Cass. civ. Sez. V, Sent., 28-06-2012, n. 10785 CE Circolazione dei beni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 19.5.2006 n. 11 la 4^ sez. della CTR del Veneto ha rigettato l’appello proposto da Reds Diffusion s.p.a. confermando la sentenza di prime cure che aveva dichiarato legittimi la determinazione di revisione dell’accertamento doganale in data 10.2.2004 (con la quale ciano stati contabilizzati maggiori diritti doganali a titolo di dazio ed a titolo di iva all’importazione) ed il provvedimento irrogativo di sanzioni amministrative pecuniarie in data 12.5.2004, emessi dalla Circoscrizione doganale di (OMISSIS) in relazione alla rilevata parziale difformità della merce importata in regime agevolato di preferenza tariffaria (merci di "origine preferenzialì" del (OMISSIS), ai sensi del reg. CEE n. 2501/2001 in data 10.12.2001) rispetto a quella risultante dalla certificazione esibita, non corrispondendo le indicazioni – descrittive del prodotto come "T-shirt contenute nel modello (Form) A, compilato dal Paese beneficiario di origine della merce con i prodotti verificati nel corso delle operazioni doganali (trattandosi di prodotti tessili di genere diverso classificati con distinti Codici doganali).

I Giudici di appello non ritenevano emendabile la certificazione prodotta (dettagliatamente disciplinata dal reg. CEE n. 2454/1993 attuativo del Codice doganale comunitario approvato eon reg. n. 2913/1992) rilevando: che la difformità di parte delle merci importate dalla voce tariffaria indicata sul documento non integrava un mero errore materiale, ma determinava "il vizio di sostanza simile alla nullità che impedisce al documento di conseguire gli effetti cui è destinato": che avuto riguardo alla tipicità e tassatività dei documenti ai quali il regolamento comunitario (art. 80 reg. CEE n. 2454/93) ricollegava il titolo giuridico per la fruizione del regime tariffario preferenziale (certificato di origine compilato dallo Stato beneficiario ovvero dichiarazione annotata su fattura da un esportatore comunitario ti da uno spedizioniere) ed avuto riguardo ancora al vincolo formale del tempo di emissione di detti documenti imposto dal medesimo regolamento, non era ammissibile la rettifica, nè la sostituzione dei certificati in questione (Form-A), risultando in conseguenza irrilevanti tanto le domande presentate dalla società, con richiesta di rettifica del modello A. trasmesse alla autorità del Bangladesh (Paese beneficiario), quanto il nuovo certificato di origine emesso dal Paese estero, depositato in giudizio dalla società, in sostituzione dell’originario modello A recante dati inesatti.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione Reds Diffusion s.p.a. affidato a tre motivi corredati di quesiti di diritto ex art. 366 bis c.p.c.. Ha resistito con controricorso la Agenzia delle Dogane La società ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1. I Giudici di appello hanno affidato la motivazione della sentenza alle seguenti rationes decidendi:

– l’unica prova della origine preferenziale della merce ai fini della fruizione del regime tariffario di esenzione è rappresentata dal certificato di origine (Form A) rilasciato dalle autorità del Paese esportatore oppure la dichiarazione su fattura compilata dall’esportatore comunitario o da uno spedizioniere – il certificato presentato alla importazione non reca la descrizione dettagliata della merce (genericamente qualificata come T-shirt) e neppure la fattura emessa dalla ditta esportatrice risulta indicata la diversa tipologia della merce importata che risulta composta anche da altri prodotti tessili classificati sotto voci tariffarie diverse da quella indicata: la difformità tra la merce importata e quella individuata nel certificato non integra un errore ostativo ma determina "un vizio di sostanza simile alla nullità che impedisce al documento di conseguire gli effetti cui è destinato ndr la esenzione dal dazio previsti dall’ordinamento comunitario". – il carattere esclusivo della prova documentale della origine della merce non consente, in difetto di espressa previsione nelle norme del reg. CEE n. 2454/93/CE di fornire tale prova mediante documenti equipollenti, quali nuove attestazioni o dichiarazioni di origine;

– in ogni caso i nuovi modelli A "corretti", prodotti in corso di giudizio dalla società non consentono di dimostrare ora per allora che i prodotti importati fossero effettivamente conformi a quelli per i quali il reg. CEE n. 2501/01/CE accorda il beneficio tariffario, in quanto non sono corredati dagli altri documenti di importazione.

2. La società ricorrente ha impugnato la sentenza deducendo i seguenti motivi:

1) nullità della sentenza per violazione o falsa applicazione dell’art. 94 reg. CEE 2.7.1993 n. 2454 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3); violazione del principi tra chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4); omessa od insufficiente motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

La ricorrente sostiene che la Agenzia doganale, per contestare la genuinità del documento (Form-A) o la effettiva origine dei prodotti importati, avrebbe dovuto avvalersi esclusivamente del procedimento disciplinato dalla indicata norma comunitaria, in quanto il controllo sul certificato di origine preferenziale delle merci spetta in via esclusiva al Paese estero esportatore, dovendo pertanto ritenersi inesistente un potere di invalidazione del certificato da parte dell’autorità doganale della Comunità europea. Su tale punto il Giudice di appello avrebbe ritenuto legittimo l’operato della Amministrazione finanziaria in violazione della norma comunitaria (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) omettendo di accertare "se ed in quale misura" sussistesse il potere esercitato dalla autorità doganale (art. 112 c.p.c. in relazione ad art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) ed incorrendo altresì in vizio di motivazione non avendo dato giustificazione di detto potere (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

2) violazione degli artt. 81 e 92 reg. CEE n. 2454/1993, dell’art. 1418 c.c., della L. n. 374 del 1990, art. 11 e del D.P.R. n. 43 del 1973, art. 303 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

La società ricorrente sostiene che i Giudici di appello non hanno statuito conformemente alle indicate norme di legge in quanto avrebbero ritenuto affetto da nullità il certificato sebbene alcuna norma predesse tale sanzione di invalidità e inoltre avrebbero erroneamente esclusa la applicazione dell’art. 92 reg. CEE n. 2454/1993 che concerne la comparazione tra i dati indicati nel certificato e quelli risultanti dai documenti presentati alla dogana e non, come nel caso di specie, la reale consistenza della merce importata. Inoltre poichè non era stata contestata la origine preferenziale della merce risultava illegittima la applicazione della sanzione pecuniaria prevista dall’art. 303 TULD. 3) violazione degli artt. 67, 81, 84, 86, 94 reg. CEE n. 2454/1993;

del D.P.R. n. 43 del 1973, art. 236, n. 1; degli artt. 115 e 116 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4); omessa od insufficiente motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

La società ritiene errata la affermazione della CTR secondo cui i certificati Form-A una volta emessi non potrebbero essere sostituiti, come dimostrerebbe l’art. 86 reg. CLL cit. nella ipotesi di certificato non accettato per "motivi tecnici", nonchè l’art. 94 stesso reg. CEE, che consentirebbe la integrazione successiva dei documenti. Inoltre, diversamente da quanto ritenuto dai Giudici di merito, il trattamento preferenziale spetta per il solo fatto di presentazione del certificato di origine, non occorre allegare alcun altro documento: la presentazione dei nuovi certificati era dunque sufficiente al riconoscimento del diritto alla esenzione, non essendo subordinata la sostituzione dei documenti alla previa accettazione da parte della Agenzia delle Dogane.

3. La Agenzia delle Dogane ha eccepito la inammissibilità del ricorso per difetto di specificità dei motivi, per inadeguatezza dei quesiti di diritto ex art. 366 bis c.p.c. nonchè per espressa acquiescenza alla sentenza della CTR veneta formulata dalla società nella istanza datata 22.6.2006 con la quale aveva richiesto non procedersi a contabilizzazione a posteriori. Inoltre la resistente ha chiesto anche il rigetto del ricorso, non essendo stata contestata la mancanza di un certificato attestante al origine preferenziale dei prodotti tessili importati diversi da quelli indicati nei documento, e non avendo la società importatrice fornito prova delle condizioni intese ad escludere il recupero del dazio mediante controllo a posteriori.

4. Risulta dagli atti che in esito al procedimento di revisione di accertamento divenuto definitivo L. n. 374 del 1990, ex art. 11 ed alia redazione del verbale di constatazione in data 30.11.2003 (da cui risultava che la merce importata dalla società Reds Diffusion s.p.a. nel periodo gennaio 2002-luglio 2003 presentava caratteristiche metereologiche difformi da quelle indicate nel certificato di origine Form-A rilasciato dalle autorità del Bangladesh trattandosi di prodotti tessili corrispondenti a classificazioni di voci diverse del nomenclatore tariffario armonizzato) l’Ufficio della Circoscrizione doganale di (OMISSIS), ritenendo che i prodotti importati non disponessero del certificato Form-A attestante la origine preferenziale e non potessero in conseguenza essere ammessi al regime di esenzione daziaria, emetteva in data 10.2.2004 l’avviso di rettifica per il recupero dei maggiori diritti doganali dovuti a titolo di dazio ed a titolo di IVA nonchè provvedimento in data 12.5.2004 irrogativo delle relative sanzioni peeuniarie.

5. Le eccezioni di inammissibilità del ricorso proposte dalla Agenzia delle Dogane sono infondate.

La contestuale denuncia di plurimi vizi di legittimità e delle norme di diritto violate, unificati nelle rubriche dei singoli motivi, non si traduce nel difetto del requisito di specificità ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4), risultando chiaramente individuata ciascuna distinta censura (con la indicazione della relativa norma violata nel caso di vizio di "error in judicando") nella esposizione dell’apparato argomentativo svolto a supporto di ciascuno dei motivi.

Del pari infondata è la eccezione di inammissibilità del ricorso formulata in relazione ai quesiti di diritto ex art. 366 bis c.p.c. risultando debitamente corredata ciascuna delle censure di legittimità unificate nei tre motivi del proprio autonomo quesito.

Quanto alla eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione in conseguenza della "prestata acquiescenza" alla sentenza della CTR del Veneto n. 11/2006 da parte della società, risultante dalla relativa dichiarazione scritta, parzialmente trascritta nel controricorso, contenuta nella istanza in data 22.6.2006, diretta alla Agenzia delle Dogane, avente ad oggetto la richiesta di non procedere alla contabilizzazione a posteriori ai sensi dell’art. 220 c.d.c., si rileva quanto segue.

Nella istanza in data 22.6.2006 la società Reds Diffusion "dichiara espressamente di non volere impugnare la sentenza della commissione di 2^ grado di Venezia con sede a Mastre, ed anzi di farvi acquiescenza.

Ne segue che rimane esclusa, all’evidenza, la configurabilità di una rinuncia all’atto impugnazione (art. 390 c.p.c. esteso dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 2 alle controversie tributarie) per difetto dello stesso presupposto, in quanto la dichiarazione scritta cui la Agenzia delle Dogane intenderebbe fare derivare la causa impediente all’accesso del giudizio di legittimità è precedente (22.6.2006) alla notifica del ricorso per cassazione (3.7.2007).

Rimane altresì escluso che dalla predetta dichiarazione possano discendere effetti preclusivi all’esercizio del diritto di impugnazione ai sensi dell’art. 329 c.p.c. (applicabile alle impugnazioni delle sentenze tributarie in virtù del generale rinvio operato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 49).

Premesso infatti che l’acquiescenza ex art. 329 c.p.c., comma 1, qualificabile come negozio giuridico processuale diretto ad escludere la proponibilità della impugnazione (cfr. Corte cass. SU 13.10.1993 n. 1012; id. 1 sez. 6/12/06 n. 26156), costituisce atto dispositivo del diritto di impugnazione e, quindi, indirettamente, de diritto sostanziale fatto valere in giudizio, con la conseguenza che la relativa manifestazione di volontà oltre ad essere inequivoca deve necessariamente provenire dal soggetto che di detto diritto possa disporre o dal procuratore munito di mandato speciale (cfr. Corte Cass. 1 sez. 14.2.2000 n. 1610; id. 3 sez. 20.10.2003 n. 15651), occorre rilevare che nella prima difesa utile (memoria ex art. 378 c.p.c.) è stata contestata dalla società – ricorrente la efficacia della predetta dichiarazione (contestazione reiterata dal difensore della società nel corso della udienza di discussione) in quanto sottoscritta, successivamente al deposito della sentenza di appello, dal procuratore incaricato dalla società esclusivamente della difesa in tale grado di giudizio definito con la pubblicazione della sentenza di appello, e non anche dal legale rappresentate della società.

Avendo, pertanto, contestato la società (in quanto soggetto falsamente rappresentato, legittimato alla relativa eccezione) la mancanza in capo a predetto difensore di poteri rappresentativi negoziali in ordine alla dichiarazione unilaterale di acquiescenza, era onere della Amministrazione finanziaria che intendeva avvalersi di tale dichiarazione (quale fatto costitutivo della eccezione di estinzione del diritto di impugnazione) dimostrare che Patto dispositivo del diritto proveniva da soggetto munito dei necessari poteri rappresentativi, alla stregua del principio secondo cui "in tema di rappresentanza, anche se per la spendita del nome del rappresentato non Decorrono formule sacramentali, è comunque necessario che la spendita vi sia stata per poter avvincere il rappresentato nel rapporto obbligatorio. Pertanto, pur se l’agire del rappresentante in nome del rappresentato con spendita del nome tacita può ricavarsi da circostanze, elementi, comportamenti ed altri attori univoci e concludenti, tuttavia, quando la spendita del nome sia contestata, la prova della sua sussistenza incombe sempre a chi afferma la legittimazione del rappresentato" (cfr. Corte cass. 2 sez. 14.11.2002 n. 16025).

Non essendo stata offerta dall’ente pubblico eccipiente la prova de necessario potere rappresentativo negoziale in capo al sottoscrittore dell’atto – dovendo ritenersi irrilevante ai riguardo la mera qualità dallo stesso rivestita di difensore della società nei precedenti gradi di giudizio – la eccezione di inammissibilità del ricorso deve essere disattesa.

