Cassazione, sez. I, 4 luglio 2011, n. 14554 I genitori sono parti necessarie nel giudizio di adottabilità del minore?

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo

Aperto il procedimento relativo allo stato di abbandono di L.A., nata a (omissis), figlia di L.F. ed A..A., il Tribunale per i minorenni di Palermo, con sentenza del 18-23.09.2009, dichiarava lo stato di adottabilità della minore. Con sentenza del 2-12.07.2010, la Corte di appello di Palermo, sezione civile per i minorenni, in accoglimento dell’impugnazione proposta dai nonni paterni della bambina, L.P. e M.C.R., ed in contraddittorio del nominato curatore speciale, avv.to M..T.C. e del PG, annullava la dichiarazione dello stato di adottabilità nonché le conseguenti statuizioni. La Corte territoriale premetteva anche che dalla sentenza del TM emergeva:

– che per l’allarmante situazione familiare la bambina era stata inserita in idonea casa famiglia sin dall’11.02.2008 e, dunque, subito dopo la sua nascita, avvenuta il 12.01.2008;

– che in particolare, anche all’esito della ctu disposta in primo grado, la madre della minore era affetta da patologie psichiatriche, per le quali si era reso necessario il ricorso al TSO, mentre il padre era tossicodipendente, con disturbi comportamentali che, inoltre, la nonna materna si era disinteressata della vicenda, mentre i coniugi L.-R., nonni paterni, avevano assunto atteggiamenti aggressivi nei confronti degli operatori della struttura e dei servizi sociali, ed erano altresì apparsi inadeguati per la loro incapacità di gestire i genitori della nipotina e perché privi di consapevolezza della complessità dell’impegno da affrontare per crescerla.

Sottolineato pure che il curatore speciale della minore aveva chiesto inizialmente il rigetto del gravame esperito dai coniugi L. -R., la Corte concludeva, sulla scorta della rinnovata e recepita CTU:

– che dalla svolta indagine tecnica d’ufficio gli appellanti erano risultati capaci di garantire alla nipote le dovute cure sul piano materiale, affettivo, intellettivo e creativo e, dunque, di fornirle tutto ciò che materialmente e spiritualmente fosse necessario per lo sviluppo armonico della stessa che alla stregua delle argomentate e convincenti valutazioni dell’esperto d’ufficio, valutazioni condivise anche dallo stesso curatore speciale e dal PG che avevano concluso per l’accoglimento del gravame, doveva ritenersi insussistente lo stato di abbandono della piccola Adriana, tenuto conto che la disponibilità dei nonni ad occuparsi della bambina era apparsa effettiva e sincera, che il rapporto tra gli stessi e la nipotina, fintanto che era stato permesso, era stato effettivamente significativo, e che, infine, i nonni si erano mostrati risoluti ad attivare ogni risorsa per arginare possibili attacchi intrusivi da parte dei genitori biologici;

– che a tale ultimo riguardo alla consulente d’ufficio era stato anche dai nonni manifestato il proposito di trasferirsi con la bambina a Vicenza, ove risiedeva il loro figlio maggiore, il quale interpellato dalla medesima CTU, aveva confermato la sua disponibilità a cooperare coi propri genitori per neutralizzare le possibili azioni di disturbo del fratello Fabio e della sua compagna, genitori biologici della bambina.

Avverso questa sentenza, notificatagli il 19.07.2010, il Procuratore Generale della Repubblica di Palermo ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, notificato il 1.10.2010 al curatore speciale della minore ed il 4.10.2010 al L. ed alla R., che hanno resistito con controricorso notificato il 20 ed il 21.10.2010.

Motivi della decisione

Preliminarmente va ritenuta l’irricevibilità dei documenti allegati al ricorso, estranei al novero di quelli di cui, ai sensi dell’art. 372 c.p.c., è consentita la produzione in questa sede.

Sempre in via preliminare di rito, deve essere disattesa l’eccezione dei controricorrenti d’inammissibilità del ricorso per cassazione, riferita alla mancata formulazione dei quesiti già prescritti dall’art. 366 bis c.p.c. Come noto (cfr, tra le altre, Cass. n. 7119 del 2010);

“Alla stregua del principio generale di cui all’art. 11, comma primo, disp. prel. cod. civ., secondo cui, in mancanza di un’espressa disposizione normativa contraria, la legge non dispone che per l’avvenire e non ha effetto retroattivo, nonché del correlato specifico disposto del comma quinto dell’art. 58 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in base al quale le norme previste da detta legge si applicano ai ricorsi per cassazione proposti avverso i provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore della medesima legge (4 luglio 2009), l’abrogazione dell’art. 366-bis cod. proc. civ. (intervenuta ai sensi dell’art. 47 della citata legge n. 69 del 2009) è diventata efficace per i ricorsi avanzati con riferimento ai provvedimenti pubblicati successivamente alla suddetta data, con la conseguenza che per quelli proposti antecedentemente (dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 40 del 2006) tale norma è da ritenersi ancora applicabile”.

