Cass. civ. Sez. II, Sent., 28-06-2012, n. 10952

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Svolgimento del processo

Con atto notificato in data 14.3.1996 P.M., Ca.

F., Ca.Si. e Ca.Lu. convenivano in giudizio C.S. ed O.C.A. chiedendo dichiararsi verificata l’usucapione ventennale dell’area di mq 229, sita nel comune di (OMISSIS) alla via (OMISSIS) prospiciente al n.c. 2222 ed inserita al NCEU al f. 1114, part. 3053. Esponevano gli attori che il loro dante causa CA.An. aveva acquistato dalla Società Generale Immobiliare un terreno, ricevendone dalla stessa anche il possesso dell’area suddetta, la quale pertanto era stata inglobata nel giardino di loro proprietà mediante un’unica recinzione ed era stata così sempre posseduta dall’acquirente uti dominus e quindi da esse attrici dal 20.6.1963, con conseguente acquisto della relativa proprietà per usucapione.

Si costituiva il solo C.S. chiedendo il rigetto della domanda ed in via riconvenzionale, la condanna delle attrici a rilasciare la striscia di terreno in discorso. Deduceva di avere acquistato tutti i beni residui dalle liquidazione della SpA Generale immobiliare fra i quali rientrava anche l’indicata striscia di terreno; precisava che la stessa era stata data in locazione all’acquirente Ca.An., dante causa delle attrici, per cui ne sollecitava da esse la restituzione. Sottolineava poi che tale superficie era gravata, in virtù di convenzione di lottizzazione, dell’obbligo di trasferimento gratuito a comune di Roma, ove questo avesse deliberato di allargare la via (OMISSIS) e chiedeva in subordine che tale obbligo fosse dichiarato estinto nei suoi confronti, previa integrazione del contradditorio nei riguardi dello stesso comune, che chiamava in giudizio, lì Comune di Roma si costituiva contestando le domande delle parti e svolgeva domanda riconvenzionale per il riconoscimento dell’obbligo delle parti di trasferimento ad esso ente della porzione immobiliare de qua. La causa quindi – previa riunione ad altra promossa dallo stesso C. ed avente ad oggetto il rilascio del terreno in contestazione – veniva decisa dal Tribunale di Roma, che, con sentenza n. 12770/02 rigettava la domanda di usucapione ritenendo che nella specie era intervenuto un rapporto di locazione scaduto, avente ad oggetto tale terreno, per cui ingiungeva alle attrici il rilascio dello stesso, dichiarando infine inammissibile la domanda riconvenzionale formulata da Comune contro Ca.Se..

Avverso tale sentenza proponeva appello i P. – Ca.

per la sua totale riforma; si costituivano gli appellati ed il comune di Roma, che formulava appello incidentale. L’adita Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 5026/05, depos. in data 22.11.2005,in parziale accoglimento dell’impugnazione, dichiarava che le appellanti avevano usucapito la striscia di terreno in parola per il decorso del termine ventennale. Secondo la corte capitolina, non era stato provato che la striscia di terreno era stata data in locazione dalla società venditrice all’acquirente con il pagamento del relativo canone. Inoltre si era verificata l’interversio possessionis attraverso l’incorporazione della striscia di terreno con il giardino, con l’apposizione della recinzione, dei cancelli ed altro.

Accoglieva altresì l’appello incidentale del comune di Roma, per cui dichiarava che le medesime parti erano obbligate a cedere gratuitamente al comune l’area in questionerei caso in cui fosse deliberato l’ampliamento della via (OMISSIS). Per la cassazione della suddetta decisione ricorrono C.S. e O.A. sulla base di due censure; resistevano gli intimati con controricorso. A seguito di ordinanza emessa all’udienza pubblica del 18.1.2012, il Collegio disponeva la notifica de ricorso al Comune di Roma. Infine i ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Con il 1 motivo i ricorrenti denunciano il vizio di motivazione. La censura riguarda la questione dell’interversione del possesso a loro avviso erroneamente individuata dal giudicante in alcune circostanze di fatto, quali l’accorpamento del terreno ricevuto a titolo di detenzione con altro terreno acquisito in virtù di compravendita, nonchè nella recinzione e nell’apposizione di due cancelli. Invero sia l’accorpamento che la recinzione sarebbero state realizzate non dal dante causa delle attrici ma della stessa soc. SCI. Osservano ancora gli esponenti che sussisteva un dubbio anche sull’epoca di quando ciò sarebbe avvenuto.

Con il 2 motivo denunziando il "vizio di motivazione", i ricorrenti censurano la decisione laddove ha ritenuto inesistente (o non provato) un rapporto locatizio avente ad oggetto l’area in questione.

La Corte territoriale invero non avrebbe adeguatamente valutato tutti gli indizi in base ai quali il giudice di primo grado aveva invece dedotto l’esistenza di un rapporto locatizio, che era rilevante al fine dell’esclusione dell’animus possidendi. Ad avviso del Collegio entrambe le predette censure sono infondate in quanto si risolvono in questio facti, incensurabile, come tale, in sede i legittimità, essendo la valutazione degli elementi probatori istituzionalmente riservata a giudice di merito, ove sorretta da corretta e congrua motivazione.

Con riferimento in specie al 2 motivo (la cui soluzione appare preliminare rispetto al 1), va sottolineato come la Corte capitolina abbia compiutamente esaminato le emergenze istruttorie, per concludere che mancava la prova de dedotto rapporto locatizio, a nulla rilevando che di locazione si fosse fatta menzione in altri atti che non riguardavano i terreni in esame. Ciò posto, in carenza di ogni la prova che il potere sulla striscia di terreno in esame derivasse da un rapporto obbligatorio, il possesso poteva correttamente ritenersi presunto a norma dell’art. 1141 c.c.. Nella fattispecie può dunque affermarsi che il giudice ha accertato l’esistenza di un possesso idoneo all’usucapione, anche se il ragionamento da lui seguito non sempre è stato lineare. Ed invero la questione della cd. interversio possessionis nella fattispecie appare del tutto ultronea e irrilevante ai fini della configurabilità di un possesso idoneo all’usucapione, atteso che la corte capitolina è giunta a siffatta, corretta conclusione sulla base di elementi a ciò già sufficienti e precisamente: l’esercizio del potere di fatto esercitato sul bene uti dominus e la signoria di fatto su tale terreno corrispondete al diritto di proprietà, che si era protratta per oltre 20 anni. Provato il corpus del possesso attraverso più atti estrinseci (coltivazione, recinzione, annessione de terreno compravenduto), dai quali era necessario desumere la negazione dell’altrui possesso e l’affermazione del proprio, l’animus possidendi si presumeva. D’altra parte, ai sensi dell’art. 1141 c.c. il possesso si presume in colui che esercita il potere di fatto sulla cosa corrispondente al diritto di proprietà o altro diritto reale, e non è escluso dalla consapevolezza nel possessore di non avere alcun valido titolo che legittimi il potere, posto che l’animus possidendi consiste unicamente nell’intento di tenere la cosa come propria mediante l’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o altro diritto reale, indipendentemente dall’effettiva esistenza del relativo diritto o della conoscenza del diritto altrui (Cass. n. 8422 dei 27/05/2003; Cass. n. 7757 del 5.4.11).

Da tutto ciò deriva che si appalesano inammissibili le critiche rivolte all’ultronea ed irrilevante parte della motivazione dedicata all’interversione del possesso (che invece implicava la nascita come detenzione del rapporto con il bene), ora alla prova dell’avvenuta traditio in virtù di un contratto comunque volto a trasferire la proprietà del bene di cui si discute.

Conclusivamente il ricorso dev’essere rigettato; le spese di lite seguono la soccombenza.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso, e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 4.200,00, di cui Euro 4.000,00 per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 10 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2012

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