T.A.R. Abruzzo L’Aquila Sez. I, Sent., 11-01-2012, n. 8

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con il ricorso in epigrafe, lo straniero ricorrente, cittadino del Bangladesh, ha impugnato il provvedimento con il quale lo Sportello Unico per l’Immigrazione di L’Aquila ha rigettato la dichiarazione di emersione dal lavoro irregolare presentata dal sig. P.G. e relativa ad esso ricorrente sul rilievo della pretesa ostatività della condanna riportata dal cittadino bengalese per violazione dell’ordine di rimpatrio (ex art. 14, comma 5-ter D.Lgs. n. 286 del 1998 ).

Esponeva il ricorrente che la detta condanna era risalente nel tempo e in relazione alla stessa era stata anche presentata istanza di riabilitazione.

Il ricorso deduce:

1) Violazione dell’art. 5 comma 5 D.Lgs. n. 286 del 1998il delitto di cui all’art. 14 comma 5-ter del D.Lgs. n. 286 del 1998non è condanna ostativa all’emersione dal lavoro irregolare e comunque non comporta automaticamente il rigetto della domanda ma rappresenta solo uno degli elementi da valutare insieme agli altri presenti nella fattispecie;

2) Violazione di legge. Violazione dell’art. 7 e dell’art. 10-bis della L. n. 241 del 1990. Difetto di istruttoria. Eccesso di potere: il richiedente la regolarizzazione ha diritto di ottenere la comunicazione scritta dell’esito negativo della procedura nonché il provvedimento di diniego, essendo parte interessata nel procedimento; l’omessa comunicazione allo straniero viola dunque il disposto dell’epigrafata normativa,

Concludeva per l’accoglimento del ricorso e dell’istanza cautelare.

Si costituiva l’Amministrazione intimata chiedendo il rigetto del ricorso.

Il TAR adito respingeva la proposta istanza cautelare.

All’esito della pubblica udienza del 21 dicembre 2011, il collegio riservava la decisione in camera di consiglio.

Motivi della decisione

A sostegno dell’impugnato diniego di emersione del lavoro irregolare l’Amministrazione ha posto la pretesa ostatività della condanna per violazione dell’ordine di allontanamento emesso del Questore ex art. 14 comma 5-ter D.Lgs. n. 286 del 1998 (sentenza del tribunale di Venezia divenuta irrevocabile in data 21.10.2006).

La condotta contestata come reato consiste, com’è noto, nel trattenimento dello straniero in Italia in violazione di un precedente provvedimento di espulsione ed è punibile con la pena della reclusione fino a quattro anni, come tale, benché la fattispecie preveda l’arresto obbligatorio, rientrante nella previsione di cui all’art. 381 c.p.p. e dunque, secondo l’interpretazione propugnata dall’Amministrazione e contestata da parte ricorrente, in quella del comma 13, lettera c), art. 1-ter L. n. 102 del 1998, che esclude dalla regolarizzazione gli stranieri "che risultino condannati, anche con sentenza non definitiva, compresa quella pronunciata anche a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale per uno dei reati previsti dagli articoli 380 e 381 del medesimo codice".

Osserva il Collegio che, a prescindere dalla riconducibilità del preteso reato ostativo nelle fattispecie comprese dal comma 13 lettera c) art. 1 ter L. n. 102 del 1998, la sopraggiunta giurisprudenza ha del tutto escluso la ostatività di tale condotta dalla richiesta regolarizzazione stante la più radicale totale irrilevanza penale del fatto contestato.

In proposito, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (n.8/2011) ha chiarito quali siano, per l’ordinamento interno, gli effetti del pronunciato della Corte di Giustizia della Comunità europea (C.G.U.E. del 28 aprile 2011, in causa C-61/11 PPU), secondo cui è precluso ad uno Stato membro di accogliere nella propria legislazione una normativa che preveda la reclusione per la sola violazione dell’ordine di lasciare il territorio dello Stato:

Tale previsione, anzitutto, contrasta con le finalità imposte dalla Direttiva 2008/115/CE sulle norme comuni per il rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno sia irregolare, e in particolare con l’obiettivo di instaurare una politica efficace di allontanamento e rimpatrio nel rispetto dei diritto fondamentali poiché "la direttiva 2008/115, in particolare i suoi artt. 15 e 16, deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa di uno Stato membro, come quella in discussione nel procedimento principale, che preveda l’irrogazione della pena della reclusione al cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sia irregolare per la sola ragione che questi, in violazione di un ordine di lasciare entro un determinato termine il territorio di tale Stato, permane in detto territorio senza giustificato motivo".

