Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 26-10-2011) 07-12-2011, n. 45695

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Gup presso il Tribunale di Genova, con sentenza del 26/2/09, resa a seguito di rito abbreviato, ha dichiarato R.S. colpevole dei reati di cui agli artt. 81 cpv., 609 bis c.p., art. 609 ter, nn. 1 e 2, e art. 61 c.p., n. 11, perchè mediante abuso di autorità che gli derivava dalla relazione di convivenza con la madre di M.V., nata il (OMISSIS), e mediante minaccia consistita nell’intimare il silenzio a costei su ciò che facevano, costringeva la ragazza a pratiche sessuali, con cadenza pressocchè quotidiana, con l’aggravante, in talune circostanze, di avere stordito la vittima con l’uso di sostanze alcoliche e stupefacenti:

colpevole, altresì, del reato di cui all’art. 81 cpv. c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 e art. 80, comma 1, lett. a), perchè offriva alla minore dette sostanze stupefacenti, e lo ha, quindi, condannato ad anni 12 di reclusione.

La Corte di Appello di Genova, chiamata a pronunciarsi sull’appello interposto nell’interesse del prevenuto, con sentenza del 7/6/2010, in parziale riforma del decisum di prime cure, concesse le attenuanti generiche, ha rideterminato la pena in anni 10 di reclusione.

Propone ricorso per cassazione la difesa dell’imputato, con i seguenti motivi: – vizio di motivazione in relazione alla mancata disposizione della perizia psichiatrica sul R.: – ha errato il decidente nel denegare la concessione della invocata attenuante ex art. 62 c.p., n. 6, fornendo sul punto una giustificazione non corretta.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile.

La discorso giustificativo, svolto in sentenza, si palesa del tutto logico e corretto.

Quanto alla invocata perizia psichiatrica, non solo il rigetto della relativa richiesta è pienamente motivato, ma va rilevato che il prevenuto ha scelto di essere giudicato con rito abbreviato, per cui la istanza istruttoria non può trovare ingresso, quando, come nella specie, il giudice di merito argomenta ampiamente sulle ragioni che non lasciano adito a dubbi circa la inconferenza del chiesto mezzo istruttorio, essendo allo stato degli atti desumibile la capacità piena di intendere e volere dell’imputato.

Sul punto la Corte distrettuale, a giusta ragione, evidenzia che la affermata esistenza, rilevata dal consulente di parte del R., prof. C.L., di un disturbo ansioso depressivo non può determinare uno stato di parziale incapacità di intendere e di volere in capo all’imputato, in quanto detta patologia non è causa di esclusione della imputabilità, non essendo essa associabile ad alcuna entità nosologica rilevante ex artt. 88 e 89 c.p. (Cass. n. 44045/08): nè esistono, con riguardo alla fattispecie in esame, motivi per ritenere che la mera esistenza di una degenerazione dell’istinto sessuale, che bene può attribuirsi al prevenuto, tenuto conto dei comportamenti da esso tenuti in danno della giovanissima parte offesa, non accompagnata da manifestazioni morbose, rivelataci della mancanza totale o parziale della facoltà intellettiva e volitiva, possa considerarsi indizio concludente di infermità mentale.

Del pari priva di pregio si rivela la seconda censura, rilevato come dal vaglio di legittimità a cui stata sottoposta la impugnata pronuncia, emerga la correttezza delle ragioni che hanno determinato il decidente a denegare la concessione della attenuante ex art. 62 c.p., n. 6.

La Corte territoriale, infatti, pur considerando la serietà della somma che, tardivamente il R. ha offerto alla vittima a titolo di risarcimento del danno, e che quest’ultima ha accettato, presentandosi personalmente in udienza per riferire il raggiungimento di un accordo sul punto con l’imputato, ha evidenziato la enormità del danno stesso cagionato alla parte offesa, nonchè la predetta tardività dell’esborso, valutando discrezionalmente detti elementi inibenti alla concessione della attenuante de qua.

Inoltre, per la applicazione della circostanza attenuante in questione è necessario che la riparazione sia effettiva, integrale e volontaria: il risarcimento del danno deve essere, quindi, comprensivo, della totale riparazione di ogni effetto dannoso, ivi compreso il danno morale cagionato alla parte lesa dal reo e la valutazione in ordine alla corrispondenza tra transazione e danno spelta al giudice, che può anche disattendere, con adeguata motivazione ogni dichiarazione satisfattiva resa dalla vittima, come risulta evidente nel caso di specie.

Tenuto conto, poi, della sentenza del 13/6/2000, n. 186, della Corte Costituzionale, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il R. abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, lo stesso deve, altresì, a norma dell’art. 616 c.p.p., essere condannato al versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000.00.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di Euro 1.000.00.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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