Cons. Stato Sez. V, Sent., 11-01-2012, n. 81 Sanzioni amministrative e pecuniarie

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale amministrativo regionale per la Basilicata con la sentenza n. 705 del 23 dicembre 1999, accogliendo il ricorso proposto dal signor P.B., annullava la Det. n. 04G2/1998/D/79 del 29 dicembre 1998 del Dirigente del Dipartimento Assetto del Territorio – Servizio Tutela del paesaggio – della Regione Basilicata, con cui era stata fissata in L.. 9.710.400 l’indennità pecuniaria dovuta ai sensi dell’art. 2, comma 46, della L. 23 dicembre 1996, n. 662, in relazione alle opere abusivamente realizzate nel Comune di Maratea, località Triolo, oggetto di condono edilizio ai sensi dell’art. 32 della L. 28 febbraio 1985, n. 47.

In particolare, ritenuta appartenente la controversia de qua alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativa, ai sensi dell’art. 34 del D. Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, il predetto tribunale ha ritenuto ritenendo fondato ed assorbente il secondo motivo di censura, a mezzo del quale il ricorrente aveva eccepito la prescrizione quinquennale della sanzione pecuniaria irrogata (ex artt. 15 della L. 29 giugno 1939, n. 1497, e 2, comma 46, della L. 23 dicembre 1996, n. 662), essendo applicabili alla riscossione del credito in questione le disposizioni dettate dal primo comma dell’articolo 28 della L.24 novembre 1981, n. 689, il termine di prescrizione decorrendo dalla cessazione della permanenza dell’illecito urbanistico, coincidente con quello del parere favorevole espresso dall’autorità preposta al vincolo al mantenimento dell’opera abusiva realizzata (parere Commissione regionale per la tutela del paesaggio in data 16 marzo 1989 e coevo provv. n. 1962 del 16 marzo 1989 dell’Assessore regionale al Dipartimento del territorio).

2. Con atto di appello notificato il 24 luglio 2000 la Regione Basilicata chiedeva la riforma di tale sentenza, deducendo la erroneità alla stregua di due motivi di gravame, rubricati rispettivamente "Violazione dei principi che regolano l’esercizio delle funzioni amministrative – Illegittima ed erronea applicazione della L. n. 689 del 1981 – Insussistenza dei presupposti" e "Difetto di motivazione".

Secondo l’appellante, infatti, l’esercizio del potere sanzionatorio, in quanto espressione di potestà pubblica, in mancanza di una specifica previsione, non era soggetto a prescrizione o decadenza, come del resto ripetutamente affermato dalla giurisprudenza amministrativa anche con riferimento ad illeciti realizzati in violazione di norme in materia urbanistica e a tutela del paesaggio, il che, diversamente da quanto ritenuto dai primi giudici, rendeva del tutto inapplicabile l’articolo 28 della L.24 novembre 1981, n. 689; d’altra parte il parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo non costituiva altro che una condizione per il rilascio della concessione o dell’autorizzazione in sanatoria, ma non spiegava alcun effetto in ordine al diverso, distinto ed autonomo procedimento di irrogazione della sanzione amministrativa.

Si costituiva in giudizio il signor P.B., sostenendo la correttezza della sentenza e l’infondatezza dell’avverso gravame, di cui chiedeva il rigetto, riproponendo per altro il primo motivo di censura sollevato in primo grado, ma non esaminato dai primi giudici per assorbimento, con cui era stato lamentato "A. Eccesso di potere, violazione e falsa applicazione di legge, errata quantificazione della somma".

3. Con ordinanza n. 3064 del 23 maggio 2011 è stata accolta l’opposizione proposta dalla Regione Basilicata al decreto n. 6301 del 31 agosto 2010, con cui era stata dichiarata la perenzione dell’appello in esame, ed è stata tra l’altro fissata per la discussione l’udienza pubblica del 6 dicembre 2010.

A tale udienza la causa è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

4. L’appello della Regione Basilicata è fondato.

4.1. La questione dell’applicabilità alla sanzione amministrativa di cui all’art. 15 della L. 29 giugno 1939, determinata dalla Regione Basilicata per il mantenimento di opere abusive e condonate in zona paesaggisticamente protetta, del termine quinquennale di prescrizione previsto dall’art. 28 della L.24 novembre 1981, n. 689, è stata più volte esaminata dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato in senso favorevole alla Regione appellante, da ultimo con la decisione della Quarta Sezione n. 1585 dell’11 aprile 2007, dalle cui approfondite e condivisibili considerazioni non vi è ragione di discostarsi.

4.1.1. E’ stato in particolare evidenziato che l’esercizio di un potere di natura autoritaria, qual è quello di cui si tratta, non può estinguersi per prescrizione o decadenza, sia perché "…solo una espressa previsione normativa potrebbe fissare un termine di decadenza in proposito, ad esempio decorrente dalla data di accertamento dell’illecito, ma una norma di tal genere non si rinviene, attualmente, nell’ordinamento", sia perché "…il credito dell’Amministrazione – in conseguenza dell’illecito compiuto dal privato in area sottoposta a vincolo paesaggistico – non sorge con la mera commissione del fatto, bensì solo dal momento del perfezionamento della fattispecie legale complessa, costituita dall’accertamento dell’abuso nella sua materialità e della conclusione dello specifico sub procedimento che determina la quantificazione della sanzione", con la conseguenza che "prima di tale conclusione…non sono configurabili né l’inadempimento del trasgressore (tanto che sull’importo dell’indennità non vanno calcolato gli interessi legali), né l’inerzia del creditore, non potendo essere richiesta o riscossa una somma per la cui quantificazione deve terminare il sub procedimento prescritto dalla legislazione di settore".

4.1.2. Le osservazioni contenute nel citato precedente escludono anche la correttezza della conclusione cui è pervenuta il primo giudice, secondo cui trattandosi di illecito permanente, la prescrizione sarebbe decorsa dalla cessazione della permanenza stessa, coincidente con il momento in cui l’autorità preposta alla tutela aveva espresso parere favorevole al mantenimento dell’opera abusiva, facendo venir meno l’antigiuridicità del fatto.

Infatti "…se è vero che…l’illecito in questione ha natura permanente, è altrettanto vero che lo stesso è caratterizzato dall’omissione dell’obbligo, perdurante nel tempo, di ripristinare secondo diritto lo stato dei luoghi, così che se l’Amministrazione si determina con un provvedimento repressivo (demolizione ovvero irrogazione della sanzione pecuniaria), tale atto non può intendersi emanato a distanza di tempo dalla commissione dell’abuso, essendo volto a sanzionare una situazione antigiuridica ancora persistente, atteso che la situazione di illiceità può dirsi venuta meno solo quando è stato assolto l’obbligo di ripristino dello stato dei luogo ovvero sia stata pagata, in alternativa, la prevista sanzione pecuniaria", così che "…l’intervenuto parere favorevole al mantenimento delle opere abusivamente realizzato…, in mancanza di una qualsiasi norma positiva in tal senso, è da ritenersi privo di un’autonoma rilevanza in quanto concorre a consentire il rilascio della concessione edilizia in sanatoria, inserendosi, secondo le previsioni contenute nell’art. 32 della L. 28 febbraio 1985, n. 47, nel diverso procedimento volto a sanare solo ed esclusivamente illeciti di natura edilizia – urbanistica, in relazione ad immobili soggetti a vincoli paesaggistici o ambientale, e non costituisce, pertanto, atto idoneo a far decorrere il termine di prescrizione previsto dal ricordato art. 28 della L. n. 689 del 1981".

