Cass. civ. Sez. V, Sent., 28-06-2012, n. 10799

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Commissione tributaria della regione Puglia sez. 11 Bari con sentenza 16.7.2009 n. 71 ha accolto l’appello proposto dall’Ufficio di Gioia del Colle della Agenzia delle Entrate, ed in totale riforma della sentenza di prime cure ha dichiarato legittimo l’avviso di accertamento emesso nei confronti di A.A. – n.q. di titolare della omonima ditta individuale esercente l’attività di commercio di autoveicoli -, con il quale era stata recuperata IVA evasa per Euro 328.352,00 a rettifica dei redditi di impresa indicati nella dichiarazione fiscale relativa all’anno 2003, per costi indeducibili ed illegittima applicazione del regime fiscale IVA c.d.

del margine sulla importazione dalla Germania di auto usate.

I Giudici territoriali rilevavano che la ditta italiana non aveva fornito prova che i cedenti comunitari da cui aveva importato i veicoli usati disponessero dei requisiti soggettivi previsti dal D.L. 23 febbraio 1995, n. 41, art. 36, comma 1 conv. in L. 22 marzo 1995, n. 85 per l’applicazione del regime fiscale speciale del margine di utile sulle importazioni di beni usati dai Paesi membri, con la conseguenza che le forniture in questioni rimanevano assoggettate all’ordinario regime IVA sugli acquisiti intracomunitari come disciplinato dal D.L. n. 331 del 1993 conv. in L. n. 427 del 1993.

Avverso tale sentenza la ditta individuale ha proposto rituale ricorso per cassazione, notificato alla Agenzia delle Entrate in data 24.9.2009, censurando la decisione della CTR pugliese con tre motivi in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5).

Non ha resistito Pente pubblico intimato.

Motivi della decisione

1. I Giudici di appello hanno fondato l’accoglimento dell’appello sulle seguenti ragioni:

– la difformità riscontrata tra le fatture emesse dagli esportatori tedeschi e consegnate agli ispettori nel corso della verifica fiscale e riportate ne PVC redatto il 29.5.2005 (sulle quali era apposta la stampigliatura "acquisiti intracomunitari" sottoscritta dal contribuente) e quelle invece allegate alla perizia deposita in giudizio con la relativa traduzione giurata (sulle quali non era invece riportata la predetta annotazione), era da ritenersi irrilevante in quanto solo tre delle fatture allegate alla perizia giurata erano state emesse nell’anno 2003 e dunque erano rilevanti ai fini della decisione, e comunque era incontestato che le fatture acquisite al giudizio recassero tutte la annotazione "acquisti infracomunitari" D.L. n. 331 del 2009, art. 46 conv. in L. n. 427 del 1993, con la conseguenza che detti acquisiti rimanevano assoggettati al regime IVA ordinario (aliquota 2%) e dunque la successiva rivendita dei veicoli da parte dell’acquirente scontava tale imposta e non il regime speciale del margine;

– la annotazione "consegna comunitaria esente da imposta ai sensi dell’art. 28 C della 6 Direttiva CE e del par. 6 dell’USTG" ovvero "vendita esente da IVA ai sensi del par. 25" riportata nelle fatture emesse dagli esportatori tedeschi non attestava la applicazione da parte del venditore – soggetto passivo IVA comunitario – del regime del margine, ma stava piuttosto ad indicare che la operazione di cessione effettuata con spedizione dei veicoli dalla Germania in Italia era esente da IVA sul territorio di transito tedesco in quanto detta operazione era tassabile nel luogo di destinazione della merce;