Nella specie, l’impugnata sentenza è stata pubblicata il 12.07.2010 e, quindi, dopo il 4.07.2009, sicché, per quanto detto, il successivo ricorso per cassazione in discussione non era soggetto alle prescrizioni contenute nell’art. 366 bis c.p.c., sulla formulazione dei relativi motivi. A sostegno del ricorso il PG presso il giudice a quo denunzia:

1. "Violazione e falsa applicazione di norme di diritto di cui all’art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., con riferimento al combinato disposto della L. n. 184 del 1983, art. 17, come modificato dalla L. 28 marzo 2001, n. 149, art. 1, e dell’art. 331 c.p.c., comma 1, per non essere stato l’appello notificato a tutte le parti che hanno partecipato al processo di 1 grado e per non avere la Corte disposto l’integrazione necessaria del contraddittorio nei confronti di dette parti e segnatamente dei genitori della minore, regolarmente costituiti a mezzo di difensore d’ufficio nel precedimento dinanzi al TM di Palermo.

2. "Violazione di legge con riferimento all’art. 12, co. 1 L 184/1983 in relazione all’art. 360 c.p.c., nn 3 e 5, per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in ordine alla valutazione dell’attualità dei rapporti significativi tra i nonni e la nipote".

Sostiene che nella valutazione dell’interesse della minore si sarebbe dovuta prendere in considerazione pure la situazione attuale della bambina, verificando l’opportunità e gli effetti di un suo eventuale ricongiungimento con la famiglia di sangue, alla luce anche del fatto che sin dal 2009 è stata provvisoriamente collocata presso una famiglia affidataria.

3. "Omessa e/o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia ex art. 360 n. 5 c.p.c., in ordine al recepimento delle conclusioni della CTU". Deduce che l’impugnata sentenza è affetta dai rubricati vizi motivazionali, sostenendo anche che le esposte argomentazioni evidenziano l’acritico recepimento delle valutazioni rese dall’esperto d’ufficio e la mancata valutazione comparativa tra le attitudini genitoriali vicarie dei nonni paterni e le attuali esigenze della minore, oltre a rivelarsi mute in ordine alla superfluità di maggiori approfondimenti istruttori, a fronte pure di una indagine tecnica officiosa limitata alla valutazione psicologica dei nonni paterni, svincolata dall’effettività dell’esigenza di tutela della bambina ed avente valore puramente assertivo. Il primo motivo del ricorso è fondato ed al relativo accoglimento segue l’assorbimento degli altri due motivi d’impugnazione.

In tema di diritto del minore ad una famiglia e segnatamente di sua adozione (nazionale), il titolo II della legge 4 maggio 1983, n. 184, nel testo novellato dalla legge 28 marzo 2001, n. 149, che riflette anche principi sovranazionali (di cui anche agli artt. 3, 9, 12,14, 18, 21 della Convenzione di New York del 20.11.1989, ratificata con legge n. 176 del 1991; agli artt. 9 e 10 della Convenzione Europea sui diritti del fanciullo, fatta a Strasburgo il 25.01.1996 e ratificata con legge n. 77 del 2003; all’art. 24 della Carta di Nizza), dispone che il procedimento deve svolgersi sin dall’inizio con l’assistenza legale dei genitori, i quali devono essere avvertiti dell’apertura della procedura, essere invitati a nominare un difensore, essere informati della nomina di un difensore d’ufficio per il caso che non vi provvedano, ed ancora che gli stessi, assistiti dal difensore, possono partecipare in primo grado a tutti gli accertamenti disposti dal Tribunale e debbono essere sentiti e ricevere la comunicazione dei provvedimenti adottati, nonché possono presentare istanze anche istruttorie e prendere visione ed estrarre copia degli atti contenuti nel fascicolo previa autorizzazione del giudice, e devono ricevere la notificazione per esteso della sentenza, con contestuale avviso del loro diritto di proporre impugnazione (art. 8 comma 4, art. 10, commi 2 e 5, art. 12, art.13, art. 15, art. 16).

L’art. 17 prevede, inoltre, che il pubblico ministero e le altre parti possano proporre impugnazione avanti la Corte d’appello e non pone alcuna ulteriore restrizione al novero dei legittimati al gravame e, dunque, deroga al regime del contraddittorio previsto in via generale nel nostro ordinamento positivo processuale con riguardo ai procedimenti contenziosi ordinari.

La novellata normativa attribuendo, dunque, ai genitori del minore una legittimazione autonoma connessa ad un’intensa serie di poteri, facoltà e diritti processuali, è atta a fare assumere loro la veste di parti necessarie e formali dell’intero procedimento di adottabilità (cfr Cass. n. 7281 del 2010) e, quindi, di litisconsorti necessari pure nel giudizio d’appello, quand’anche in primo grado non si siano costituiti, con conseguente necessità di integrare il contraddittorio nei loro confronti, ove non abbiano proposto il gravame (per le diverse connotazioni dell’abrogata normativa, cfr in primis Cass. SU n. 1006 del 1995), Giova aggiungere che lo scopo di porre i genitori a legale conoscenza dell’altrui impugnazione non può ritenersi conseguito per effetto della sola notificazione, attuata d’ufficio anche nei loro confronti, del decreto presidenziale di fissazione dell’udienza di discussione dell’appello esperito dalle altre parti, posto che tale iniziativa officiosa non consente anche la conoscenza del contenuto dell’altrui ricorso e, dunque, il compiuto esercizio del loro diritto di difesa.

Conclusivamente, deve essere accolto il primo motivo del ricorso, con assorbimento di tutte le residue censure, e l’impugnata sentenza cassata, con rinvio alla Corte di appello di Caltanissetta, cui si demanda anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, assorbiti gli altri, cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Caltanissetta.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *