Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 20-10-2011) 07-12-2011, n. 45669 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il G.i.p. del Tribunale di Trento, con sentenza in data 8.07.2010, resa ai sensi dell’art. 444 c.p.p., applicava nei confronti di H. A. la pena di anni uno di reclusione ed Euro 2.000,00 di multa, per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73. Il Giudice revocava la sospensione condizionale della pena già concessa con sentenza del Tribunale di Trento in data 17.09.2009. 2. Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, deducendo il vizio motivazionale in relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche; sotto altro aspetto, la parte contesta l’intervenuta revoca della sospensione condizionale della pena, applicata con precedente sentenza di condanna, lamentando il difetto di motivazione sul punto.

Motivi della decisione

3. Il ricorso è inammissibile.

3.1 Osserva primieramente il Collegio – nel procedere alla verifica del rispetto dei termini stabiliti a pena di decadenza per l’impugnazione, ex art. 585 c.p.p., u.c., – che l’orientamento espresso da questa Suprema Corte che è venuto consolidandosi, muovendo dalle indicazioni offerte dalle Sezioni Unite sulla natura della sentenza resa ai sensi dell’art. 444 c.p.p., comma 2, considera che la sentenza con cui si applica la pena su richiesta dalle parti deve ritenersi emessa senza che Sia proceduto a dibattimento. Ed invero, le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno da tempo chiarito che, a parte il caso in cui all’applicazione della pena si addivenga all’esito del dibattimento, previa valutazione della mancanza di giustificazione del dissenso del pubblico ministero alla richiesta tempestivamente presentata dall’imputato, la sentenza di patteggiamento non può essere assimilata alla sentenza dibattimentale (Cass. Sez. U, Sentenza n. 295 del 12.10.1993, dep. 17.01.1994, Rv. 195617).

Ciò posto, sì osserva – altresì – che con riferimento alla individuazione degli specifici termini per l’impugnazione dei provvedimenti emessi in seguito a procedimento camerale, sia che essi abbiano natura di sentenza o di ordinanza o decreto, il prevalente orientamento espresso dalla Corte regolatrice è nel senso di ritenere che deve, in ogni caso, trovare applicazione la previsione di cui all’art. 585 c.p.p., comma 1, lett. a), di talchè il termine per impugnare risulta pari a quindici giorni (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 5496 del 3.02.2010, dep, 11.02.2010, Rv. 246125).

Orbene, le considerazioni sin qui svolte inducono a ritenere che il termine per l’impugnazione delle sentenze rese ai sensi dell’art. 444 c.p.p., comma 2 – a parte il caso di sentenza emessa all’esito del dibattimento, qualora il pubblico ministero non abbia aderito alla richiesta di applicazione della pena formulata dalla patte, come sopra chiarito – sia unico e pari a giorni quindici, ai sensi dell’art. 585 c.p.p., comma 1, lett. a), atteso che la sentenza di patteggiamento non può essere altrimenti assimilata alla sentenza dibattimentale. La considerazione assorbente del predetto rilievo, che muove dalla natura camerale del provvedimento, induce poi a ritenere che il termine per l’impugnazione non muti anche nel caso in cui il giudice depositi la motivazione nel quindicennio giorno; e che in tal caso il termine decorra dalla scadenza del termine stabilito dalla legge per il deposito della sentenza e non dalla lettura del provvedimento.

Applicando le richiamate coordinate interpretative alla fattispecie di giudizio, si osserva che il ricorso in esame risulta tardivamente proposto. Invero, il termine per il deposito della sentenza che occupa è venuto a scadenza il 23 luglio 2010; e da tale data decorre il termine di quindici giorni, per proporre l’impugnazione, come chiarito. Il ricorso in esame, proposto in data 7.10.2010, risulta pertanto tardivo, tenuto pure conto della sospensione feriale dei termini.

3.2 Il ricorso in esame presenta ulteriori profili di inammissibilità. Come noto, questa Suprema Corte ha ripetutamente affermato il principio che l’obbligo della motivazione della sentenza non può non essere conformato alla particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento: lo sviluppo delle linee argomentative è necessariamente correlato all’esistenza dell’atto negoziale con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare i fatti dedotti nell’imputazione. Ciò implica che il giudizio negativo circa la ricorrenza di una delle ipotesi di cui al richiamato art. 129 c.p.p. deve essere accompagnato da una specifica motivazione solo nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non punibilità, dovendo invece ritenersi sufficiente, in caso contrario, una motivazione consistente nella enunciazione, anche implicita, che è stata compiuta la verifica richiesta dalla legge e che non ricorrono le condizioni per la pronunzia di proscioglimento ex art. 129 (Cass. Sez. U, Sentenza n. 5777 del 27.03.1992, dep. 15.05.1992, Rv. 191134). Tale orientamento è stato concordemente accolto dalla giurisprudenza successiva. Anche per ciò che riguarda gli altri tratti significativi della decisione, che riguardano precipuamente la qualificazione giuridica del fatto, la continuazione, l’esistenza e la comparazione delle circostanze – questione che viene specificamente in rilievo nel caso di specie – la congruità della pena e la sua sospensione, la costante giurisprudenza di questa Corte, nel solco delle enunciazioni delle Sezioni unite, ha affermato che la motivazione può ben essere sintetica ed a struttura enunciativa, purchè risulti che il giudice abbia compiuto le pertinenti valutazioni. Orbene, nel caso che occupa, la richiesta di applicazione della pena di cui all’udienza dell’8 luglio 2010 non prevedeva la concessione delle attenuanti generiche; ed il giudicante, nel censire la predetta richiesta, del tutto legittimamente ha ritenuto che la prospettazione delle circostanze effettuata dalle parti risultasse conferente ed ha pronunciato sentenza ex art. 444 c.p.p.. E’ poi appena il caso di rilevare che la giurisprudenza di legittimità ha da tempo chiarito che la sentenza di patteggiamento, in ragione dell’equiparazione legislativa ad una sentenza di condanna, in mancanza di una espressa previsione di deroga, costituisce titolo idoneo per la revoca, a norma dell’art. 168 c.p., comma 1, della sospensione condizionale della pena precedentemente concessa (Cass. Sez. U, Sentenza n. 17781 del 29.11.2005, dep. 23.05.2006, Rv. 233518).

3.3 Si evidenzia, infine, che nel calcolo della pena il G.i.p. del Tribunale di Trento non ha tenuto conto della circostanza aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 11-bis, benchè formalmente richiamata nel capo di imputazione; deve, pertanto, ritenersi che la sentenza impugnata non assuma alcun concreto rilievo, ai fini del calcolo della pena, la circostanza aggravante ora richiamata, dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale, con sentenza in data 8.07.2010, n. 249. La sentenza impugnata, anche sotto tale profilo, neppure evocato dall’esponente, risulta pienamente legittima.

4. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso, segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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