6. Venendo all’esame dei primi due motivi che attesa la stretta connessione logica possono essere oggetto di trattazione unitaria -il primo motivo incentrato sulla dedotta violazione della norma del l’art. 94 del regolamento n. 2454/93 CEE della Commissione del 2.7.1993, nel testo vigente al tempo, come modificato dal regolamento (CE) n. 12/97 della Commissione del 18 dicembre 1996 e dal regolamento (CE) n. 1602/2000 della Commissione del 24.7.2000 (dovendo ritenersi ontologicamente incompatibili le censure per "error ficti" ed "error facti" – ex pluribus Corte cass. 1 sez. 23.9.2011 n. 19443 – rivolte nei confronti della medesima statuizione della sentenza, presupponendo la prima, al contrario della seconda, la corretta rilevazione della fattispecie concreta da sussumere nella norma – violata o non applicabile al caso – e risultando conseguentemente inconferente la censura di nullità processuale per violazione dell’art. 112 c.p.c. venendo contestata la decisione assunta dai Giudici di appello che, pertanto, esclude per necessità logica di non contraddizione la ipotesi di omessa pronuncia – in quanto fondata su una interpretazione asseritamente errata della norma comunitaria) ed il secondo motivo concernente la violazione degli artt. 81 e 92 del medesimo regolamento, nonchè dell’art. 303 TULD -, rileva preliminarmente il Collegio che appare del tutto irrilevante la mancanza di contestazione espressa, da parte delle autorità doganali dello Stato membro, della origine preferenziale della merce.

Ed infatti se nell’ambito della disciplina del regime preferenziale generale, qual è quello istituito dal regolamento (CE) n. 2501/2001 del Consiglio, del 10 dicembre 2001 (relativo all’applicazione di uno schema di preferenze tariffarie generalizzate per il periodo 1 gennaio 2002 – 31 dicembre 2004) che, prevedendo all’art. 1, comma 2, lett. d) anche un "regime speciale a favore dei paesi meno sciluppati" disponendo all’art. 5, comma 2 che "ai fini dei regimi di cui all’art. 1, paragrafo 2, del presente regolamento, le norme relative alla definizione della nozione di prodotti originali, alle prove dell’origine e ai metodi di cooperazione amministrativa sono quel le fissate dal regolamento (CEE) n. 2454/93 della Commissione, il certificato attestante la origine del prodotto emesso dalle autorità del Paese esportatore costituisce elemento cardine ed imprescindibile per il raggiungimento degli obiettivi prefissati dal regolamento, trovando fondamento nel principio di cooperazione e mutua assistenza tra il Paese terzo chiamato ad emettere il certificato di origine (secondo la regola della vicinanza al fatto da provare, in quanto collocato nella posizione migliore per verificare i requisiti della merce) ed il Paese della Comunità nel cui territorio la merce deve essere immessa in libera pratica, chiamato ad effettuare i dovuti controlli alla importazione, e se tale principio di cooperazione postula la accettazione da parte del Paese importatore del valore legale delle determinazioni dello Stato esportatore in ordine alla validità ed efficacia del documento in questione (circa la provenienza dalla autorità competente, la corrispondenza dell’atto e dei timbri sullo stesso apposti al modello legale ed alle impronte preventivamente trasmesse – la esattezza del contenuto ideologico), tutto ciò premesso appare del tutto sterile la argomentazione svolta dalla società in ordine alla illegittima destituzione unilaterale da parte della autorità doganali italiane della "validità" dei certificati Fom-A (in quanto annullabili o revocabili esclusivamente dallo Stato estero esportatore) atteso che ne caso in concreto sottoposto all’esame della Corte non viene in contestazione la validità di tali certificati (con riferimento a vizi di genuinità o di alterazione del documento, ovvero ad inesattezze od errori imputabili alle autorità dello Stato terzo emittente), quanto piuttosto la mancanza "tout court" di certificati Form-A di accompagnamento (di parte) della merce importata dalla società nel periodo 2002-2004.

Da quanto emerge dagli atti processuali, intatti, i certificati Form- A presentati unitamente alla dichiarazione alla importazione sono stati ritenuti dall’Ufficio doganale validi ed idoneamente rappresentativi della origine preferenziale della merce in essi descritta in conformità alla nomenclatura della tariffa doganale comune (cfr. art. 6 reg. n. 2501/2001). La contestazione si incentra su prodotti importati dalla medesima società, diversi da quelli assistiti dal documento di attestazione di origine, in ordine ai quali l’Ufficio doganale ha erroneamente applicato il regime tariffario preferenziale, verificando soltanto all’esito del controllo a posteriori espletato di ufficio che si trattava di merce non ricompresa in quella individuata dai certificati Form-A, e dunque assoggettabile a dazio all’importazione.

Il certificato, infatti, attesta che determinati e specificati prodotti – individuati secondo il sistema di classificazione doganale del nomenclatore comunitario – sono "originari" del Paese esportatore: ne consegue che, se con la dichiarazione alla importazione viene chiesta la immissione in libera pratica, contestualmente, di prodotti specificamene individuati nel certificato Form-A e di prodotti che tale certificato non menziona affatto, l’assoggettamento soltanto di questi ultimi al recupero del dazio in seguito a controllo a posteriori non implica alcuna contestazione del certificato Form-A, non venendo in questione nè la efficacia probatoria della origine della merce (corrispondente a quella indicata nel certificato), nè la validità del certificato quale elemento costitutivo del diritto alla esenzione daziaria relativamente alla merce di origine preferenziale in esso indicata.

Ne consegue che la fattispecie in esame esula dal procedimento disciplinato dall’art. 94 del reg. CEE n. 2454/1993 che non contempla la ipotesi di prodotti merceologicamente diversi – secondo le voci del nomenclatore doganale armonizzato – da quelli indicati ne certificato Form-A, ma ha ad oggetto le distinte ipotesi in cui sussista un "ragionevole motivo di dubbio" che il documento non sia "autentico" (id est: non provenga dalla autorità competente:

presenti alterazioni nella impronta dei timbri ufficiali ovvero nel formato del modulo) ovvero che i prodotti specificamente indicati nel certificato (e corrispondenti a quelli realmente importati) non siano "originari" del Paese esportatore (art. 94, paragr. 1 reg. cit.) o il che è a dire che il documento attestante la origine preferenziale sia falso o comunque rechi dati inesatti. Solo in tal caso, infatti, l’autorità doganale dello Stato membro, previa "rispedizione" del certificato modello A ed invio di "tutti i documenti e le informazioni ottenute che facciano sospettare la presenza di inesattezze relative alla prova dell’origine" è tenuta a richiedere alle autorità dello Stato emittente di effettuare le verificare opportune comunicando all’esito i risultati.

Al di fuori delle ipotesi indicate che implicano la contestazione della validità o della efficacia probatoria della origine da riconoscere al documento emesso dallo Stato esportatore, la speciale disciplina della cooperazione interstatuale in materia di controlli a posteriori non trova applicazione: e nel caso di specie, come si è visto, non si contesta nè la validità, nè la origine preferenziale dei prodotti identificati nel certificato.

6.1 Privo di pregio, peraltro, è l’argomento "a contrario" proposto dalla società ricorrente secondo cui, ove la fattispecie (merce di qualità diversa da quella identificata nel certificato Form-A) non rimanesse regolata dall’art. 94 reg. CEE n. 2454/93, si perverrebbe alla assurda conclusione che in tali casi dovrebbe configurarsi sempre la ipotesi di reato di contrabbando.

La avvenuta presentazione della merce nello spazio doganale, infatti, esclude a monte che il semplice mancato riconoscimento del regime preferenziale opposto alla merce non corrispondente a quella individuata nel certificato comporti automaticamente la consumazione del reato di contrabbando.

Non risultando accertate, nè contestate, condotte fraudolente a parte della ditta importatrice volte a sottrarre la merce al dazio, la indebita esenzione viene risolversi, pertanto, nella inesattezza della qualità della merce indicata nella dichiarazione doganale presentata dall’importatore (integrante illecito amministrativo ex art. 303 TULD) e nella errata mancata contabilizzazione dei diritti doganali da parte dell’Ufficio doganale che solo successivamente ha provveduto al recupero del dazio in sede di esercizio di controllo a posteriori.

6.2 Esula, altresì, dalla fattispecie concreta, la applicabilità dell’art. 92 reg. CEE n. 2454/1993, con conseguente infondatezza della violazione di tale norma regolamentare censurata con il secondo motivo.

La norma, infatti, come esattamente rilevato dalla stessa ricorrente, concerne la rilevazione di difformità documentali tra i dati indicati nel certificato Form-A ed i dati indicati nei documenti presentati all’Ufficio doganale di importazione che se riferibili a meri errori materiali evidenti (art. 92 paragr. 2) ovvero se integranti "lievi discordanze tra le diciture" (art. 92 paragr. 1), non impediscono la accettazione del certificato di origine qualora l’errore non desti dubbi sulle indicazioni riportate nel documento (art. 92 paragr. 2) ovvero se viene regolarmente accertato che tale documento corrisponde ai prodotti presentati" (art. 92 paragr. 1).

Nella specie – a quanto e dato evincere dalla sentenza impugnata – è stato rilevato in seguito al controllo a posteriori che parte della merce importata era diversa da quella indicata ne certificato Form-A, beneficiante del regime di esenzione tariffaria, ed indicata negli altri documenti presentati alla dogana, ipotesi quindi del tutto distinta dalla difformità tra i dati indicati nei documenti contemplata dalla norma.

Infondato è pertanto l’argomento critico svolto dalla ricorrente secondo cui la CTR avrebbe interpretato additivamente la norma comunitaria dichiarando invalido il certificato per difformità della merce: come si è già rilevato tale difformità non comporta affatto la invalidità del certificato Form-A (che infatti non è stato annullato o revocato dalle autorità dello Stato emittente, e non è stato oggetto di sospetti circa la autenticità o la rappresentatività della origine dei prodotti specificamente individuati nel documento), ma semplicemente la distinzione nell’ambito della merce importata tra i prodotti accompagnati dal certificato di origine (in quanto corrispondenti alle classificazioni del nomenclatore armonizzato riportate sul certificato) e quelli invece che, se pure inclusi nella stessa dichiarazione doganale presentata dall’importatore, erano da ritenersi invece assoggettabili a dazio in quanto non incompresi nelle voci tariffarie iscritte ne certificato di origine.

