Cass. civ. Sez. VI – 1, Sent., 28-06-2012, n. 10943 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

B.F., vedova di Bo.Ma., e G. G. hanno chiesto alla Corte d’appello di Venezia il riconoscimento dell’equa riparazione per la irragionevole durata di un processo in materia pensionistica, svoltosi dinanzi alla Sezione giurisdizionale del Veneto della Corte dei conti dal 26 maggio 1997 al 14 novembre 2007.

L’adita Corte d’appello ha accolto parzialmente la domanda.

Disattesa l’eccezione di difetto di legittimazione attiva di B. F. e determinata in tre anni la durata ragionevole del processo presupposto, la Corte d’appello ha ritenuto che al G. dovesse essere riconosciuto un indennizzo per sette anni e cinque mesi di ritardo. Ha quindi liquidato, in favore del G., la somma di Euro 3.710,00, adottando, tenuto conto della minima entità della posta in gioco, il criterio di liquidazione rapportato a 500 Euro per ogni anno di eccessiva durata. Sulla base del medesimo criterio ha liquidato altresì Euro 960,00 in favore di B.F., rilevando che il suo dante causa era deceduto nel corso del giudizio (17 aprile 2004), sicchè la riparazione era dovuta per tre anni e dieci mesi.

Per la cassazione di questo decreto B.F. e G. G. hanno proposto ricorso sulla base di due motivi; l’intimata Amministrazione non ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

Il collegio ha deliberato l’adozione della motivazione semplificata nella redazione della sentenza.

Con il primo motivo di ricorso (rubricato violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, nonchè vizio di motivazione), i ricorrenti si dolgono della esigua entità dell’indennizzo riconosciuto per anno di ritardo, sostenendo che le ragioni addotte dalla Corte d’appello sarebbero del tutto inidonee a giustificare lo scostamento del criterio di liquidazione per anno di ritardo da quelli propri della giurisprudenza della Corte Europea di questa Corte.

Il motivo è fondato.

Ai fini della liquidazione dell’indennizzo del danno non patrimoniale conseguente alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, l’ambito della valutazione equitativa, affidata al giudice del merito, è segnato dal rispetto della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, per come essa vive nelle decisioni, da parte della Corte Europea dei diritti dell’uomo, di casi simili a quello portato all’esame del giudice nazionale, di tal che è configurabile, in capo al giudice del merito, un obbligo di tener conto dei criteri di determinazione della riparazione applicati dalla Corte Europea, pur conservando egli un margine di valutazione che gli consente di discostarsi, purchè in misura ragionevole, dalle liquidazioni effettuate da quella Corte in casi simili (Cass., S.U., n. 1340 del 2004). Relativamente alla misura dell’equa riparazione per il danno non patrimoniale, va osservato che, secondo la più recente giurisprudenza della Corte di Strasburgo, qualora non emergano elementi concreti in grado di farne apprezzare la peculiare rilevanza, l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa impone di stabilirla, di regola, nell’importo non inferiore ad Euro 750 per anno di ritardo, in virtù degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n. 16086 del 2009, i cui principi vanno qui confermati, con la precisazione che tale parametro va osservato in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo aversi riguardo, per quelli successivi, al parametro di Euro 1.000, per anno di ritardo, dato che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno. Non appare ragionevole, per contro, il discostamento dallo standard minimo fissato dalla CEDU operato dal decreto impugnato (Cass. n. 30160 del 2011).

Relativamente alla misura dell’equa riparazione per il danno non patrimoniale, va osservato ulteriormente che, in applicazione dei criteri elaborati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, questa Corte, per un giudizio amministrativo presupposto protrattosi per oltre dieci anni – come nella specie, avendo il giudizio presupposto avuto una durata di circa dieci anni e cinque mesi – è solita riconoscere, a titolo di equa riparazione, un danno non patrimoniale di Euro 6.250,00.

Con riferimento alle ragioni che possono essere addotte per ridurre l’indicato parametro di liquidazione, si deve rilevare che questa Corte ha già avuto modo di precisare che la presunzione di danno non patrimoniale notoriamente connessa a situazioni soggettive provocate da un giudizio durato troppo a lungo, la cui connotazione in termini di irragionevolezza è, potrebbe dirsi, ancor più marcata in presenza di domande suscettibili di immediata risoluzione, non può essere superata, tra l’altro, dal rilievo del modesto valore della posta in gioco (Cass. n. 23519 del 2011; Cass. n. 22435 del 2009).

Alla stregua di tali considerazioni il motivo deve quindi essere accolto, con conseguente annullamento del decreto impugnato.

Il secondo motivo, relativo alla spese, resta assorbito.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2. In particolare non è contestata la durata irragionevole, accertata dalla Corte d’appello in sette anni e cinque mesi per il G. e in tre anni e dieci mesi per il dante causa della B., sicchè, nel caso di specie, in applicazione del criterio quantitativo prima affermato, si deve, di conseguenza, riconoscere a G.G. l’indennizzo di Euro 6.250,00, e a B.F., nella qualità, l’indennizzo di Euro 2.875,00, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo, al cui pagamento deve essere condannato il Ministero soccombente.

Le spese del giudizio di merito, in considerazione dell’accoglimento solo parziale della domanda (la richiesta del ricorrente era di 26.248,00 Euro), possono essere compensate per 1/2, mentre quelle del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vanno interamente poste, come liquidate in dispositivo in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano con riferimento al giudizio di natura contenziosa (Cass. n. 16367 del 2011), a carico dell’Amministrazione resistente; con la precisazione che sulle somme dovute a titolo di onorari – Euro 490 per il giudizio di merito; Euro 865,00 per il giudizio di cassazione – si applica, ai sensi del D.M. n. 127 del 2004, art. 5, comma 4, che lo consente sino al 20%, un aumento del 10% per la parte ulteriore rispetto alla prima.

Le spese del giudizio di merito vanno distratte in favore dell’Avv. Anna Rita Moscioni, dichiaratasene antistataria.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo;

cassa il decreto impugnato in relazione alla censura accolta e, decidendo nel merito, condanna. il Ministero dell’economia e delle finanze al pagamento in favore di G.G. della complessiva somma di Euro 6.250,00, e in favore di B.F. della complessiva somma di Euro 2.875,00, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo; condanna il Ministero soccombente al pagamento in favore del ricorrente di 1/2 delle spese del giudizio di merito, previa compensazione della restante parte, spese distratte in favore dell’Avv. Anna Rita Moscioni, dichiaratasene antistataria, spese che si liquidano, per l’intero, in Euro 1.250, di cui Euro 600,00 per onorari ed Euro 50,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge, nonchè di quelle del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 1.050,00, di cui Euro 950,00, per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile della Corte suprema di Cassazione, il 5 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2012

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