– gli acquisti di auto usate così effettuati andavano, pertanto, ricondotti nella disciplina fiscale degli acquisti intracomunitari di cui al D.L. n. 331 del 1993, art. 46 conv. in L. n. 427 del 1993 (con applicazione del regime IVA ordinario), non avendo fornito la ditta cessionaria, anche attraverso i libretti di circolazione dei veicoli, la prova della sussistenza dei requisiti soggettivi di legge per l’applicazione del regime fiscale del margine del D.L. n. 41 del 1995, art. 36 conv. L. n. 85 del 1995) e cioè che gli operatori comunitari – cedenti fossero privati consumatori: ovvero soggetti passivi IVA non aventi diritto a portare in detrazione tale imposta o ancora soggetti operanti in regime di franchigia nel proprio Stato membro, ovvero soggetti passivi IVA ma che a loro volta avevano utilizzato il regime fiscale "del margine" nel Paese membro di origine. Tale prova si rendeva necessaria anche nel caso in cui le fatture emesse si presentassero formalmente regolari e complete di tutte le indicazioni richieste ex lege (in osservanza alle prescrizioni di cui al D.L. n. 331 del 1993, art. 38) ed in particolare anche qualora riportassero la indicazione del regime di esenzione o di non imponibilità – e del corrispondente titolo normativo – eventualmente fruito dal cedente comunitario, atteso che la regolarità meramente formale non poteva comunque sostituirsi alla realtà effettuale sicchè ove fosse risultata in seguito ad accertamento fiscale la indebita fruizione della esenzione IVA da parte del cedente-comunitario, il cessionario sarebbe stato egualmente tenuto a corrispondere l’IVA nella aliquota ordinaria del 20%, non ricorrendo in concreto le condizioni per l’applicazione del regime del margine di utile:

– andava accolto anche il secondo motivo di appello, con il quale Ufficio contestava i vizi formali delle fatture per difetto delle indicazioni previste dal D.L. n. 331 del 1993, art. 46 conv. in L. n. 427 del 1993, con conseguente non applicabilità del regime del margine, in quanto la ditta contribuente aveva si apposto sulle fatture la dicitura "acquisto infra/comunitario" (con ciò identificando la operazione come soggetta al regime ordinario IVA) ma aveva poi applicato il regime del margine senza che fosse stato indicato in fattura "alcun titolo di esenzione, nè la norma relativa", in conseguenza versando all’Erario una minore imposta, pari alla differenza tra l’IVA al 20% effettivamente dovuta e quella inferiore in concreto versata in base a regime del margine.

2. La ditta ricorrente ha censurato la sentenza di appello deducendo i seguenti vizi di legittimità – violazione e falsa applicazione del D.L. n. 41 del 1995, artt. 36, 37 e 38 conv. in L. n. 85 del 1995 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

2 – violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5).

3 – violazione e falsa applicazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 46, comma 1 conv. in L. n. 427 del 1993, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

3. Con il primo motivo il contribuente rileva la erroneità della affermazione della sentenza laddove si sostiene che il cessionario può fruire del regime del margine soltanto se l’operatore comunitario-cedente abbia indicato espressamente nella fattura di avvalersi di tale regime (cfr. motivaz. sent. pag. 11), mentre le norme di cui si denuncia la violazione non conterrebbero affatto tale prescrizione obbligatoria.

Indipendentemente da ogni considerazione in ordine alla inesatta affermazione dell’obbligo di annotazione del regime fiscale speciale nelle fatture emesse per acquisti intracomunitari effettuati nell’anno 2003 (va rilevato "per obiter" infatti, che l’obbligo di annotazione in fattura del regime di esenzione o dello speciale regime del margine di cui agli artt. 26 o 26 bis della Dir. CE n. 388/1977 ovvero l’espresso riferimento "alle corrispondenti disposizioni nazionali", o ancora la specificazione "di altre informazioni che indichino che è stato applicato il regime di margine di utile", è stato introdotto soltanto con l’art. 2 Direttiva 2001/15/CE del Consiglio in data 20.12.200 – modificativo dell’art. 28 novies paragr. 3 della citata 6^ direttiva CE sulla cifra di affari – che ha ricevuto attuazione. Tre anni dopo, con il D.Lgs. 20 febbraio 2004, n. 52, art. 1, che ha sostituito il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21. Orbene se, per un verso, tali disposizioni risultano inapplicabili "ratione temporis" alla fattispecie dedotta in giudizio – in quanto concernente acquisti intracomunitari compiuti nell’anno 2003, dalla norma del D.L. n. 331 del 1993, art. 46, comma 1 conv. in L. n. 427 del 1993 – ritenuta in procedenza applicabile alle operazioni comunitarie in regime del margine, in difetto di una specifica regolamentazione da parte della Direttiva 94/5/CE del Consiglio in data 14.2.1994 che ha introdotto la disciplina del regime de margine di utile ed ha ricevuto attuazione con il D.L. 23 febbraio 1994, n. 41, artt. da 36 a 40 conv. in L. 22 marzo 1995, n. 85, non è dato trarre la conclusione cui perviene la sentenza della CTR pugliese – motivaz. pag. 13 – secondo cui l’obbligo di annotazione del regime del margine fruito dall’operatore comunitario sarebbe comunque da ritenersi già compreso nella disposizione del citato art. 46, comma 1 che impone di indicare in fattura "il titolo unitamente alla relativa norma" che giustifichino l’acquisto effettuato "senza pagamento della imposta o non imponibile o esente", atteso che l’applicazione del regime fiscale speciale del margine di utile non rientra in alcuna delle ipotesi tipiche contemplate dalla norma indicata) il motivo di ricorso si palesa inammissibile in quanto non coglie la "ratio decidendi" della pronuncia del CTR pugliese.

Il passo motivazionale criticato è stato, infatti, espunto da un più ampio contesto argomentativo concernente la disamina della normativa applicabile alla fattispecie, correttamente individuata nel D.L. n. 41 del 1995, art. 36, comma 1 elencando le differenti condizioni soggettive degli operatori comunitari (cedenti) tutte accomunate dal presupposto indispensabile della indetraibilità o della mancata detrazione dell’IVA relativamente all’acquisto "a monte" del bene, successivamente esportato nel Paese membro del cessionario e da questi rivenduto a terzi. Tra tali condizioni soggettive vi è anche quella dell’operatore – soggetto passivo IVA nel proprio Stato membro – che non risulta non avere portato in detrazione l’IVA essendosi a sua volta avvalso del regime fiscale speciale del margine: tale ipotesi è stata prescelta, tra le altre, dai Giudici di appello in quanto attinente alla concreta fattispecie sottoposta ad esame (che aveva ad oggetto l’acquisto intracomunitario di veicoli usati ceduti da società germaniche. e dunque da soggetti passivi IVA astrattamente legittimali a detrarre l’imposta versala in occasione dell’acquisto del bene strumentale alla attività di impresa) e peraltro soltanto in funzione meramente esplicativa della diversa e dirimente considerazione secondo cui la eventuale regolarità formale della fattura (e dunque anche se l’operatore comunitario-cedente avesse regolarmente annotato di essersi avvalso del regime fiscale del margine) non costitutiva, comunque, condizione necessaria e sufficiente per l’"applicazione da parte della ditta cessionaria del regime del margine di utile, qualora – come si era verificato nel caso di specie – non fosse stata fornita adeguata prova "in base ad elementi aggettivi" che le società cedenti fossero effettivamente legittimate ad utilizzare tale regime speciale nel proprio Paese membro (cfr. motivaz. sent. pag. 10-12).

Ne segue che l’argomento decisivo posto a fondamento della pronuncia dei Giudici territoriali va rinvenuto, in relazione allo specifico capo di sentenza investito dalla censura, non nella affermazione della non spettanza del regime del margine in conseguenza della omessa annotazione in fattura, quanto piuttosto nella omessa prova da parte della ditta cessionaria che gli operatori comunitari da quali aveva acquistato i veicoli usati versassero in concreto nelle condizioni soggettive richieste dal D.L. n. 45 del 1995, art. 36, comma 1 (cfr. motiv. pag. 12: "nel caso in esame la parie odierna appellata non ha potuto o voluto documentare che le operazioni di rivendila degli autoveicoli usati – da lui acquistali in Germania senza applicazione dell’IVA – poste in essere nell’anno 2003 potessero considerarsi assoggettabili al regime del margine, non avendo dimostrato l’acquisto da soggetto privato consumatore mediante fa esibizione del libretto di circolazione").

4. Con il secondo motivo il ricorrente deduce che i Giudici territoriali avrebbero violato la regola del riparto probatorio, da un lato – sembra di comprendere – ammettendo prove acquisite irritualmente (l’ausilio di "conoscenti di lingua tedesca" estranei alla Amministrazione finanziaria, e da questa impiegati per la traduzione del libretti di circolazione, inficiava la prova del contenuto delle iatture, riportato nell’avviso di accertamento, da cui risultava che le fatture erano prive di alcuna annotazione relativa al regime fiscale in concreto applicato); dall’altro attribuendo, in violazione dell’art. 2697 c.c., al contribuente la prova negativa dei fatti costitutivi della pretesa tributaria.

Il motivo, quanto alla prima censura, si palesa inammissibile in considerazione sia dell’erronea individuazione del parametro normativo in relazione al quale viene richiesto il sindacato di legittimità (la irritualità della prova ricade nell’ambito dei vizi che inficiano lo svolgimento dell’attività processuale del Giudice, ed in quanto tale doveva allora essere denunciato in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), sia del difetto di autosufficienza, non essendo stato specificato nel ricorso se e quando la relativa eccezione – che ha per oggetto una nullità relativa – sia stata ritualmente e tempestivamente proposta nei gradi di merito.