6.3 La motivazione della sentenza di appello, se pure presenta elementi di equivocità in quanto richiama istituti giuridici propriamente riferibili ad atti integranti manifestazioni di volontà negoziale (da escludere con riferimento alla attività di certazione delle autorità del Paese esportatore volta ad attribuire alla merce la qualità giuridica di merce inclusa nel regime preferenziale tariffario: art. 79 reg. 2454/93) ed alla invalidità genetica assoluta dell’atto, non appare tuttavia inficiata da errori in diritto che debbano essere emendati, in quanto i predetti richiami debbono ritenersi meramente esemplificativi essendo rivolti ad esplicitare, enfaticamente, il principio di cartolarità che informa la disciplina comunitaria dei regimi preferenziali, rimanendo subordinato l’esercizio del diritto alla esenzione, ovvero la applicazione del beneficio tariffario, alla condizione esclusiva (non essendo consentita una prova di origine diversa), della "presentazione di un certificato di origine modulo A" (art. 80 paragr. 1, lett. a), ed art. 81 paragr. 1, reg. CEE n. 2454/93) nonchè alle indicazioni letterali risultati da tale titolo: il certificato d’origine, modello A, costituisce infatti "il documento giustificativo dell’applicazione delle disposizioni relative alle preferenze tariffarie" (art. 83 reg. cit.). Va, pertanto, esente da critica la affermazione della CTR secondo cui la accertata difformità del certificato Form-A dal modello legale "impedisce al documento di conseguire gli effetti giuridici previsti dall’ordinamento comunitario" (esenzione daziaria), in quanto conforme all’indicato principio.

Consegue la irrilevanza dell’argomento della ricorrente secondo cui, tanto il recupero del dazio, quanto l’irrogazione dalla sanzione pecuniaria, sarebbero da ritenersi illegittimi non avendo contestato l’Ufficio doganale la effettiva "origine" della merce: il principio di cartolarità del titolo rappresentativo della origine della merce impedisce, infatti, di attribuire valenza probatoria equipollente ad altri documenti o ad eventuali verifiche dei requisiti di origine dei prodotti, dovendo escludersi alla stregua della disciplina comunitaria che la merce presentata alla importazione – se pure in possesso dei requisiti per ottenere il riconoscimento della origine preferenziale – possa beneficiare dello speciale regime tariffario anche in mancanza di un certificato Form-A. 6.4 Entrambi i motivi debbono, in conseguenza, ritenersi infondati.

7. Relativamente alla questione – che introduce all’esame del terzo motivo – della sanabilità "ex tunc" della importazione di merce rispondente ai requisiti di "origine" ma priva di certificato Form-A, rileva il Collegio che non può ritenersi dirimente il richiamo all’art. 86 reg. CEE n. 2454/1993 (nel testo modificato dal reg.

1602/2000) che prevede la sostituzione del certificato di origine in caso di "furto, perdita, distruzione" del documento, trattandosi all’evidenza di una norma dettata per casi specifici e dalla quale non è possibile desumere un generale principio di "sostituzione" del certificato emesso, mentre inconferente appare il richiamo al D.P.R. n. 43 del 1973, art. 236, n. 1 (norma peraltro abrogata dalla L. n. 374 del 1990, art. 24) che concerne i documenti da compilare a cura delle imprese industriali e commerciali che, effettuando frequenti spedizioni all’estero di determinate merci in esportazione, riesportazione o transito, sono autorizzate ad eseguire le operazioni prescindendo dalla presentazione della dichiarazione doganale e delle merci alla dogana del luogo di partenza.

Quanto alla asserita violazione degli artt. 94 e 890 reg. CEE n. 2454/1993, rileva il Collegio che da alcuna delle norme indicate emerge la generale "sostituibilità" dei certificati di origine delle merci presentate alla dogana di importazione, atteso che, la prima norma disciplina la procedura di verifica della validità ed esattezza del documento attestante la origine che – ove il certificato risulti falso od inesatto – si esaurisce nel provvedimento di annullamento/revoca ovvero nella privazione della efficacia dimostrativa della origine dei prodotti (non trova, pertanto, alcun aggancio normativo la tesi difensiva del ricorrente secondo cui la procedura di verifica consentirebbe di regolarizzare ex post, mediante "integrazione" documentale, il certificato Form-A che sia risultato falso od emesso in modo irregolare); mentre la seconda norma del regolamento comunitario concerne la diversa fattispecie della richiesta di sgravio o di rimborso del dazio, mediante presentazione di certificato Form-A (regolarmente emesso dalle autorità dello Stato esportatore ma) che non era stato possibile produrre al momento della accettazione di immissione in libera pratica, e "sempre che sia debitamente stabilito: – che il documento cosi presentato si riferisce specificamente alle merci considerate e che sono soddisfatte tutte le condizioni relative all’accettazione di tale documento; – che sono soddisfatte tutte le altre condizioni per la concessione del trattamento tariffario preferenziale", ed inoltre, qualora non fosse più possibile presentare ad ispezione la merce, "soltanto se dagli elementi di controllo di cui dispone ndr l’Ufficio doganale di importazione risulta che il certificato o il documento presentato a posteriori si riferisce senza alcun dubbio alle merci in causa".

7.1 Quanto poi alla asserita violazione della disposizione dell’art. 85 del reg. CER n. 2454/93 (nel testo modificato dal reg. CE n. 1602/2000, già numerato come art. 86 nel testo del regolamento modificato dal reg. CEE n. 12/1987) secondo cui : "1. A titolo eccezionale, Il certificato di origine, modulo A, può essere rilasciato, in deroga all’art. 81, paragrafo 5. dopo l’esportazione dei prodotti cui si riferisce:

a) qualora non sia stato rilasciato al momento dell’esportazione in seguito ad errori od omissioni involontari o ad altre circostanze particolari: o b) se viene debitamente dimostrato alle autorità doganali che è stato rilasciato un certificato di origine, modulo A, il quale non è stato accettato all’atto dell’importazione per motivi tecnici.

2. La competente autorità pubblica può rilasciare a posteriori un certificato soltanto dopo aver accertato che le indicazioni contenute nella domanda dell’esportatore sono conformi al fascicolo di esportazioni1 corrispondente e che non sia stato rilasciato, al momento dell’esportazione dei prodotti in questione, alcun certificato di origine, modulo A conforme alle disposizioni della presente sezione.

3. I certificati di origine, modulo A, rilasciati a posteriori recano nella casella n. 4 la dicitura "delivre a posteriori" o "issued retrospectively "…", rileva il Collegio che:

a) non risulta che alcuna delle ipotesi specificamente considerate dalla norma comunitaria sia stata ritualmente allegata dalla ditta importatrice ed abbia costituito oggetto di trattazione ed esame nei precedenti gradi di merito, con la conseguenza che la censura di legittimità formulata con il motivo in esame, ove volta a riconoscere la esistenza dei presupposti di fatto che consentono la emissione del certificato EUR-1 "a posteriori" ("errore od omissione involontaria" ovvero "altre circostanze particolari" o ancora "motivi tecnici osativi al la accettazione del certificato"), viene ad introdurre una questione nuova fondata su di un accertamento in fatto che rimane evidentemente sottratta al giudizio della Corte;

b) la norma regolamentare comunitaria non pare peraltro invocabile nel caso di specie – e tanto meno consente di pervenire alla affermazione di un principio di generale sostituibilità dei certificati di origine emessi dallo Stato esportatore – in quanto nella fattispecie concreta esaminata dai giudici di merito difetta lo stesso presupposto cui è subordinato il rilascio del certificato "a posteriori", e cioè che l’originario certificato Form-A emesso al momento della esportazione non fosse conforme alle disposizioni del reg. CEE n. 2454/1993: il certificato originariamente rilasciato e presentato alla importazione, infatti, è stato regolarmente accettato dall’Ufficio doganale di importazione, in quanto conforme a dette disposizioni ovviamente in relazione alla merce esattamente identificata nel documento attestante la origine preferenziale dei prodotti. Ne consegue che il certificato EUR-1 successivamente richiesto dalla società ed emesso dalle autorità doganali del Paese esportatore in relazione agli altri prodotti già importati – non ricompresi tra quelli individuati nel documento predetto, non "sostituisce" affatto – come ritiene la ricorrente – il certificato precedente, ma si "aggiunge" quale nuovo certificato (avente ad oggetto merci diverse) a quello originariamente emesso, non potendo tuttavia vincolare le autorità dello Stato membro importatore in quanto emesso a posteriori in difetto dei presupposti legali di cui alla norma regolamentare sopra trascritta.

7.2 Pertanto ritiene il Collegio che debba essere soltanto corretta l’affermazione dei Giudici di merito secondo cui la disciplina comunitaria non permetterebbe la sostituzione dei documenti di origine a suo tempo emessi, alla stregua delle seguenti precisazioni.

Il sistema rigidamente formale del regime della origine preferenziale disciplinato dai regolamenti comunitari esclude la possibilità, successivamente alla definizione della obbligazione tributaria (che si perfezione con la accettazione della dichiarazione doganale ed il rilascio della merce), della emissione di nuovi certificati "a posteriori" ed "in sostituzione" di quelli già emessi, in considerazione delle seguenti ragioni:

il rapporto tributario doganale viene a risolversi nell’accertamento doganale "definitivo" con la accettazione della dichiarazione (corredata del certificato Form-A) alla quale viene attribuito valore di bolletta doganale ai sensi della L. n. 374 del 1990, art. 8, e con la conseguente "annotazione" apposta dall’Ufficio relativa alla liquidazione dei diritti doganali (e cfr. L. n. 374 del 1990, art. 9, comma 2: "la data della annotazione costituisce la data in cui l’accertamento è divenuto definitivo): modifiche alla dichiarazione doganale possono essere apportate dal dichiarante soltanto anteriormente al rilascio delle merci" (il rilascio della merce avviene, dopo Sa liquidazione e la riscossione – se dovuti – dei diritti doganali, con la "consegna" della bolletta doganale annotata:

L. n. 374 del 1990, art. 9, comma 3) e comunque non possono mai consistere "nella indicazione di merci diverse da quelle che hanno formato oggetto della dichiarazione medesima" (L. n. 374 del 1990, art. 7, comma 1) eventuali errori commessi nel rilascio dei certificati Form-A dalle autorità doganali dello Stato esportatore, ove a queste esclusivamente imputabili (c.d. "errore attivo"), ovvero errori da queste commessi a causa della falsità/inesattezza delle dichiarazioni rese dalla ditta esportatile ai fini del rilascio del predetto certificato, possono legittimare la tutela dell’affidamento riposto nella esattezza del documento di origine dalla società importatrice esclusivamente nel ricorso delle condizioni tassative previste dall’art. 220 c.d.c., paragr. 2, lett. b) nel testo applicabile "ratione temporis" (reg. CEE n. 2913/92 del Consiglio in data 12.10.1992 come modificato dal reg. CEE n. 2700/00 del Parlamento e del Consiglio in data 16.1 1.2000: errore attivo delle autorità del Paese esportatore: non rilevabilità oggettiva di tale errore da parte della ditta importatrice – c.d. buona fede:

osservanza da parte della ditta importatrice di tutte le disposizioni che regolano la operazione commerciale – c.d. diligenza "quam suis") nonchè nelle ipotesi eccezionali previste dall’art. 239 c.d.c. per il rimborso di dazi indebitamente corrisposti ("situazione particolare", da intendersi secondo la giurisprudenza comunitaria come "clausola di equità") non può certamente escludersi a priori la possibilità per lo Stato terzo, che ha emesso i certificati di origine, di emendare eventuali vizi od errori afferenti tali atti:

tuttavia tale attività correttiva – che implica comunque il ritiro, la revoca o l’annullamento del certificato originario viziato/irregolare – deve necessariamente precedere l’utilizzo del certificato da parte della ditta importatrice ovvero deve intervenire prima che l’atto produca i suoi effetti giuridici nei confronti dello Stato importatore, tanto in considerazione della previsione generale contenuta nell’art. 81 reg. n. 2454/93 e di quella derogatoria, espressamente definita "eccezionale" della norma di cui al citato art. 85 del medesimo regolamento comunitario (secondo la numerazione degli articoli riferibile alle modifiche introdotte dal reg. CEE n. 1602/2000) che prevede, come visto, la emissione "a posteriori" del certificato Form A e non anche la "sostituzione", dopo l’"esportazione della merce, del certificato Form A già emesso.

Nella specie i certificati in questione sono già stati utilizzati dalla società, che ha fruito del beneficio della esenzione dal dazio su tutti i prodotti importati, essendosi da tempo concluse le operazioni di esportazione/importazione, con la conseguenza che tali documenti, avendo ormai compitamente esaurito la propria funzione in relazione agli effetti prodotti, possono essere soltanto valutati – in sede di controllo a posteriori – in relazione ad eventuali vizi od irregolarità (materiali od ideologiche) di cui eventualmente risultavano affetti (con la procedura di cui all’art. 94 reg.

2454/93), ovvero, come nel caso di specie, in relazione alla verifica della corrispondenza della merce in essi individuata (secondo il nomenclatore comune) rispetto ai prodotti – non identici a tale indicazione – che in realtà erano stati presentati alla importazione ed avevano – indebitamente – beneficiato del regime preferenziale, non essendo invece consentita una regolarizzazione a posteriori ovvero una sostituzione "ora per allora" dei certificati di origine già emessi, rendendosi in conseguenza irrilevante – oltre che implausibile – una correzione postuma, a distanza di anni, da parte delle autorità doganali del Paese terzo chiamate oggi ad attestare la origine e la esatta composizione e natura di prodotti ormai già immessi in libera pratica nel Paese esportatore e definitivamente sottratti ad ogni ulteriore verifica da parte di quelle autorità.

7.3 La inapplicabilità alla fattispecie della disposizione di cui all’art. 85 reg. 2454/93 (sopra trascritta) rende superfluo l’esame delle altre censure (vizio motivazionale in relazione alla ritenuta necessità di ulteriori documenti oltre il certificato Form A volti a comprovare la verifica della origine degli altri prodotti in concreto esportati; violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in ordine alla discrezionale valutazione dell’autorità doganale dello Stato membro importatore circa la trascurabilità di "errori evidenti e facilmente emendabili nella loro materialità").

7.4 Anche il terzo motivo deve pertanto ritenersi infondato.

8. In conclusione il ricorso deve essere rigettato e la società ricorrente va condannata alla rifusione delle spese del presente giudizio che si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte:

– rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 8.000,00 per onorari oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 17 gennaio 2012.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2012

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