Cons. Stato Sez. VI, Sent., 11-01-2012, n. 100 Personale ospedaliero

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ricorso al Tribunale amministrativo della Toscana, rubricato al n. 1506/07, il prof. F.L. riferiva di essere professore associato presso l’Università di Siena nella disciplina endocrinologia, nella qual veste ha creato e diretto la relativa unità operativa nella USL n. 30, poi Azienda Ospedaliera Senese.

Egli è stato sospeso cautelativamente dal servizio con atto del 22 ottobre 2001, confermato il 31 maggio 2002, a causa di due procedimenti penali tra loro connessi che lo hanno riguardato, conclusisi poi con sentenze di proscioglimento. L’Università di Siena nell’estate del 2002 ha quindi deliberato la chiamata di un altro medico quale professore di endocrinologia, al quale poi l’Azienda Ospedaliera ha conferito l’incarico di direttore della relativa unità operativa. A seguito del proscioglimento nel primo procedimento penale, egli ha chiesto in data 1 ottobre 2002 di essere immediatamente reintegrato nella posizione nella quale si trovava al momento della sospensione. Solo a seguito di sospensiva del tribunale amministrativo, egli è stato riammesso in servizio con decorrenza 9 dicembre 2002, senza tuttavia che egli venisse effettivamente messo in condizione di svolgere le proprie funzioni e comunque assegnandogli una stanza assolutamente non idonea.

In data 25 febbraio 2003 il Rettore ed il Direttore Generale lo hanno invitato a presentare un programma ex art. 5, comma 4, D.Lgs. n. 517 del 1999, cosa che egli ha fatto, anche se poi il programma affidatogli si è rivelato inattuabile e ‘privo di qualsiasi consistenza’, per mancanza di attrezzature, collaboratori e mancato recupero del fondo di ricerca in sua disponibilità prima della sospensione.

Il ricorrente esponeva quindi di avere visto soppressa la propria attività didattica e di avere avuto rilevanti difficoltà pratiche, nel colloquiare con la Direzione aziendale, nell’assegnazione della stanza, nell’inserimento dell’elenco del telefono ecc.

A seguito di tutti gli elementi fattuali sopra descritti, il ricorrente ha dedotto di aver sviluppato patologie di tipo depressivo e da stress ed ha peraltro subito un enorme danno professionale e alla propria immagine, oltre ad avere subito pesanti pregiudizi anche nella propria vita personale e affettiva.

Tanto esposto in punto di fatto, in diritto il ricorrente svolgeva i seguenti rilievi e avanzava le seguenti domande:

a) accertamento del proprio diritto al prolungamento del rapporto d’impiego, anche oltre i limiti di età previsti dalla legge, per la durata corrispondente a quella delle sospensione ingiustamente subite ex art. 3, comma 57, L. n. 350 del 2003 e art. 6 bis D.L. n. 66 del 2004, convertito con modificazione dalla L. n. 126 del 2004;

b) accertamento del proprio diritto ex art. 6 bis cit. al ripristino della propria posizione funzionale o professionale ricoperta alla data della sospensione, anche con riferimento alla libertà di ricerca e di insegnamento;

c) condanna delle controparti al risarcimento del danno sotto molteplici profili, tra cui lesione della propria professionalità, perdita di redditi, perdita di chance, danno non patrimoniale, esistenziale e biologico, per l’illegittima lesione da lui subita alla propria personalità, sia come danno da dequalificazione che da "mobbing".

Con la sentenza in epigrafe, n. 197/09 in data 2 febbraio 2009, il Tribunale amministrativo della Toscana, Sezione I, respingeva il ricorso.

2. Avverso la predetta sentenza il prof. F.L. propone l’appello in epigrafe n. 2997/10, contestando gli argomenti che ne costituiscono il presupposto e chiedendo la sua riforma e l’accoglimento del ricorso di primo grado, nei termini che verranno di seguito precisati.

Si sono costituite in giudizio l’Università degli studi di Siena e l’Azienda ospedaliera universitaria di Siena chiedendo il rigetto dell’appello.

L’appellante ha depositato memoria.

La causa è stata assunta in decisione alla pubblica udienza del 22 novembre 2011.

3. Occorre preliminarmente rilevare come l’appellante muova specifiche contestazioni alla sentenza di primo grado esclusivamente nella parte in cui questa respinge la sua istanza risarcitoria, riassunta al punto c) del paragrafo 1 che precede.

Di conseguenza, deve ritenersi che egli abbia fatto acquiescenza alla sentenza di primo grado nella parte in cui ha disatteso le sue istanze volte all’accertamento del suo diritto, ai sensi dell’art. 3, comma 57, della L. 24 dicembre 2003, n. 350, al prolungamento del rapporto d’impiego anche oltre i limiti di età stabiliti dalla legge per la durata della sospensione dal servizio subita ed all’accertamento del diritto al ripristino della posizione funzionale ricoperta.

Oltre tutto, occorre rilevare che l’incarico in precedenza affidato all’appellante è ora attribuito ad altro docente, il quale doveva essere chiamato in causa per discutere di una pretesa che comportava la sua estromissione.

E’ vero che l’appello si chiude con il richiamo integrale al ricorso di primo grado, ma – se in tal modo l’appellante ha inteso contestare integralmente la sentenza gravata – la sua domanda sarebbe inammissibile sotto il profilo dell’evidente genericità e della mancata contestazione delle argomentazioni svolte dai primi giudici.

Comunque, la sentenza di primo grado deve essere integralmente condivisa nella parte in cui osserva che ai sensi dell’art. 5, quarto comma, del D.Lgs. 21 dicembre 1999, n. 517, la responsabilità o la gestione di programmi infra o interdipartimentali finalizzati alla integrazione delle attività assistenziali, didattiche e di ricerca è assimilata ad ogni effetto agli incarichi di responsabilità di struttura complessa o struttura semplice, rilevando come il programma affidato all’appellante rientra nell’ambito di applicazione della norma appena richiamata.

Il gravame, così precisato il suo oggetto, è infondato.

Nel presente grado del giudizio l’appellante non contesta il fatto che la posizione professionale assegnatali dopo la riammissione in servizio (programma interdipartimentale di studio e cura delle endocrinopatie genetiche) sia propria della sua qualifica nell’ambito della docenza universitaria.

Egli afferma invece che le concrete circostanze nelle quali si è sviluppato il rapporto sono state del tutto insoddisfacenti, in quanto gli sarebbe stato negato ogni minimo supporto per lo svolgimento di tale attività, per cui il reale contenuto della relazione lavorativa sarebbe giunta all’estremo di un totale demansionamento.

La doglianza non può essere condivisa.

L’attuazione del programma di cui si tratta è, evidentemente, responsabilità del docente che vi è stato preposto.

A lui spetta quindi prospettare all’Amministrazione le proprie necessità, e giungere ad una definizione condivisa della ripartizione delle risorse necessarie

E’ fatto notorio che in tutte le organizzazioni complesse i responsabili delle diverse strutture devono in modi diversi prendere contatti con gli organi centrali di amministrazione, ai quali vengono prospettate le necessità della struttura, mentre gli organi centrali comparano queste ultime con quelle di tutta l’organizzazione, per cui la decisione finale costituisce, di norma, il frutto di una mediazione.

Nel caso che ora interessa l’appellante nemmeno afferma che l’Amministrazione abbia dato risposta negativa o abbia sostanzialmente trascurato sue precise richieste.

Le sue argomentazioni, in realtà, attengono esclusivamente alle condizioni materiali della stanza che gli è stata assegnata, ma nulla espongono circa le precise esigenze organizzative rappresentate all’Amministrazione, le ragioni della proposta, le contestazioni mosse avverso i rifiuti dell’Amministrazione alle sue richieste circostanziate.

In realtà, l’appellante sostiene di essere trascurato, fino ad essere sottoposto a "mobbing", a causa dei procedimenti penali cui è stato sottoposto, nonostante il fatto che a conclusione dei medesimi sia stato scagionato dalle più gravi accuse mosse nei suoi confronti.

Osserva al riguardo il Collegio che per quanto esposto in precedenza la situazione di eventuale "stallo" nell’evoluzione professionale dell’appellante non è stata dimostrata e comunque, a voler seguire il ragionamento dell’appellante, risulta riconducibile anche a sue responsabilità.

A ciò si aggiunga come una situazione di disagio nei rapporti con la struttura dopo la sua riammissione in servizio costituisca fatto del tutto normale, nelle concrete circostanze del caso in esame, superabile con il reciproco impegno dell’interessato e dei colleghi di lavoro.

Invero, una delle imputazioni mosse nei confronti dell’appellante è stata dichiarata improcedibile per rimessione di querela, ed anzi lo stesso appellante non ha potuto di certo disconoscere l’effettiva sussistenza dei fatti che hanno portato all’apertura del procedimento penale (sotto il profilo della materiale commissione, in quanto essi sono stati oggetto di specifiche qualificazioni dal giudice penale sotto il profilo giuridico).

La sua condotta è stata anche oggetto di esame da parte della Commissione centrale dell’Ordine dei medici che – modificando in melius l’originaria sanzione della radiazione dall’albo – gli ha comminato la sospensione dall’albo per la durata massima.

Valutate tutte le circostanze, ritiene la Sezione che la condotta dell’Amministrazione non è stata di certo vessatoria nei confronti dell’appellante ed anzi ha mostrato una oggettiva benevolenza.

Egli è stato sospeso dal servizio solo dopo la condanna riportata in primo grado e successivamente è stato riammesso, senza che nei suoi confronti sia stato aperto un procedimento disciplinare con riferimento ai fatti materiali accertati in sede penale, nemmeno dopo la valutazione operata dall’Ordine dei medici.

La condotta dell’Amministrazione è stata quindi quanto mai benevola, nonostante il palese emergere di fatti meritevoli di approfondimento in sede amministrativa.

Alla luce di tali elementi, ribadisce il Collegio che spettava all’appellante adottare un comportamento tale da superare le incertezze ingenerate dalle vicende nelle quali egli era incorso.

Non risulta, invece, e nemmeno viene affermato, che l’appellante abbia posto in essere alcuno sforzo per ripristinare un giusto rapporto collaborativo: comunque non emerge alcun consistente elemento per considerare contra legem i comportamenti e gli atti posti in essere dall’Amministrazione, di cui si è doluto l’appellante (sicché, in assenza di domande riconvenzionali, non rileva in questa sede indugiare sulle condotte a suo tempo commesse e sulla loro negativa incidenza sull’immagine dell’Amministrazione).

Afferma, in conclusione, il Collegio che:

– l’appellante non ha dimostrato la situazione "mobbizzante" ed il demansionamento che a suo avviso sarebbero stati posti in essere nei suoi confronti;

– gli elementi emersi non consentono di ritenere vessatorio l’atteggiamento tenuto dall’Amministrazione nei suoi confronti;

– non sono emersi comportamenti dell’appellante volti a risolvere eventuali incomprensioni o situazioni di disagio, e neppure sono emersi atti o comportamenti contra legem dell’Amministrazione.

Le argomentazioni dell’appellante risultano quindi infondate.

4. L’appello deve, in conclusione, essere respinto.

Le spese del secondo grado, liquidate in dispositivo in misura differenziata in ragione della diversa attività difensionale svolta, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull’appello n. 2997/10, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante al pagamento di spese ed onorari del giudizio, che liquida in complessivi Euro 4.000,00 (quattromila/00) in favore dell’Azienda ospedaliera universitaria ed in complessivi Euro 2.000,00 (duemila/00) in favore dell’Università, sempre con gli accessori di legge, se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 novembre 2011 con l’intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti, Presidente

Roberto Garofoli, Consigliere

Manfredo Atzeni, Consigliere, Estensore

Roberta Vigotti, Consigliere

Bernhard Lageder, Consigliere

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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