Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 13-10-2011) 07-12-2011, n. 45664

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La Corte d’appello di Reggio Calabria ha respinto l’istanza avanzata da G.D., intesa ad ottenere l’equa riparazione per l’ingiusta detenzione subita.

2. Ricorre per cassazione il richiedente. Si censura la motivazione di merito nella parte in cui si ravvisa condotta colposa ostativa all’accoglimento della domanda. La Corte d’appello pone a fondamento dell’ordinanza di rigetto gli stessi elementi la cui esistenza è stata smentita dai giudici di merito. In ogni caso, nell’ordinanza non si da conto di alcuna specifica condotta posta in essere dal ricorrente idonea ad integrare il concetto di colpa grave. Non è stato provato che il richiedente ha partecipato con pescherecci all’illecito traffico di droga e, conseguentemente, nel giudizio di riparazione non può sostenersi che, essendo i familiari del ricorrente comunque proprietari dei pescherecci, ed avendo costui avuto contatto con alcuni indagati, tale situazione era tale da determinare un prevedibile errore in capo agli inquirenti. L’assunto è infondato in quanto non solo smentito documentalmente ma anche perchè il G., successivamente al suo arresto, ha più volte protestato la sua innocenza in diversi interrogatori, chiarendo i propri contatti con lo zio nonchè il contenuto delle conversazioni dalle quali si è ipotizzato il coinvolgimento dei pescherecci dei familiari. Non vi è dubbio, quindi, che almeno dal momento di tali interrogatori, non può ravvisarsi condotta colposa. La Corte d’appello ha invece stravolto il contenuto degli atti e le conclusioni cui sono pervenuti i giudici di merito, con ordinanza contraddittoria e manifestamente illogica.

3. Il ricorso è manifestamente infondato. Il provvedimento impugnato da conto che l’ordinanza cautelare è relativa alla importazione di un ingente quantitativo di cocaina acquistata in Sudamerica, trasportata in Namibia e successivamente importata in Europa. Esso soggiunge che la pronunzia assolutoria nei confronti del ricorrente è stata adottata in relazione ai dubbi non risolti circa lo svolgimento di un ruolo nella fase conclusiva dell’importazione illecita tramite i pescherecci della famiglia. Tuttavia è emerso dalle indagini ed è stato ritenuto dei giudici di merito che la condotta del richiedente è caratterizzata da ripetuti contatti con due soggetti coinvolti negli illeciti uno dei quali latitanti latitante, mai negati dal G.. Tali condotte sono consistite nell’ accompagnare i figli del latitante in Namibia, nell’avervi fatto ritorno a distanza di una settimana e soprattutto nell’aver messo in contatto lo zio latitante con uno degli organizzatori del traffico proprio nel momento in cui l’affare illecito era in corso.

Si soggiunge che nell’interrogatorio il ricorrente ha ammesso i rapporti in questione, ha chiarito che il codice alfanumerico glie lo aveva consegnato lo zio per il caso che avesse dovuto cambiare numero ed ha soggiunto di aver ad un certo punto iniziato a dubitare "di tutte queste cose" e di aver cercato quindi di tenersene lontano.

Dunque, conclude la Corte, è lo stesso G. a sospettare dell’illiceità dei rapporti tra lo zio latitante e gli altri personaggi. Eppure egli non ha esitato a fare da ponte tra i due per favorirne i contatti. Tale incontestata condotta, a prescindere dalle giustificazioni offerte e cioè quella di favorire lo zio latitante e aiutarlo a superare le difficoltà del momento, costituisce innegabile ostacolo al riconoscimento del beneficio richiesto poichè è causalmente collegata all’attività criminosa oggetto dell’imputazione. Tale comportamento nel corso della fase organizzativa dell’azione delittuosa e soprattutto le sue successive dichiarazioni, che danno conto della consapevolezza dell’illiceità dei rapporti tra lo zio ad altri soggetti, hanno contribuito in misura rilevante a giustificarne la carcerazione. In conclusione, si è in presenza di condotta gravemente colposa causalmente rilevante ai fini della adozione della misura cautelare e quindi idonea a giustificare la reiezione della domanda.

L’argomentazione sopra esposta appare conforme ai più consolidati principi, espone analiticamente significative e documentate circostanze che mostrano una colpa macroscopicamente grave ostativa all’accoglimento della domanda; senza che possano cogliersi incoerenze di carattere logico. Ne discende che il gravame è inammissibile per la sua manifesta infondatezza. Segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma di Euro 1000 a titolo di sanzione pecuniaria.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di Euro 1.000.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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