Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 03-11-2011) 07-12-2011, n. 45873

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

I.F. ricorre, a mezzo del suo difensore, avverso la sentenza 29 settembre 2010 della Corte di appello di Palermo che, in parziale riforma della sentenza 16 luglio 2009 del Tribunale di Palermo, ha ridotto la pena per il delitto di estorsione aggravata ex L. n. 152 del 2001, art. 7, deducendo vizi e violazioni nella motivazione nella decisione impugnata, nei termini critici che verranno ora riassunti e valutati.

1.) le conformi decisioni dei giudici di merito in punto di responsabilità.

Con sentenza del 16 luglio 2009 il Tribunale di Palermo, in composizione collegiale, dichiarava l’imputato L.I.F. colpevole del reato di estorsione in danno di L.B.V., titolare della società Mondo Auto s.r.l. concessionaria Hyundai, in concorso con T.P., F.D. e S. E., giudicati separatamente.

Per l’effetto, esclusa la sola aggravante di cui all’art. 629 in relazione all’art. 628 c.p., comma 2, n. 3 e ritenuta invece l’aggravante di cui alla L. n. 152 del 1991, art. 7, l’imputato è stato condannato in primo grado, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, alla pena di anni sette di reclusione e Euro 1.000,00 di multa, oltre che al risarcimento dei danni, liquidati in via equitativa nella misura di Euro 5.000,00 per ciascuna delle parti civili costituite.

Con sentenza 29 settembre 2010 la Corte di appello di Palermo, in parziale riforma della decisione del Tribunale di Palermo, ha ridotto la pena inflitta ad anni quattro, mesi nove di reclusione ed Euro 700,00 di multa, con sostituzione della pena accessoria dell’interdizione in perpetuo dai pubblici uffici con la corrispondente pena temporanea per la durata di anni cinque, eliminando la pena accessoria della interdizione legale durante l’esecuzione della pena.

2.) la motivazione della sentenza della Corte di appello.

La corte distrettuale, riprendendo lo schema argomentativo del primo giudice, ha ricostruito i profili della colpevolezza del ricorrente, valorizzando le dichiarazioni della parti offese, apprezzate come esaurienti, prive di malanimo ed attendibili, nonchè confermate ab estrinseco dalla conversazione telefonica intercettata il 9 gennaio 2008 tra la vittima L.B. ed il coimputato dell’odierno ricorrente F.D. detto D..

Nella esposizione dei fatti la Corte di appello infine ha escluso che il L.I. abbia agito nell’esclusivo interesse della vittima per motivi di solidarietà umana, facendo "l’intermediario" con gli estortori, attribuendogli al contrario un ruolo funzionale al perseguimento del fine illecito, con la consapevolezza di aver agito "anche" nell’interesse dell’organizzazione criminale e con modalità integrante la violazione del D.L. n. 152 del 1991, art. 7.

Il ridimensionamento del trattamento sanzionatolo ad opera della corte distrettuale ha trovato giustificazione a seguito dell’apprezzamento della condizione psicologica dell’imputato "post crimen patratum". 3.) i motivi di impugnazione e le ragioni della decisione della Corte di legittimità.

Con un primo motivo di impugnazione viene dedotta inosservanza ed erronea applicazione della legge, nonchè vizio di motivazione sotto il profilo della violazione dell’art. 192 c.p.p. e art. 629 c.p..

In particolare si sostiene che il ricorrente fu indotto alla sua condotta di mediazione perchè preoccupato della sorte dell’amico L. B. ed in ogni caso, la testimonianza della vittima sarebbe rimasta priva dei necessari riscontri di carattere individualizzante.

Con un secondo motivo si lamenta vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell’aggravante ex D.L. n. 152 del 1991, art. 7 avuto riguardo all’avverbio "anche" usato in motivazione per supportare l’azione esecutiva e la soggettività della circostanza medesima.

Entrambi i motivi non superano la soglia dell’ammissibilità, anche per i profili attinenti alla loro palese infondatezza.

E’ infatti giurisprudenza consolidata che colui che assume la veste di intermediario fra gli estorsori e la vittima (anche se per incarico di quest’ultima), non risponde di concorso nel reato soltanto ed esclusivamente nel caso in cui risulti provato che egli abbia agito nell’esclusivo interesse della persona offesa stessa e per motivi di solidarietà umana, altrimenti, contribuendo egli con la sua opera alla pressione morale ed alla coazione psicologica nei confronti della vittima, l’intermediazione finisce con il conferire un suo apporto causativo all’evento (cass. pen. sez. 2, 26837/2008 Rv. 240701).

Nella specie, come ineccepibilmente argomentato dai giudici di merito, con una motivazione indenne da vizi logico-giuridici, risulta provato che il ricorrente si è funzionalmente inserito nella dinamica estorsiva, nella piena consapevolezza del suo ruolo causale, assolutamente "non giustificabile" per ragioni umanitarie o di preoccupazione per le sorti del preteso amico, ed avendo egli, inoltre, ben presenti le modalità esecutive della costrizione, l’ingiustizia del profitto e l’interesse finale del sodalizio criminoso, sostanzialmente assicurato dagli interventi di sostegno dell’imputato.

Fatti e circostanze tutte che rendono ragionevole conto dell’azione esecutiva e dei profili soggettivi del ritenuto delitto e della affermata aggravante ex L. n. 203 del 1991, art. 7.

Invero, per ciò che attiene a quest’ultima circostanza aggravante, in punto di accertata ed argomentata "metodologia mafiosa", va preliminarmente precisato che nella verifica della consistenza dei rilievi mossi alla sentenza della Corte di secondo grado, tale decisione non può essere valutata isolatamente, ma deve essere esaminata in stretta ed essenziale correlazione con la sentenza di primo grado, dal momento che entrambe risultano sviluppate e condotte secondo linee logiche e giuridiche pienamente concordanti in punto di ricostruzione del fatto ed attribuzione delle responsabilità.

In altre parole, nella specie, ci si trova di fronte a due pronunce, di primo e secondo grado, che concordano nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, con una struttura motivazionale della sentenza di appello (cfr. pag. 13 della gravata sentenza) che si salda perfettamente con quella precedente si da costituire un unico complessivo corpo argomentativo, privo di lacune, considerato che la sentenza impugnata, ha dato comunque congrua e ragionevole giustificazione del finale giudizio di sussistenza della detta aggravante, tenendo correttamente conto:

a) che l’uso del metodo mafioso, fondato sull’esistenza in una data zona di associazioni mafiose, può essere ritenuto anche con riguardo alla condotta di un soggetto non appartenente a dette associazioni (Cass. pen. sez. 1, 4898/2009 Rv. 243346. Massime precedenti Conformi: N. 2204 del 1998 Rv. 211178, N. 30246 del 2002 Rv. 222427, N. 16486 del 2004);

b) che l’aggravante de qua può qualificare anche la condotta di chi, senza essere organicamente inserito in un’associazione mafiosa, offra un contributo al perseguimento dei suoi fini, a condizione che tale comportamento – come emerso nella specie – risulti assistito, sulla base di idonei dati indiziari o sintomatici, da una cosciente ed univoca finalizzazione agevolatrice del sodalizio criminale, (cass. pen. sez. 6, 2696/2009 Rv. 242686).

Infine, quanto alla dedotta assenza di riscontri al narrato del L. B., va rammentato, per una risalente ed immodificata giurisprudenza, che l’apprezzamento della versione della vittima, mancando nel nostro sistema un esplicito divieto e tenuto conto del principio del libero convincimento del giudice, va valorizzato e pesato per l’affermazione di penale responsabilità dell’accusato, anche alla stregua della sola dichiarazione della parte offesa, pur se costituita parte civile.

In tale ipotesi tuttavia il rigore nella ricerca della verità deve connotarsi, come realizzato in concreto dai giudici di merito, per un maggior scrupolo nel peso critico delle rese dichiarazioni.

Infine va rammentato che la "valutazione improntata a prudente apprezzamento e spirito critico" (così come richiesta dalla Corte costituzionale nella sua pronuncia 115/92), non può che limitarsi ad un solo "riscontro interno di intrinseca coerenza logica" della deposizione della vittima (anche se parte civile), tutte le volte in cui – come avvenuto nella specie- non sono possibili altri riscontri per l’assenza di altri dati probatori a corredo (cfr. ex plurimis:

cfr. Cass. Pen. sez. 3, 13 settembre 1997-30 gennaio 1998- Pres.

Dinacci, rel. De Maio, in ric. Tuon).

Da ciò l’inammissibilità del ricorso.

All’inammissibilità consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che si stima equo determinare in Euro 1000,00 (mille).

Inoltre va il ricorrente condannato a rimborsare alle parti civili:

Confcommercio, FAI, Associazione comitato Addio Pizzo, Associazione antiracket e antiusura, SOS impresa Palermo, Associazione antiracket e antiusura coordinamento delle vittime dell’estorsione, dell’usura e della mafia, Associazione antiracket e antiusura solidaria SOS, le spese sostenute nel presente giudizio che liquida per ciascuna in Euro 2.000, oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della Cassa delle ammende, nonchè a rimborsare alle parti civili Confcommercio, FAI, Associazione comitato Addio Pizzo, Associazione antiracket e antiusura, SOS impresa Palermo, Associazione antiracket e antiusura coordinamento delle vittime dell’estorsione, dell’usura e della mafia, Associazione antiracket e antiusura solidaria SOS, le spese sostenute nel presente giudizio che liquida per ciascuna in Euro.000, oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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