4.1.3. A conforto delle tesi fin qui sostenute, milita anche, come evidenziato anche dal ricordato precedente giurisprudenziale, l’art. 2, comma 6, comma 46, della L. 23 dicembre 1996, n. 662 (su cui si fonda il provvedimento impugnato), il quale, stabilendo che "il versamento dell’oblazione non esime dall’applicazione dell’indennità risarcitoria di cui all’art. 15 della L. n. 1457 del 1939", implica che la lesione dello specifico interesse pubblico violato perdura fintanto che esso non sia risarcito per equivalente.

4.1.4. Sulla scorta delle osservazioni svolte il primo motivo di appello deve essere accolto, con assorbimento delle doglianze di difetto di motivazione della sentenza impugnatA (sempre riferite al momento di decorrenza del termine quinquennale di prescrizione) sollevate con il secondo motivo di gravame.

4.2. Ciò tuttavia impone alla Sezione l’esame del primo motivo del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, non esaminato dai primi giudici, ma riproposto dall’appellato con la memoria difensiva costituzione in appello.

4.2.1. Il motivo è fondato, nei sensi appresso indicati.

Deducendo infatti "A. Eccesso di potere, violazione e falsa applicazione di legge, errata quantificazione della somma", il sig. Pasquale Burba, dopo aver contestato l’applicabilità al caso di specie dell’art. 2, comma 46, della L. 23 dicembre 1996, n. 662, ha poi lamentato in concreto non solo la mancata applicazione nel caso di specie del D.M. 26 settembre 1997, con cui il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali aveva fissato i parametri di determinazione dell’indennità, ma anche l’incomprensibilità delle modalità di quantificazione della sanzione irrogata.

Precisato che non vi è alcuna ragione per ritenere che le disposizioni contenute nell’articolo 2, comma 46, della L. 23 dicembre 1996, n. 662, non possano trovare applicazione agli illeciti urbanistici commessi prima della sua entrata in vigore (tanto più che si tratta della c.d. legge finanziaria), né può essere invocato un qualche affidamento, asseritamente discendente dalla presentazione (e/o dall’accoglimento) dell’istanza di condono, per sostenere l’inammissibilità dell’applicazione della sanzione di cui all’art. 15 della L. 29 giugno 1939, n. 1497, deve condividersi la tesi della omessa applicazione delle disposizioni contenute nel D.M. 26 settembre 1997.

Dall’esame del provvedimento impugnato infatti emerge che la valutazione del danno paesaggistico (e del profitto conseguito mediante la trasgressione commessa) è stata operata dai competenti uffici senza tener conto delle indicazioni fornite dal ricordato D.M. 26 settembre 1997, recante la "Determinazione dei parametri e delle modalità per la qualificazione della indennità risarcitoria per le opere abusive realizzate nelle aree sottoposte a vincolo", così che la relativa doglianza deve essere accolta, per un verso essendo plausibile, in mancanza di qualsiasi contestazione sul punto da parte dell’intimata amministrazione regionale, che per la concreta determinazione della sanzione irrogata siano stati applicati parametri, vaghi ed eccessivamente discrezionali, in uso prima dell’emanazione del ricordato decreto ministeriale, e per altro verso in ragione del carattere immediatamente precettivo di quest’ultimo.

4.2.2. La fondatezza del motivo in esame comporta l’illegittimità del provvedimento impugnato ed il suo annullamento, con conseguente accoglimento del ricorso di primo grado.

5. In conclusione, alla stregua delle osservazioni svolte, l’appello della Regione Basilicata deve essere accolto nei sensi di cui in motivazione e la sentenza impugnata deve essere confermata con la diversa indicata motivazione.

La peculiarità e la risalenza nel tempo delle questioni trattate giustifica la compensazione tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello proposto dalla Regione Basilicata avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Basilicata, n. 705 del 23 dicembre 1999, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, conferma con diversa motivazione l’impugnata sentenza.

Dichiara integralmente compensate tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 dicembre 2011 con l’intervento dei magistrati:

Calogero Piscitello, Presidente

Vito Poli, Consigliere

Carlo Saltelli, Consigliere, Estensore

Eugenio Mele, Consigliere

Antonio Bianchi, Consigliere

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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