Cass. civ. Sez. V, Sent., 28-06-2012, n. 10806 Ammissibilità o inammissibilità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato all’AGENZIA delle ENTRATE, la S.p.a. A.L.T.A. ALESATURA LEVIGATURA TUBI E AFFINI, in forza di dieci motivi, chiedeva di cassare la sentenza n. 143/28/09 della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia (depositata il primo ottobre 2009) che, su appello dell’Ufficio, in parziale riforma della decisione (42/01/08) della Commissione Tributaria Provinciale di Varese – che "riteneva deducibili tutte le riprese … escluse quella per costi non inerenti di Euro 1.600,00" -, aveva "dichiara(to)" (1) la "deducibilità dell’importo di Euro 44.818,00" ("costi non di competenza": "spese incrementative") e (2) la "indeducibilità degli importi" (a) di "Euro 283.506,17" ("differenza tra costo di acquisto di merci dalla società sammarinese TU.LE. S.A. ed il loro …

"valore normale"") e (b) di "Euro 20.688,38" ("provvigioni pagate alla società controllata sudafricana "Alta Hydraulic Supplies" ritenute eccedenti rispetto al valore normale"), oggetto (con altre riprese a tassazione) di avviso di accertamento.

L’Agenzia intimata instava per il rigetto dell’impugnazione e depositava memorie ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

p. 1. La sentenza impugnata.

La Commissione Tributaria Regionale – esposto aver (a) l’Ufficio richiesto, per l’"esercizio 2003", l’IRPEG, l’IRAP e l’IVA per (1) "costi non inerenti" ("Euro 1.600,00"), (2) "costi non di competenza" ("Euro 44.-818,00"), (3) "transfer pricing" su "acquisto prodotti" ("Euro 283.506,17") e (4) "transfer pricing" su "provvigioni" ("Euro 20.688,38") e (b) il giudice di primo grado affermato essere "deducibili tutte le riprese a tassazione esclusa quella per costi non inerenti" -, ritenuta "l’ammissibilità" del gravame (avendo l’"A.F. … eccepito sia l’iter logico che gli aspetti giuridici e le valutazioni di fatto", "della quale vengono specificamente contestati vari passaggi sia eccependo la fondatezza delle motivazioni dei giudici con specifico riferimento sia all’accertamento in generale che ai singoli costi ripresi a tassazione"), ha accolto l’appello dell’Ufficio sull’"indeducibilita degli importi di Euro 283.506,19 e di Euro 20.688,38" (confermando la "deducibilità dell’importo di Euro 44.818,00" testualmente) osservando:

– "i rapporti societari intercorrenti tra la ALTA e la TULE s.a.

sanmarinese consentono di rendere applicabile il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 16, comma 5 (ora art. 110), sia sulla base del rapporti proprietari (… P.G. è socio sia della ALTA che della TU.LE. s.a.), che dei rapporti d’affari e contrattuali: la quasi totalità delle vendite della TU.LE. s.a. è diretta ad ALTA spa, le transazioni finanziarie tra le due società avvengono con termini di comodo, sino a 8-9 mesi, ben oltre le altre transazioni con terzi regolate in 80 giorni; la ALTA spa ha emesso un prestito azionario per un totale di Euro 1.925.000 sottoscritto per il 11% dalla TU.LE. e per il restante dai propri soci";

– "la ricostruzione e la metodologia seguita dall’Agenzia … per rilevare la differenza … tra prezzi praticati e valore normale è analitica": "è stato documentalmente provato che il prezzo medio dei trafilati a freddo applicato dalla Dalmine alla TU.LE." ("pari a 0,87 Euro/kg") "e da questa rivenduti alla ALTA spa ad un prezzo medio di 1,15 Euro/kg con un ricarico del 32% non giustificato considerato che la TU.LE. … effettua lavorazioni su tali prodotti ed i relativi costi vengono rilevati in conti separati"; "la s.p.a. ALTA non giustifica tale antieconomico comportamento considerato che potrebbe essa stessa acquistare dalla Dalmine tali prodotti";

– in "assenza di convincente prova sulla specialità del contratto atta a giustificare la maggiore provvigione" è "fondato" il "recupero delle provvigioni corrisposte dalla ALTA spa alla propria controllata in Sudafrica, ALTA HYDRAULIC SUPPLIES s.a.", "ammesse" dall’Agenzia "in deduzione nei del 10% sic; forse "nei limiti del 10%" in misura pari a quella corrisposta ad altri rappresentanti che svolgono simili funzioni".

p. 2. Il ricorso della contribuente.

Questa censura la decisione con dieci motivi: (1) "violazione o falsa applicazione … del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 52, comma 2, in relazione alla mancata produzione, nel corso del giudizio di secondo grado, dell’autorizzazione alla proposizione dell’appello da parte del responsabile della … Direzione Regionale delle Entrate", sintetizzate nell’assunto secondo cui incorre in tale vizio "la sentenza tributaria che manchi di decretare l’inammissibilità dell’atto di appello … in assenza di specifica autorizzazione da parte del responsabile" detto;

(2) "violazione o falsa applicazione … del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, in relazione alla mancata deduzione, nell’atto di appello … di specifiche censure alla sentenza n. 42/01/08" della "Commissione Tributaria Provinciale";

(3) "insufficiente motivazione … riguardante l’omessa salutazione della violazione di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, relativa all’inammissibilità dell’appello a causa della mancata indicazione di specifiche censure alla sentenza di primo grado";

(4) "violazione o falsa applicazione … del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, in relazione al divieto di proposizione di questioni nuove in … appello": "l’Agenzia …, unicamente per la prima volta in appello, ha affermato" (a) "membri comuni: tra la scarsissima corrispondenza esibita (tra le due società) è stato rinvenuto un fax trasmesso dalla appellata alla TU.LE. che reca quale destinatario il Dott. P., socio dell’appellata" ("non si riesce a comprendere come mai un fax ad oggetto delle contestazioni nei confronti della TU.LE. venga recapitato al… socio della ALTA") e (2) "prestito obbligazionario … emesso dalla ALTA … sottoscritto per il 74% dalla TU.LE. e per la restante parte dai soci della ALTA" ("circostanza depone a favore del controllo di fatto"); "i giudici di secondo grado", quindi ("cfr. pag. 3 della sentenza"), hanno "fondato la decisione … assunta sulla base" di "elementi proposti dall’Ufficio per la prima volta nel proprio atto di appello";

(5) "omessa motivazione … sul fatto … riguardante la richiesta di declaratoria di inammissibilità di domande nuove in appello in violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57": essa "ricorrente ha chiaramente evidenziato tale violazione … senza che l’adita Commissione Regionale si sia pronunciata … in merito a tale eccezione";

(6) "violazione o falsa applicazione … del D.P.R. n. 911 del 1986, art. 110, comma 1 (T.U.I.R.) … In relazione alla mancata sussistenza del presupposto soggettivo necessario a legittimare l’applicazione della disciplina del transfer pricing con riferimento alle spese sostenute … per l’acquisto di beni materiali da TU.LE. s.a."; "assenza di idonei elementi probatori atti a dimostrare l’effettiva esistenza di un controllo diretto o indiretto tra due società";

(7) "violazione o falsa applicazione … del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 110, comma 7 e art. 9, comma 3 (T.U.I.R.) … in relazione alla mancata sussistenza del presupposto oggettivo necessario a legittimare l’applicazione della disciplina del transfer pricing con riferimento alle spese sostenute … per l’acquisto di beni materiali da TU.LE. s.a."; "sulla base di errate determinazioni assunte dall’Ufficio nella verifica della congruità dei prezzi di trasferimento di beni materiali rispetto al valore normale degli stessi, ritenga applicabile … la disciplina del transfer pricing";

(8) "violazione o falsa applicazione … dell’art. 2697 cod. civ. in merito al mancato assolvimento dell’onere probatorio a carico dell’Agenzia … in relazione alla sussistenza dei presupposti per l’applicabilità della disciplina del tranfer pricing"; "in merito al mancato assolvimento dell’onere probatorio, a carico dell’Agenzia …, in relazione alla sussistenza dei presupposti per l’applicabilità … della disciplina del transfer pricing";

(9) "omessa motivazione … sul fatto … riguardante la totale mancanza di valutazione delle risultanze contenute nella perizia tecnica depositata … in giudizio": "i giudici … hanno … omesso … qualsiasi valutazione in merito alla documentazione prodotta", ovverosia "perizia tecnica" redatta da "perito" da essa incaricato "una valutazione in merito alla congruità dei prezzi di cessione dei beni prodotti da TU. LE. s.a. e acquistati da essa ALTA";

(10) "violazione o falsa applicazione … del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 110, comma 7 e art. 9, comma 3 (T.U.I.R.) … in relazione alla mancata sussistenza del presupposto oggettivo necessario a legittimare l’applicazione della disciplina del transfer pricing con riferimento alle provvigioni corrisposte ad Alta Hydraulic Supplies s.a." adducendo la "congruità delle provvigioni" eccedenti ".10%" corrisposte alla "propria controllata ALTA HYDRAULICA s.a. con sede in (OMISSIS)", che "l’ufficio ha preso in considerazione …

provvigioni corrisposte … ad agenti operanti in altri mercati", che "la determinazione della provvigione da corrispondere alla controllata" era "svincolata dall’applicazione di una percentuale fissa e commisurata … al differenziale tra prezzo proposto da alta e prezzo finale negoziato e ottenuto dall’agente" e che "nell’indagare il transfer price sulle provvigioni, l’Ufficio …

avrebbe dovuto valutare la congruità delle stesse sulla base dei due fattori dai quali risulta il differenziale di prezzo …

rappresentati … dal prezzo minimo proposto da alta e quello corrisposto all’agente dal cliente finale, … certificato dalle fatture nei confronti dei clienti terzi".

p. 3. Le ragioni della decisione.

Il ricorso deve essere respinto.

A. In via preliminare (e per quanto interessa l’esame di ciascun motivo di gravame) va ribadito che (Cass., un., 2012 n. 5698) ai fini del requisito di cui all’art. 366 cod. proc. civ., n. 3 (la cui inosservanza, come noto, produce l’inammissibilità del motivo cui inerisce il vizio), la pedissequa riproduzione (operata anche nella specie) dell’intero, letterale contenuto degli atti processuali – oltre che del tutto superflua, non essendo affatto richiesto che si dia meticoloso conto di tutti i momenti nei quali la vicenda processuale si è articolata – è inidonea a soddisfare la necessità della sintetica esposizione dei fatti, in quanto equivale ad affidare alla Corte in violazione della indefettibile sua posizione di "giudice terzo e imparziale" rispetto alle parti (art. 111 Cost., comma 2) la scelta di quanto effettivamente rileva in ordine ai motivi di ricorso.

B. La prima doglianza – in ordine alla quale, peraltro, l’Agenzia deduce (comunque) che il suo Ufficio "ha citato nell’atto di appello gli estremi dell’autorizzazione concessa", e che questa "è stata depositata con il fascicolo di parte …, come si evince dal timbro … che reca la data del 26 giugno 2008" essendo indicata al n. "3) autorizzazione D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 52" dell’"indice degli atti allegati" al fascicolo detto – è giuridicamente infondata avendo le sezioni unite di questa Corte da tempo statuito (sentenza 14 gennaio 2005 n. 604, con principio applicato, di poi, ex aliis, anche da Cass. trib.: 31 marzo 2005 n. 6809; 14 maggio 2007 n. 10943;

27 luglio 2011 n. 16430, nonchè indirettamente, 22 settembre 2006 n. 20516 e 11 marzo 2010 n. 5928) che la disposizione del comma 2 (ora coerentemente abrogato dal D.L. 25 marzo 2010, n. 40, art. 3, comma 1, lett. c) del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 52 (per la quale "gli uffici periferici del Dipartimento delle entrate devono essere previamente autorizzati alla proposizione dell’appello principale dal responsabile del servizio del contenzioso della competente direzione regionale delle entrate; gli uffici del territorio devono essere previamente autorizzati alla proposizione dell’appello principale dal responsabile del servizio del contenzioso della competente direzione compartimentale del territorio"), di cui si denunzia la violazione, "deve essere ritenuta non più suscettibile di applicazione nell’intervenuta operatività della normativa, di cui al D.Lgs. n. 300 del 1999, che ha istituito le agenzie fiscali, attribuendo ad esse la gestione della generalità delle funzioni in precedenza esercitate dai dipartimenti e dagli uffici del Ministero delle finanze, e trasferendo alle medesime i relativi rapporti giuridici, poteri e competenze, da esercitarsi secondo la disciplina dell’organizzazione interna di ciascuna agenzia (art. 57)", essendo "palese che, nell’intervenuta soppressione di tutti gli uffici ed organi ministeriali ai quali essa fa riferimento, si deve escludere che da detta norma possano farsi discendere condizionamenti al diritto delle agenzie … di impugnare in appello le sentenze delle commissioni tributarie provinciali ad esse sfavorevoli".

C. Il secondo ed il terzo motivo – da trattare congiuntamente – sono privi di fondamento essendo erronea, in diritto, la tesi della inammissibilità dell’appello per assunta "pedissequa riproposizione delle medesime argomentazioni già presenti nello scritto difensivo depositato dall’Ufficio dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale": "l’onere d’impugnazione specifica imposto" dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53 (per il cui comma 1 "il ricorso in appello contiene", tra l’altro, "i motivi specifici dell’impugnazione") – che non va confuso con la fondatezza delle ragioni esposte a supporto di ogni motivo di gravame -, infatti (Cass., trib., 28 febbraio 2011 n. 4784, tra le recenti, che richiama "Cass., trib., 12 novembre 2007 n. 23469" nonchè "Cass. n. 21745/2006" e "Cass. n. 14031/2006"), "atteso il carattere devolutivo pieno dell’appello mezzo di impugnazione" (siccome "non limitato al controllo di vizi specifici, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito") , "è assolto anche quando … siano riproposte le stesse argomentazioni poste a sostegno della validità dell’atto impugnato dal contribuente, se l’amministrazione finanziaria le considera idonee a sostenerne la legittimità ed a confutare le diverse conclusioni cui era pervenuto il giudice di primo grado".

L’esame della terza censura, intuitivamente, risulta assorbito dalla riscontrata infondatezza del precedente motivo.

D. Anche le ulteriori (quarta e quinta) due doglianze vanno scrutinate congiuntamente: entrambe non hanno pregio.

Per l’art. 57 del già richiamato D.Lgs. n. 546 del 1992, infatti, costituisce "domanda nuova" (come tale inammissibile se proposta per la prima volta con l’atto di appello) sol quella con la quale una delle parti introduce una causa petendi diversa a fondamento del medesimo petitum posto in primo grado a sostegno della sua domanda ovvero chieda al giudice (petitum), per lo stesso titolo già dedotto, l’attribuzione di un bene della vita diverso da quello chiesto in precedenza.

Il processo tributario, in particolare e come noto (Cass., trib., 30 luglio 2007 n. 16829, ex multis), "in quanto rivolto a sollecitare il sindacato giurisdizionale sulla legittimità del provvedimento impositivo, è strutturato come un giudizio di impugnazione del provvedimento stesso, nel quale l’Ufficio assume la veste di attore in senso sostanziale, e la sua pretesa è quella risultante dall’atto impugnato, sia per quanto riguarda il petitum che per quanto riguarda la causa petendi (Cass. 1584/06)": "tale caratteristica circoscrive il dibattito alla pretesa effettivamente avanzata con detto atto alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in esso indicati ed entro i limiti delle contestazioni mosse dal contribuente (Cass. 3345/02; 15234/01; 4125/02)".

Da tal principio discende che la novità della domanda dell’amministrazione finanziaria che ha emesso l’atto impositivo impugnato deve essere necessariamente verificata in base non solo (e/o non tanto) alle controdeduzioni di primo grado della stessa ma, soprattutto, in stretto riferimento alla "pretesa effettivamente avanzata con detto atto", ovverosia "alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in esso indicati": di conseguenza è, ovviamente, del tutto insufficiente dire che gli "elementi" sui quali "i giudici di secondo grado" hanno "fondato la decisione" sarebbero stati affermati ("ha affermato") dall’"Agenzia …, unicamente per la prima volta in appello" senza fondatamente contestare che quegli elementi "membri comuni: tra la scarsissima corrispondenza esibita (tra le due società) è stato rinvenuto un fax trasmesso dalla appellata alla TU.LE. che reca quale destinatario il Dott. P., socio dell’appellata"; "non si riesce a comprendere come mai un fax ad oggetto delle contestazioni nei confronti della TU.LE. venga recapitato al … socio della ALTA"; "prestito obbligazionario …

emesso dalla ALTA … sottoscritto per il 74% dalla TU.LE. e per la restante parte dai soci della ALTA" ("circostanza depone a favore del controllo di fatto") non sono stati evidenziati neppure nel processo verbale di contestazione nè considerati (sia pure come motivazione per relationem) nel conseguente avviso di accertamento oggetto dell’impugnazione.

Per incidens, va evidenziata l’inammissibilità (per così dire propria) del quinto motivo atteso che l’omessa pronuncia ("senza che l’adita Commissione si sia pronunciata … in merito") contestata con lo stesso integra, se sussistente, un classico error in procendo causa di nullità della sentenza ex art. 132 c.p.c. per violazione, da parte del giudice, dell’obbligo ("il giudice deve") impostogli dall’art. 112 c.p.c. di "pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa", deducibile (Cass., 2^, 23 settembre 2011 n. 19484) innanzi a questo giudice di legittimità "esclusivamente" ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 e non (come operato dalla ricorrente) come "omessa motivazione" (da ricondurre alla fattispecie regolata dal n. 5 del medesimo art. 360), supponendo siffatto "vizio", di necessità logica e giuridica, comunque una pronuncia contraria (univoca, ove implicita) da parte del giudice di appello.

E. L’esame dei successivi (ultimi) cinque motivi impone di ricordare che (Cass., 3^, 27 settembre 2011 n. 19748, la quale, definito il principio "assolutamente pacifico presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice", richiama "i termini, ad esempio, Cass. 20 aprile 2011, n. 9117; Cass,. 12 aprile 2011, n. 8410; Cass. 31 marzo 2011, n. 7459; Cass. 5 giugno 2007, n. 13066, nonchè Cass. 20 novembre 2006, 24607, specie in motivazione; Cass. 11 agosto 2004, n. 15499, tra le tantissime") "il vizio di violazione di legge" (art. 360 c.p.c., n. 3) "consiste nella deduzione di una erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (da cui la funzione di assicurare la uniforme interpretazione della legge assegnata dalla Corte di cassazione)" mentre l’"allegazione di una erronea ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo delle risultanze di causa, è esterna alla esatta interpretazione della norme di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice del merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione" in base all’art. 360 n. 5 detto:

"lo scrimine tra l’una e l’altra ipotesi" ("violazione di legge in senso proprio a causa della erronea ricognizione della astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta"), si è rettamente precisato, "è segnato, in modo evidente, dal fatto che solo questa ultima censura e non anche la prima è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa".

Alla luce di tale principio è agevole constatare che tutte le "violazioni o false applicazioni" di norme di diritto ("art. 110, comma 7" e "art. 9, comma 3" del "T.U.I.R.", nonchè "art. 2697 cod. civ.") denunziate nei residui motivi di censura (escluso il nono, che propone un vizio motivazionale) sono manifestamente infondati perchè la contestazione della esistenza dei "presupposti soggettivi" ("controllo diretto o indiretto tra due società"), come di quelli "oggettivi" ("congruità dei prezzi di trasferimento di beni materiali rispetto al valore normale degli stessi"; "determinazione della provvigione"), per la giuridica configurabilità della fattispecie ("tranfer pricing") contemplata dal comma 7, art. 110 (numerazione ex D.Lgs. n. 344 del 2003; in origine art. 76) D.P.R. dicembre 1986 n. 917 (TUIR) ("i componenti del reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato, che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa, sono valutati in base al valore normale dei beni ceduti, dei servizi prestati e dei beni e servizi ricevuti, determinato a norma del comma 2, se ne deriva aumento del reddito"; "la presente disposizione si applica anche per i beni ceduti e i servizi prestati da società non residenti nel territorio dello Stato per conto delle quali l’impresa esplica attività di vendita e collocamento di materie prime o merci o di fabbricazione o lavorazione di prodotti") non è fondata su di una qualche interpretazione di tale norma diversa da quella necessariamente sottesa a quella del giudice del merito ma, tout court, sulla negazione della concreta sussistenza, nella specie, di un "controllo diretto o indiretto tra due società" nonchè sulla assunta "congruità" sia "dei prezzi di trasferimento di beni materiali rispetto al valore normale degli stessi" (anche alla luce delle "risultanze contenute nella perizia tecnica depositata" in ordine alla quale si imputa alla Commissione Tributaria Regionale la "omessa … valutazione") che "della provvigione": all’evidenza, quindi, esclusivamente sulla contestazione della sussistenza degli elementi fattuali costitutivi della fattispecie.

Parimenti va ribadito che (Cass., trib., 20 gennaio 2006 n. 1131 sulla scia di "Cass., 3^, 22 luglio 2004 n. 13618; id, 2^, 24 febbraio 2004 n. 3642; id, trib., 14 aprile 2003 n. 6055; id., 3^, 14 febbraio 2001, n. 2155; già Cass., 1^, 2 dicembre 1993 n. 11949") "la violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ., si configura … soltanto nell’ipotesi", "neppure dedotta" nè ivi nè qui, "in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di una eventualmente incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere, poichè in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità unicamente per il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5".

Sulle valutazioni di questi elementi operate dal giudice del merito – denunziabili a questa Corte nei soli casi previsti dal n. 5 dell’art. 360 c.p.c. (ovverosia in ipotesi di "omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio") -, poi, va confermato che (Cass., 6^, sott. 2^, 17 giugno 2011 n. 13398, ord., la quale richiama, "da ultimo", "Cass. n. 6288 del 2011") "il vizio di omessa o insufficiente motivazione …

sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè la citata norma non conferisce alla Corte di legittimità il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, a tale scopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione".

I principi esposti consentono di evidenziare l’assoluta inidoneità delle osservazioni della contribuente ad infirmare il giudizio raggiunto dal giudice del merito in ordine sia alla sussistenza tra le due società del controllo rilevante ex lege ("presupposto soggettivo") sia alla non rispondenza (per maggiorazione economicamente ingiustificata) del prezzo praticato al valore di mercato dei beni e/o servizi ("presupposto oggettivo") atteso che:

– a fini "soggettivi", (a) la (quand’anche erronea) indicazione della sede della TULA s.a. non ha influito menomante sulla corretta (ed incontestata) individuazione del(la nazionalità sammarinese del) soggetto, quindi sulla non residenza dello stesso "nel territorio dello Stato", e (b) gli ulteriori elementi considerati dalla Commissione Tributaria Regionale "rapporti proprietari" (partecipazione del socio P. alle due società) e, soprattutto, riscontrata preponderanza ("la quasi totalità") dei "rapporti di affari e contrattuali" della società sammarinese con la ricorrente nonchè il particolare favore ("termini di comodo") goduto dalla contribuente nelle "transazioni finanziarie", evidentemente rilevanti ai fini dell’accertamento del presupposto legale del "controllo", non risultano affatto confutati;

– a fini Soggettivi", (a) nessun concreto elemento (nemmeno evidenziato con riferimento ad un qualche specifico punto della perizia di parte, nella quale, comunque, non si riscontra nessun riferimento incrociato ai dati considerati negli atti impositivi, con conseguente irrilevanza della nona censura) è stato dedotto per contrastare il comportamento considerato "antieconomico" (costituente il cuore dell’operazione di transfer pricing) dal giudice del merito, desunto dal fatto che la ricorrente ha acquistato dalla società sammarinese prodotti "Dalmine" (acquistargli direttamente dalla produttrice senza il "ricarico") gravati da un "ricarico del 32%", peraltro in nessun modo "giustificato" in quanto, come accertato dal giudice a quo, "su tali prodotti … i relativi costi vengono rilevati in conti separati", e (b) il criterio di determinazione della "provvigione" (che la contribuente assume contrattualmente "identificata nella differenza tra il prezzo proposto dalla committente ed il prezzo concordato tra l’agente e il cliente finale al netto di tasse") evidenziato nella doglianza relativa contiene in sè una evidente alterazione del "valore normale" del servizio prestato essendo rimesso all’insindacabile scelta della "committente" far lievitare quella "differenza" proponendo un "prezzo" del bene superiore a quello di mercato.

p. 4. Delle spese processuali.

Per la sua totale soccombenza la ricorrente, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., è tenuta a rifondere all’Agenzia le spese di questo giudizio di legittimità indicate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società a rifondere all’Agenzia le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 15,000,00 (quindicimila/00), oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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