Il motivo deve invece ritenersi infondato, quanto alla seconda censura, alla stregua del principio di diritto affermato da questa Corte, e dal quale il Collegio non ha motivo di discostarsi, secondo cui in tema di IVA, il regime del margine previsto dal D.L. 23 febbraio 1995, n. 41, art. 46 convertito nella L. 22 marzo 1995, n. 85, costituisce un regime fiscale speciale derogatorio di quello ordinario, con la conseguenza che spetta al contribuente che intenda avvalersene fornire la prova dei fatti ai quali è subordinata ex lege la applicazione della ridotta imposta calcolata sul "margine di utile". Tali fatti debbono individuarsi nella mancata detrazione dell’IVA versata all’acquisto dal cedente, condizione la cui assenza (o mancata prova da parte del cessionario) comporta l’inapplicabilità del regime "de quo", indipendentemente dalla consapevolezza che di essa abbia avuto il cessionario, potendo eventualmente tale difetto di consapevolezza incidere solo sull’aspetto sanzionatorio (cfr. Corte cass. 5 sez. 31.1.2011 n. 2227). Pertanto il "rischio fiscale" della operazione intracomunitaria realizzata in difetto dei presupposti richiesti per mancanza dei requisiti fiscali soggettivi degli operatori comunitari- cedenti, ricade sul cessionario, tenuto a verificare preventivamene la regolarità sostanziale della operazione (non essendo a tal fine sufficiente il mero conlrollo della regolarità formale della fattura emessa dall’operatore-comunitario cedente) alla stregua del particolare onere di diligenza posto a suo carico (accrescendosi il grado di impegno esigibile nell’accertamento, ove trattasi di operatore commerciale del settore), avendo tale regime fiscale quale presupposto, oltre ai requisiti oggettivi attinenti alle caratteristiche di usato del bene compravenduto, anche taluni requisiti soggettivi riguardanti l’originario cedente ed agevolmente desumibili, di regola, dai libretti di circolazione dei veicoli (cfr.

Corte cass. 5 sez. 12.2.2010 n. 3427).

5. Con il terzo motivo il ricorrente deduce la inapplicabilità alla fattispecie del D.L. n. 331 del 1993, art. 46 conv. in L. n. 427 del 1993 (norma che contempla i requisiti formali delle fatture per operazioni intracomunitarie assoggettate all’ordinario regime IVA), contestando il capo di sentenza che ha statuito la non fruibilità del regime fiscale speciale solo perchè non erano stati indicati in fattura i titoli e le norme" in base ai quali la operazione doveva intendersi sottratta al regime IVA ordinario. Aggiunge inoltre che alcun danno all’Erario si era prodotto in quanto anche nelle successive rivendite dei beni ai clienti era stata applicata la imposta ridotta del regime del margine di utile.

La prima censura è inammissibile per difetto di interesse (pur apparendo nel merito fondata come si è osservato "per obiter" in occasione dell’esame del primo motivo), atteso che la sentenza impugnata è sorretta da due autonome "rationes decidendi" (confluiti nei distinti capi di sentenza relativi all’accoglimento dei differenti motivi di gravame proposti dall’Ufficio appellante), sicchè la eliminazione dell’una non priverebbe comunque il "decisum" del supporto fornito dall’altra in quanto ex se idonea a giustificarne le statuizioni.

La seconda censura, oltre a non essere conferente con il vizio di legittimità denunciato sembrando piuttosto involgere un vizio motivazionale, è manifestamente infondata in quanto, come esattamente rilevato dalla CTR pugliese, la evasione di imposta viene a corrispondere al minore importo effettivamente versato all’Erario, in applicazione al regime del margine di utile, dalla ditta cessionaria, rispetto a quello che avrebbe dovuto invece essere correttamente versato in applicazione del regime IVA ordinario (aliquota al 20%).

6. In conclusione il ricorso deve essere rigettato, non dovendo la Corte provvedere al regolamento delle spese di lite in difetto di costituzione dell’ente intimato.

P.Q.M.

La Corte: – rigetta il ricorso. Nulla sulle spese di lite.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 23 febbraio 2012.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2012

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