pertanto risulta infondato, valutata la conformità del provvedimento alle norme stabilite, nonchè apprezzata la tenuta logica e coerenza strutturale della giustificazione che è stata formulata.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 4 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2011

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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