La disposizione interna riconosciuta contrastante con la Direttiva va, dunque, doverosamente disapplicata da parte del giudice nazionale, con l’ulteriore conseguenza che la non ottemperanza al "foglio di via" prevista dall’art. 14 comma 5-ter D.Lgs. n. 286 del 1998non può più essere considerata reato.

Secondo il Supremo Consesso amministrativo, "in conformità…all’orientamento costantemente seguito dalla Corte di Lussemburgo (a partire dalla sentenza Simmenthal in causa 1076/77) e dalla stessa Corte costituzionale italiana (con la sent. n.17 del 1984 e successive), anche la recentissima sentenza comunitaria afferma che è compito del giudice nazionale assicurare la "piena efficacia" del diritto dell’Unione, negando l’applicazione, nella specie, dell’art. 14, comma 5-ter, in quanto contrario alla normativa dettata dalla direttiva n.115 del 1008, suscettibile di diretta applicazione".

Per effetto della suesposta evoluzione normativa e giurisprudenziale, può ritenersi che ricorra nel caso di specie un’ipotesi di abolitio criminis che, a norma dell’articolo 2, comma 2, del codice penale, ha effetto retroattivo, facendo cessare l’esecuzione della condanna ed i relativi effetti penali, i quali non potranno più essere considerati ostativi all’accoglimento dell’istanza di emersione dal lavoro irregolare.

Più puntualmente, la retroattività dell’abolitio criminis "non può non riverberare i propri effetti sui provvedimenti amministrativi denegativi dell’emersione del lavoro irregolare, adottati sul presupposto della condanna per un fatto che non è più previsto come reato"; in particolare, neppure può essere applicato il principio tempus regit actum per ritenere la legittimità del provvedimento emesso in costanza di rilevanza penale del fatto, stante la non definitività dell’atto ritualmente impugnato in sede giurisdizionale proprio per contestare l’assetto lesivo dei reciproci interessi prodotto dall’atto impugnato.

Ne discende l’illegittimità del diniego, che ha quale unica motivazione la pretesa ostatività della condanna, che, per quanto sopra detto, non rileva affatto, l’accoglimento del ricorso e l’annullamento dell’atto impugnato.

Sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese di giudizio tenuto conto delle sopravvenienze normative e giurisprudenziali di cui sopra si è dato conto.

Sull’istanza, depositata in data 9 novembre 2011, intesa alla liquidazione delle competenze spettanti al difensore del ricorrente ammesso al gratuito patrocinio (giusta Provv. del 6 giugno 2011 della competente Commissione sedente presso il TAR), il Collegio, considerato che, in astratto, in subiecta materia, è imposto il contenimento delle liquidazioni delle competenze ai difensori in misura non eccedente i valori medi delle tariffe professionali vigenti e che occorre, in concreto, tener conto dell’attività effettivamente svolta e dell’utilità conseguita dal patrocinato, ritiene di dover quantificare, per l’attività complessivamente prestata in favore del ricorrente nel giudizio sopra epigrafato, anche tenuto conto della natura della controversia, gli onorari in misura prossima al minimo di legge (Euro 1.000,00), di operare la riduzione a metà dell’importo così determinato (ex art. 130 del D.P.R. n. 115 del 2002), e così di liquidare l’importo degli onorari in complessivi Euro 500,00 (cinquecento/00), i diritti in complessivi Euro 1.106,00 (millecentosei/00), e le spese, come da notula in atti, in complessivi Euro 210,00 (duecentodieci/00), oltre IVA, CPA e spese generali (12,50%) su diritti ed onorari.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo regionale per l’Abruzzo – L’AQUILA, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie e per l’effetto annulla l’atto impugnato.

Spese compensate.

Liquida all’avv. Maria Assunta Chiodi difensore del ricorrente per l’attività prestata in favore del ricorrente ammesso al gratuito patrocinio, la complessiva somma di Euro 1.816, 00 (milleottocentosedici,00), di cui Euro 210,00 per spese, Euro 1.106,00 per diritti ed Euro 500,00 per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali (12,50% su diritti ed onorari).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in L’Aquila nella camera di consiglio del giorno 21 dicembre 2011 con l’intervento dei magistrati:

Cesare Mastrocola, Presidente

Paolo Passoni, Consigliere

Maria Abbruzzese, Consigliere, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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