Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 26-10-2011) 07-12-2011, n. 45696 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) Con sentenza, resa in data 12.5.2010, la Corte di Appello di Lecce confermava la sentenza del Tribunale di Lecce del 15.4.2009, con la quale M.F., previo riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 609 bis c.p., u.c., era stato condannato alla pena (sospesa alle condizioni di legge) di anni 2 di reclusione per il reato di cui agli artt. 81, 609 bis, art. 609 septies c.p., n. 3, in esso assorbito il reato di cui all’art. 660 c.p., per avere, abusando della propria funzione di docente, costretto le alunne R.S., L.V., C.S. e L. S. a subire atti e molestie sessuali, nonchè al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili.

Nel disattendere i motivi di appello, rilevava la Corte che le parti offese erano state sentite nel dibattimento di primo grado quando avevano 17-18 anni per cui non vi era alcun motivo di dubitare della loro capacità a testimoniare, nè tanto meno si richiedeva il rispetto dei principi stabiliti dalla Carta di Noto. Assumeva, poi, la Corte che le dichiarazioni delle parti offese erano pienamente attendibili e non contrastavano in alcun modo con le altre acquisizioni probatorie (in particolare con le caratteristiche dell’aula e con lo svolgimento delle lezioni in codocenza con altro insegnante. Le dichiarazioni accusatorie, infine, erano assolutamente concordanti ed avevano trovato conferma anche in elementi esterni, in particolare nella lettera in data 12.3.2005, con la quale si invitava il prof. M. a "mantenere dagli alunni il giusto distacco" in relazione a lamentele di alcuni genitori.

Non potevano, poi, essere concesse le circostanze attenuanti generi che in considerazione della gravità e reiterazione della condotta e dei precedenti penali.

2) Ricorre per Cassazione il M., a mezzo del difensore, denunciando , con il primo motivo, la violazione dell’art. 192 c.p.p., nonchè la mancanza e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla valutazione delle dichiarazioni rese dalle parti offese, minori all’epoca dei fatti, nella fase delle indagini preliminari e nel giudizio di primo grado. Dopo aver richiamato la giurisprudenza di legittimità in tema di valutazione delle dichiarazioni della persona offesa, in particolare per i minori degli anni 14, e le cautele particolari imposte dallo stesso legislatore nell’assunzione della loro testimonianza (art. 398 c.p.p., comma 5 bis e art. 498 c.p.p.), deduce che i Giudici di merito non hanno proceduto ad alcuna verifica al fine di poter escludere che le dichiarazioni accusatorie potessero derivare da immaturità psichica o da facile suggestionabilità. Le minori sono state sentite nelle indagini preliminari da ufficiali di p.g., in palese inosservanza di tutti i criteri indicati dalla Carta di Noto, e poi in dibattimento, espletato a distanza di tre anni, quando ormai la iniziale ricostruzione dei fatti, avvenuta senza alcuna garanzia, si era consolidata. La Corte territoriale, con motivazione manifestamente illogica ed in contrasto con i principi in precedenza evidenziati, ha ritenuto di superare i rilievi contenuti in proposito nell’atto di appello, limitandosi ad affermare che, al momento in cui erano state sentite in dibattimento, le parti offese avevano superato la soglia dell’adolescenza.

La Corte, inoltre, non ha effettuato alcuna verifica dell’attendibilità delle persone offese, avendo solo contrastato gli argomenti sottolineati dalla difesa in relazione alle anomalie delle deposizioni e rinviato per relationem alla motivazione della sentenza di primo grado, che, comunque, a sua volta, era altrettanto apodittica sul punto. La Corte territoriale ha ritenuto sufficienti le testimonianze delle persone offese, senza considerare che nell’aula angusta dove venivano impartite le lezioni erano presenti oltre 20 alunni. La risposta fornita dalla Corte territoriale è manifestamente illogica ed in contrasto con le regole di comune esperienza e travisa i fatti in relazione alla codocenza del prof. R., il quale aveva riferito dell’assoluta correttezza del comportamento del collega M. e che le lezioni teoriche in classe (dove secondo la contestazione si sarebbero svolti tutti gli episodi tranne uno) si svolgevano alla presenza di entrambi (i gruppi si dividevano solo in laboratorio). La corrispondenza tra la dirigente Mu. ed il prof. M. erroneamente è stata utilizzata e valorizzata dalla Corte come indizio di colpevolezza, potendo piuttosto avere la notizia innescato meccanismi di suggestione.

Con motivi nuovi in data 7.10.2011 si ribadisce la illogicità e la mancanza di motivazione in relazione alla mancata osservanza, nella fase delle indagini preliminari, dei criteri stabiliti per l’assunzione delle dichiarazioni di minori, vittime di abusi sessuali, nonchè la manifesta illogicità della motivazione in relazione alla possibilità di commettere gli abusi, senza essere visto dai presenti, nell’aula scolastica.

3) Il ricorso è manifestamente infondato, riproponendo, attraverso una rivisitazione delle risultanze processuali, censure già esaminate e correttamente disattese dai Giudici di merito.

3.1) E’ assolutamente pacifico, nell’ipotesi di conferma della sentenza di primo grado, che le due motivazioni si integrino a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre far riferimento per giudicare della congruità della motivazione. Allorchè, quindi, le due sentenze concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo (cfr. ex multis Cass. sez. 1 n. 8868 del 26.6.2000-Sangiorgi).

3.1.1) In relazione al primo motivo di ricorso, secondo giurisprudenza consolidata di questa Corte "in tema di esame testimoniale dei minorenni parti offese nei reati di natura sessuale, le cautele prescritte dalla cosiddetta Carta di Noto, pur di autorevole rilevanza nell’interpretazione delle norme che disciplinano l’audizione di detti soggetti, presentano carattere non tassativo, sicchè l’eventuale inosservanza di dette prescrizioni non comporta nullità dell’esame stesso" (cfr. Cass. pen. sez. 3 n. 6464 del 14.12.2007). Si tratta, invero, di semplici suggerimenti volti a garantire l’attendibilità delle dichiarazioni del minore e la protezione psicologica dello stesso, come , del resto, si legge nella premessa della Carta medesima (cfr. Cass. pen. sez. 3 n. 20568 del 10.4.2008). Di per sè, quindi, la mancata osservanza non determina automaticamente la inattendibilità delle dichiarazioni del minore e tanto meno la nullità dell’esame o la sua inutilizzabilità. Opinare diversamente significherebbe introdurre una ipotesi ulteriore (non prevista da alcuna norma) di nullità o inutilizzabilità. La inattendibilità del minore sulla base della mancata osservanza del protocollo della Carta è, conseguentemente, affermazione astratta, priva di validità logico-giuridica. E’ necessario quindi indicare gli errori di diritto o i vizi logici della motivazione in ordine alla ritenuta attendibilità dei minori nonostante la mancata osservanza di quel protocollo.

Già il Tribunale aveva diffusamente ed ineccepibilmente argomentato in ordine alla piena attendibilità delle dichiarazioni delle persone offese, ricordando preliminarmente che esse all’epoca dei fatti avevano quattordici-quindici anni, per cui non si trattava di soggetti non in condizione di discernere il comportamento degli adulti o di essere facili vittime di fenomeni di suggestione o condizionamenti. Contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, il Tribunale non si era limitato, nel valutare la piena attendibilità delle parti offese, a far ricorso a stereotipate formule ("chiarezza, linearità e precisione nella esposizione dei fatti"), avendo, piuttosto, evidenziato, dopo l’esposizione delle risultanze istruttorie, che particolare significato in ordine alla assoluta spontaneità delle testimonianze assumeva la circostanza che tutte le ragazze avevano riferito solo i fatti di cui erano a diretta conoscenza; il che escludeva che esse avessero concordato la versione dei fatti. Aveva sottolineato, altresì, il Tribunale, che le persone offese non avevano alcun motivo di rancore nei confronti dell’imputato, non essendo emerso che il prof. M. (al contrario di altri insegnanti) avesse mai messo note disciplinari sul registro di classe (pag. 9, 10 sent. Trib). Aveva escluso il Tribunale che i fatti riferiti fossero frutto di un fenomeno di suggestione, essendo stati riferiti fatti specifici da più fonti di prova, senza alcun previo concerto, posti in essere con modalità similari.

Il Tribunale aveva, poi, evidenziato che le dichiarazioni accusatorie delle ragazze, oltre a riscontrarsi reciprocamente, trovavano una indiscutibile conferma nei comportamenti del prof. M., quali emergevano dalla testimonianza di Mu.Iv., la quale aveva riferito che la madre di L.S. aveva chiesto lo spostamento di classe della figlia e che già nell’anno scolastico 2003-2004, vi erano state delle lamentele dei genitori, tanto che la stessa Mu. aveva informato il Provveditorato con nota del 5.3.2005 e con una lettera al medesimo insegnante in data 12.3.2005 lo invitava a "mantenere dagli alunni il giusto distacco", in considerazione del fatto che "la S,V., a detta di alcuni genitori, avrebbe continuato a fare delle "avances" alle proprie figlie". E sottolineava, in proposito, il Tribunale che, a fronte di accuse tanto gravi, il M. con nota del 17.3.2005 si limitava ad affermare che alcuni suoi atteggiamenti (senza neppure indicare quali) potevano essere stati fraintesi. In presenza di un siffatto robusto apparato argomentativo della sentenza di primo grado, legittimamente la Corte territoriale, ha rinviato per relationem alla stessa, senza ripercorrere, le ragioni, già illustrate dal Tribunale, della ritenuta piena attendibilità delle dichiarazioni delle persone offese, limitandosi a confutare i rilievi difensivi ed a ribadire che il riferimento a fatti specifici ed i riscontri indicati attestavano che non vi era stato alcun fenomeno di suggestione e che, al contrario, le dichiarazioni della persone offese, che tra l’altro non avevano alcun motivo di rancore nei confronti dell’imputato, assolutamente concordanti in ordine alla condotta posta in essere dal M., si riscontravano l’uno con l’altra.

Le medesime considerazioni valgono in relazione alla dedotta impossibilità di porre in essere la condotta contestata in un’aula angusta ed alla presenza del codocente e di oltre 20 alunni.

Già il Tribunale con un’analisi puntuale delle risultanze processuali aveva rilevato come non vi fosse alcuna incompatibilità dal momento che: a) lo stesso prevenuto aveva affermato di aver tenuto lezioni anche da solo; b) le parti offese concordemente avevano confermato la circostanza; c) ulteriore conferma in proposito era venuta dalle testimonianze della dirigente scolastica Mu. e da B.M., altro alunno della stessa classe, d) durante le esercitazioni la classe veniva divisa in due gruppi; e) la classe era molto indisciplinata, per cui era possibile che gli altri alunni non mantenessero l’originaria posizione; f) il M. poneva in atto i suoi comportamenti quando era sicuro di non essere notato e del resto essi non avevano certo una lunga durata (pag. 10 sent.Trib.).

La Corte territoriale, a sua volta, ha ulteriormente ribadito che non vi era necessariamente la compresenza del prof. R., richiamando in proposito la stessa testimonianza del predetto docente e, soprattutto, quella della Dirigente scolastica (pagg. 28, 29 e 45,46 trascr.), e che la presenza degli altri alunni non era "ostativa" (pag. 4).

Non vi è stato, quindi, dai Giudici di merito alcun travisamento delle risultanze processuali, tale da scardinare la complessiva motivazione, nè alcuna illogicità della stessa.

Il ricorrente, attraverso una formale denuncia di mancanza o illogicità di motivazione, propone sostanzialmente una diversa lettura delle risultanze processuali ed in particolare della testimonianza del prof. R..

3.2) Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma che pare congrue determinare in Euro 1.000,00 ai sensi dell’art. 616 c.p.p..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento alla cassa delle ammende della somma di Euro 1.000,00.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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