Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 26-10-2011) 07-12-2011, n. 45697

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) Con sentenza in data 7.10.2010 la Corte di Appello di Catanzaro, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Catanzaro, emessa il 15.5.2008, con la quale L.F. e C. F. erano stati condannati, rispettivamente, il primo alla pena di anni 2 e mesi 5 di reclusione per i reati di cui agli artt. 594 e 612 c.p., in danno di C.A. (capo a), art. 609 bis c.p., u.c., in danno di S.A. (capo c), artt. 110, 582 c.p. in danno di C.A. (capo e) e artt. 110, 582 c.p., in danno di S.A. (capo f), unificati sotto il vincolo della continuazione, ed il secondo, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generi che, ed esclusa l’aggravante contestata, alla pena di mesi 1 e giorni 10 di reclusione per il reato di cui agli artt. 110, 582 c.p. in danno di C. A. (capo e), nonchè entrambi al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili, dichiarava non doversi procedere nei confronti del L. in ordine al reato di cui al capo a) perchè estinto per prescrizione, rideterminando la pena in anni 2, mesi 3 e giorni 10 di reclusione ed eliminava la condanna del C.F. al rimborso delle spese in favore di S. A., confermando nel resto l’impugnata sentenza. Rilevava la Corte territoriale, quanto in particolare al reato di cui all’art. 609 bis, che la condivisibile motivazione della sentenza di primo grado non poteva certo essere scalfita dai deboli rilievi contenuti nell’appello del L.. Condivideva, inoltre, la Corte di merito il giudizio di piena attendibilità della parte offesa.

Quanto all’appello del C., assumeva la Corte che le dichiarazioni della parte offesa trovavano riscontro nel referto medico in atti.

2) Ricorre per cassazione C.F., denunciando, con un unico motivo, la violazione di legge in relazione all’art. 157 c.p..

La Corte territoriale non ha, invero, tenuto conto che, essendo stata esclusa la circostanza aggravante contestata, il termine massimo di prescrizione era già maturato alla data di emissione della sentenza.

2.1) Ricorre, a sua volta, per cassazione L.F., denunciando, con il primo motivo, la inosservanza ed erronea applicazione delle norme sulla prescrizione, non avendo considerato la Corte di merito che i reati di cui ai capi e) ed f), commessi in data 7.4.2002, erano prescritti alla data di emissione della sentenza. Con il secondo motivo denuncia la mancata assunzione di una prova decisiva, nonchè la illogicità della motivazione. Nella sentenza impugnata non vi è alcun cenno alla richiesta, contenuta nei motivi di appello, di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale (giustificata dal fatto che l’imputato era rimato contumace nel giudizio di primo grado per cause di forza maggiore).

La Corte territoriale, inoltre, è pervenuta all’affermazione di responsabilità sulla base delle sole dichiarazioni della persona offesa, la quale, nell’immediatezza, non aveva fatto alcun riferimento ad atti compiuti dal L. che potessero integrare il reato di cui all’art. 609 bis c.p.. Il contesto in cui si era verificata la vicenda era caratterizzato da pessimi rapporti tra soggetti confinanti. Inoltre nessuna delle persone coinvolte nei fatti aveva riferito dei presunti palpeggiamenti subiti dalla S.. La stessa sentenza riconosce che il L. non intendeva trarre dal suo atto una soddisfazione dell’impulso sessuale, ma erroneamente ritiene la circostanza irrilevante ai fini della configurabilità del reato.

3) Entrambi i ricorsi sono fondati in relazione alla denunciata violazione dell’art. 157 c.p.. Effettivamente, per i reati di cui ai capi e) ed f), era già maturata la prescrizione al momento della emissione della sentenza della Corte di Appello.

La Corte territoriale si è limitata a dichiarare la prescrizione del reato di cui al capo a), senza avvedersi che il termine massimo di prescrizione era lo stesso anche per i reati di cui ai capi e) ed f), essendo stata, tra l’altro, esclusa, fin dal giudizio di primo grado, la circostanza aggravante contestata in relazione al capo e).

Infatti, il termine massimo di prescrizione di anni 7 e mesi 6 (lo stesso, sia con riferimento alla disciplina previgente che a quella attuale), cui va aggiunto il periodo di sospensione pari a mesi 10 e giorni 24 (rinvio dal 18.10.2005 al 21.2.2006 e dal 6.6.2007 al 24.10.2007 per impedimento difensore, nonchè dal 19.9.06 al 22.11.06 per astensione del difensore dalle udienze) era maturato, essendo stati i reati commessi il 7.4.2002, in data 31.8.2010 e quindi prima della sentenza della Corte di Appello (emessa il 7.10.2010).

Va pertanto emessa immediata declaratoria di estinzione dei reati di cui ai capi e) ed f) perchè estinti per intervenuta prescrizione.

A norma dell’art. 578 c.p.p. vanno confermate le statuizioni civili in relazione a detti reati. La pronuncia di condanna, confermata anche in appello, non è stata impugnata in ordine alla sussistenza dei reati (sotto il profilo soggettivo ed oggettivo) ed alla riferibilità degli stessi ai ricorrenti. Nei ricorsi del L. e del C. si deduce infatti solo la intervenuta prescrizione, senza alcuna censura sul "merito". 4) Il ricorso del L. in ordine al reato di cui all’art. 609 bis c.p. è, invece, infondato.

4.1) Quanto alla richiesta di rinnovazione del dibattimento, va ricordato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, "in tema di rinnovazione, in appello, della istruzione dibattimentale, il giudice, pur investito con i motivi di impugnazione di specifica richiesta, è tenuto a motivare solo nel caso in cui a detta rinnovazione acceda: invero, in considerazione del principio di presunzione di completezza della istruttoria compiuta in primo grado, egli deve dar conto dell’uso che va a fare del suo potere discrezionale, conseguente alla convinzione maturata di non poter decidere allo stato degli atti. Non così viceversa, nella ipotesi di rigetto, in quanto, in tal caso, la motivazione potrà essere implicita e desumibile dalla stessa struttura argomentativa della sentenza di appello, con la quale si evidenzia la sussistenza di elementi sufficienti alla affermazione, o negazione, di responsabilità" (cfr. Cass. sez. 5 n. 8891 del 16.5.2000; Cass. sez. 6 n. 5782 del 18.12.2006).

Nel caso di specie è pacifico che non vi era stata una richiesta di prova (non accolta dal primo giudice) e che non si trattava di prove sopravvenute, per cui, in presenza di una generica richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, motivata con riferimento ad una sorta di impossibilità di svolgere utilmente le proprie difese nel giudizio di primo grado, la Corte di Appello, ritenendo possibile decidere il processo allo stato degli atti, implicitamente ha disatteso la richiesta medesima.

4.2) Le altre censure sollevate dal ricorrente L. non tengono conto che il controllo demandato alla Corte di legittimità va esercitato sulla coordinazione delle proposizioni e dei passaggi attraverso i quali si sviluppa il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, senza alcuna possibilità di rivalutare in una diversa ottica, gli argomenti di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento o di verificare se i risultati dell’interpretazione delle prove siano effettivamente corrispondenti alle acquisizioni probatorie risultanti dagli atti del processo. Anche a seguito della modifica dell’art. 606 c.p.p., lett. e), con la L. n. 46 del 2006, il sindacato della Corte di Cassazione rimane di legittimità: la possibilità di desumere la mancanza, contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione anche da "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame", non attribuisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare criticamente le risultanze istruttorie, ma solo quello di valutare la correttezza dell’iter argomentativo seguito dal giudice di merito e di procedere all’annullamento quando la prova non considerata o travisata incida, scardinandola, sulla motivazione censurata (cfr. Cass. pen. sez. 6 n. 752 del 18.12.2006).

La Corte territoriale, legittimamente rinviando per relationem alla sentenza di primo grado, si è soffermata sui due aspetti rilevanti sollevati con i motivi di appello. Con motivazione, adeguata ed immune da palesi illogicità, ha fornito, invero, una spiegazione plausibile delle ragioni per cui la persona offesa S. non rivelò nell’immediatezza i palpeggiamenti subiti e del motivo per cui tale fatto non fu percepito da altri.

Ha, infatti, evidenziato che il racconto della donna si inserisce in un quadro di aggressione effettivamente avvenuta (come riconosciuto anche da un soggetto dello stesso gruppo dell’imputato) in cui può ben aver trovato inserimento l’episodio contestato. Quanto all’elemento soggettivo, come già affermato da questa Corte (cfr.

Cass. pen. Sez. 3 n. 28815 del 9.5.2008, Belli) "… è significativo che la normativa introdotta con la L. n. 66 del 1996 abbia eliminato ogni riferimento al concetto di libidine. La relazione al codice con riferimento all’art. 521 c.p., faceva riferimento allo "sfogo dell’appetito di lussuria" e la dottrina prevalente riteneva atti di libidine quelli, diversi dalla congiunzione carnale, diretti ad eccitare la concupiscenza verso piaceri carnali, turpi per se stessi o per le circostanze in cui si cerca di provocarli, ovvero diretti a soddisfare tale concupiscenza. Peraltro già sotto l’imperio della disciplina previgente qualche pronuncia aveva ritenuto che nella previsione dell’art. 521 c.p. non fosse richiesto il fine di eccitare o soddisfare la propria libidine. "Tale fine è estraneo alla lettera ed allo spirito della norma, la quale ha per oggetto la tutela della libertà sessuale del soggetto costretto o indotto; onde è indifferente che chi costringe o induce lo faccia per lucro, per depravazione, per disprezzo, per immondo gusto dello spettacolo o per gioco, purchè egli agisca con la coscienza e volontà di costringere od indurre taluno a commettere atti di libidine su sè smesso, sulla persona del colpevole o su latri.." (cfr: Cass. pen. sez. 1^, 25.11.1971 n. 843. Amato ed altri). Tale pronuncia era in qualche modo anticipatoria (con il riferimento alla libertà sessuale) e si inseriva nel dibattito culturale che avrebbe poi portato all’approvazione della nuova normativa. Non c’è dubbio alcuno, allora, che l’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 609 bis c.p. consista nella coscienza e volontà di compiere un atto lesivo della libertà sessuale della persona e di invadere la sua sfera sessuale senza il consenso della stessa (dolo generico). Irrilevante pertanto è il fine propostosi dal soggetto attivo che può essere diretto a soddisfare la sua concupiscenza, ma anche di altro genere (ludico o di umiliazione della vittima)". 5) La sentenza impugnata va quindi annullata, senza rinvio, in relazione ai reati di cui ai capi e) ed f), ascritti entrambi a L.F. ed il primo anche a C.F., perchè estinti per prescrizione, con eliminazione nei confronti del L. della pena per essi inflitti quale aumento ex art. 81 c.p. sulla pena base determinata per il reato piò grave di cui all’art. 609 bis c.p. e quindi nella misura complessiva di mesi 3 e giorni 10 di reclusione. Con conferma ex art. 578 c.p.p. delle statuizioni civili nei confronti dei medesimi L. e C..

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente ai reati di cui ai capi e) ed f) perchè estinti per prescrizione ed elimina la pena per essi inflitta al L.F. nella misura di mesi 3 e giorni 10 di reclusione. Conferma le statuizioni civili ex art. 578 c.p.p., adottate per detti reati nei confronti del L. e del C.. Rigetta nel resto il ricorso del L..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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