Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 26-10-2011) 07-12-2011, n. 45687

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 27.03.2010 la Corte d’Appello de L’Aquila, in parziale riforma della sentenza di primo grado, concessa l’attenuante di cui all’art. 609 bis cod. pen., u.c., rideterminava in due anni di reclusione la pena inflitta dal GUP del Tribunale di Pescara a L.E. quale colpevole di avere, con violenza e abusando della propria posizione di datore di lavoro, costretto la dipendente P.L.E. a subire atti sessuali infilando le mani sotto la maglia e sotto il reggiseno della predetta; toccandole il seno; accarezzandole i fianchi e le natiche; toccandole le parti intime sopra i vestiti; infilando una mano tra le sue gambe.

La Corte, richiamando le argomentazioni della sentenza di primo grado, confermava il giudizio di piena attendibilità della parte lesa che aveva descritto un’abituale condotta di molestie sessuali cui l’imputato l’aveva sottoposta per circa nove mesi.

La versione accusatoria non solo non era incrinata da elementi certi e oggettivi di smentita, ma era sorretta da riscontri costituiti dalle dichiarazioni di chi aveva raccolto le confidenze della ragazza o aveva assistito a taluni episodi denotanti morbosi atteggiamenti dell’imputato.

Proponeva ricorso per cassazione l’imputato denunciando:

– improcedibilità dell’azione penale per i fatti rivelati dalla P. il 25.03.2003 in sede di S.i.t. (egli le avrebbe allargato il pantalone per vederle l’intimo; infilato le mani dentro il pantalone; accarezzato i fianchi e le natiche e toccato le parti intime sopra i vestiti) senza avanzare istanza di punizione, sicchè per tali fatti tardivamente denunciati non operava la querela proposta il 14.02.2003 per la condotta consistita nell’avere infilato le mani sotto la maglietta della ragazza; nell’averle toccato la schiena e nell’averle sfiorato il seno con un dito;

– violazione di legge sulla ritenuta configurabilità del reato dovendo gli atti di corteggiamento segnalati in querela essere qualificati come molestie ex art. 660 cod. pen. perchè, non essendo state attinte zone erogene, erano privi di connotazione sessuale.

Chiedeva l’annullamento della sentenza.

L’eccezione procedurale è infondata.

Ha affermato questa Corte che "ai fini della perseguibilità d’ufficio dei delitti contro lo libertà sessuale, la connessione richiesto dell’art. 542 cod. pen. fra i due o più fatti costituenti reato non può identificarsi con l’istituto processuale della connessione", che costituisce un criterio originario e autonomo di determinazione della competenza, "essendo necessario che l’accertamento dal fatto costituente delitto perseguibile d’ufficio comporti l’estensione dell’indagine anche a un fatto costituente reato contro la libertà sessuale. La connessione di cui all’art. 542 cod. pen. invero, può ravvisarsi o perchè i fatti sono stati commessi nello stesso spazio di tempo, ovvero se posti in essere per eseguire o occultare un altro reato, oppure d fine di conseguire l’impunità" (Cassazione Sezione 3 n. 12468, 20.12.1995, Radi).

Dopo l’entrata in vigore della L. n. 66 del 1996 è stato ribadito che la connessione prevista dall’art. 542 cod. pen., comma 3, in relazione alla particolare ipotesi di perseguibilità di ufficio dei reati ivi indicati, riportata anche nell’art. 609 septies c.p., comma 4, è solo quella materiale e non anche processuale "giacchè la ratio di questa disposizione deve individuarsi nel venire meno dei motivi, posti a base della perseguibilità a querela di questi reati, ed in particolare dell’esigenza della riservatezza, in quanto l’indagine investigativa sul delitto perseguibile d’ufficio comporta necessariamente l’accertamento degli altri e, quindi, la diffusione della notizia" (Cassazione Sezione 3 n. 3014, 8.08.1996, Somma).

Anche più recentemente è stato escluso che la connessione prevista dall’art. 542 cod. pen. s’identifichi nell’istituto processuale di cui all’art. 12 c.p.p. "essendo sufficiente che tra il reato di violenza sessuale e l’altro perseguibile d’ufficio vi sia connessione investigativa" (Cassazione Sezione 3 n. 627, 3 aprile 1998, Caldura;

Sezione 3 n. 43139/2003, Vegini, RV. 227477; Sezione 3 n. 32971/2005, Marino RV. 232185; Sezione 3 3.12.2008, Vizzini; Sezione 3 5.11.2008, Liotti), sicchè, nella specie, ritualmente si è proceduto d’ufficio per gli abusi sessuali rivelati in data 25.03.2003 per la connessione investigativa tra tale reato e quello, della stessa specie, per il quale la querela era stata proposta.

La necessaria istruttoria diretta all’accertamento del reato denunciato il 14.02.2003 coinvolgeva necessariamente quello procedibile a querela, sicchè non vi era più ragione per tutelare la riservatezza della persona offesa.

Nel resto il ricorso non è puntuale perchè articola soltanto censure in fatto che distorcono la sostanza del provvedimento impugnato che possiede, invece, un valido appartato argomentativo del tutto rispondente alle utilizzate acquisizioni processuali.

Il ricorrente lamenta che i giudici del merito abbiano motivato utilizzando elementi inconsistenti e che non sarebbe stata correttamente esaminata l’obiezione difensiva circa la configurabilità del reato, ma sostanzialmente propone un riduttivo giudizio d’irrilevanza penale dei fatti da qualificare, tutt’al più, come molestie.

Sul punto va ricordato che, con l’adozione della locuzione atti sessuali di cui all’art. 609 bis cod. pen., a seguito dell’abolizione della distinzione tra congiunzione carnale e atti di libidine violenti prevista dagli abrogati artt. 519 e 521 cod. pen., si è inteso evitare che le indagini processuali si risolvano in ulteriori lesioni della sfera dell’intimità sessuale e affermare che l’offesa alla libertà sessuale prescinde dal grado d’intrusione corporale subito dalla vittima.

L’oggetto giuridico introdotto con la L. n. 66 del 1996, inteso come libertà di autodeterminazione nella sfera sessuale, giustifica, quindi, il superamento delle nozioni di cui agli artt. 519 e 521 cod. pen. e la creazione dell’attuale concetto di atti sessuali, che "è la somma dei concetti previgenti di congiunzione carnale ed atti di libidine (Cassazione Sezione 3 n. 35118/2004, Gerboni, RV. 229555;

Cassazione Sezione 3 n. 2941/1999, Carnevali).

Rientrando il reato di violenza sessuale tra quelli contro la libertà personale, e non più tra quelli contro la moralità pubblica, l’illiceità dei comportamenti deve esser valutata alla stregua del rispetto dovuto alla persona umana, senza distinzione alcuna, e sulla loro attitudine a offendere la libertà di determinazione nella sfera sessuale, sicchè assume minor rilievo l’indagine sul loro impatto nel contesto sociale e culturale in cui avvengono.

In assenza di definizione legislativa dell’espressione atti sessuali, questa Corte, essendo stata eliminata la distinzione originaria, ha individuato una serie di criteri validi per un’adeguata determinazione della fattispecie legale riassumibili nell’indifferenza penale della natura delle manifestazioni della libertà sessuale quando non tocchino la libertà altrui e nella riconducibilità alla nuova espressione, oltre che del coito di qualsiasi natura, anche di qualsiasi atto diretto e idoneo a compromettere la libertà della persona attraverso l’eccitazione o il soddisfacimento dell’istinto sessuale dell’agente, sicchè essa viene a comprendere tutti gli atti che, secondo il senso comune e l’elaborazione giurisprudenziale, esprimono l’impulso sessuale dell’agente con invasione della sfera sessuale del soggetto passivo.

Pertanto la configurabilità del reato non dipende dall’interpretazione soggettiva del giudicante, ma è legata alla contestuale presenza di un requisito soggettivo (il fine di concupiscenza ravvisatole anche nel caso in cui non si ottenga il soddisfacimento sessuale) e di un requisito oggettivo consistente nella concreta idoneità della condotta a compromettere la libertà di autodeterminazione del soggetto passivo nella sua sfera sessuale e a suscitare o a soddisfare la brama sessuale dell’agente, sicchè rientrano tra gli atti sessuali "i toccamenti, palpeggiamenti e sfregamenti sulle parti intime delle vittime, suscettibili di eccitare la concupiscenza sessuale anche in modo non completo e/o di breve durato, essendo irrilevante, ai fini della consumazione del reato, che il soggetto attivo consegua la soddisfazione erotica" (Cassazione Sezione 3 n. 44246/2005, Borselli, RV. 232901).

Ribadito che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, "in tema di violenza sessuale (art. 609 bis cod. pen.), la condotta sanzionata comprende qualsiasi atto che, risolvendosi in un contatto corporeo, pur se fugace ed estemporaneo, tra soggetto attivo e soggetto passivo del reato, ovvero in un coinvolgimento della sfera fisica di quest’ultimo, ponga in pericolo la libera autodeterminazione della persona offesa nella sfera sessuale" (Cassazione Sezione 1 n. 7369/2006 RV. 234070), va osservato che, nella specie, è stato accertato con adeguata motivazione che l’imputato ha attinto zone erogene della persona offesa toccandole il seno, le gambe, le natiche e le parti intime sopra i vestiti con reiterati gesti repentini senza assicurarsi del suo preventivo consenso.

Non è, quindi, fondato l’assunto difensivo secondo cui la condotta non avrebbe connotazione sessuale.

Grava sul ricorrente l’onere della condanna al pagamento delle spese del procedimento e alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile liquidate complessivamente in Euro 2.000, oltre accessori di legge.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile liquidate complessivamente in Euro 2.000, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella pubblica udienza, il 26 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2011

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *