Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 11-10-2011) 07-12-2011, n. 45684

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

G.L.F. è stato condannato dal tribunale di Caltanissetta alla pena di giustizia per il reato di cui all’art. 81 cpv c.p., D.L. n. 463 del 1983, art. 2, comma 1 bis per avere, al fine di sottrarsi al versamento delle somme dovute all’Inps a titolo previdenziale ed assistenziale, omesso di versare le ritenute operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti relativi ai mesi di gennaio e febbraio 2004 per la somma complessiva di Euro 426.

La corte di appello di Caltanissetta, con la sentenza in epigrafe, confermava la decisione di primo grado.

Ricorre in questa sede dell’imputato deducendo:

1) violazione di legge nonchè la mancanza, contraddittorietà e l’illogicità della motivazione eccependo che nel ricostruire la condotta omissiva nella qualità di amministratore unico della Democal S.r.l., i giudici di merito non avrebbero considerato che l’imputato, in relazione ai periodi in contestazione, non aveva avuto nè la possibilità di pagare le retribuzioni nè tantomeno quella di versare all’Inps le relative ritenute previdenziali. Impropriamente la corte di merito avrebbe inoltre valorizzato l’esistenza di tre buste paga, effettivamente trasmesse dal datore di lavoro all’INPS, in quanto non sottoscritte dai lavoratori dipendenti per quietanza dell’avvenuto pagamento. Si fa rilevare al riguardo che illogicamente la corte di merito aveva disatteso quest’ultimo rilievo affermando che in realtà i lavoratori dell’azienda erano sei e che nonostante il comprovato dissesto economico determinato dalla circostanza che la società non operava già da qualche mese perchè da tempo non riceveva commesse di lavoro, la pura e semplice cessazione dell’attività della società non poteva valere quale prova della mancata retribuzione dei lavoratori. Infine erroneamente la corte di merito non aveva considerato la documentazione comprovante le vessazioni criminali cui la società era stata sottoposta tanto da dover essere ammessa a beneficiare del fondo di solidarietà per le vittime di richieste estorsive e dell’usura.

2) violazione di legge con riferimento all’art. 54 c.p. non essendosi tenuto conto che l’omesso versamento era frutto delle continue vessazioni di organizzazioni criminali di stampo mafioso in danno dell’imputato.

3) violazione di legge dovendosi ritenere il reato prescritto in quanto consumato alla data del 16 marzo 2004, mese successivo a quello cui si riferiscono i contributi, ed essendo stato il decreto di citazione emesso nel maggio 2009.

Motivi della decisione

Va anzitutto premesso che il reato non è prescritto.

Pur dovendosi concordare con quanto sostenuto dal ricorrente circa la data del 16 marzo 2004, quale termine iniziale da cui operare il calcolo della prescrizione e circa l’applicabilità nella specie del termine di tre anni prevista dall’art. 157 cod. pen. nella formulazione antecedente alle modifiche apportate dalla L. n. 251 del 2005, in quanto senza dubbio più favorevole per l’imputato, occorre rilevare che la doglianza del ricorrente appare comunque infondata.

Nel computo vanno, infatti, considerati anche i tre mesi di sospensione previsti dal D.L. n. 463 del 1983, art. 2, in quanto, come si rileva dalla sentenza di primo grado, in data 3 gennaio 2006 era stata effettuata la notifica della diffida da parte dell’Inps ad adempiere.

Recando il decreto di citazione la data del 6 maggio 2009, il reato non era quindi prescritto all’atto dell’emissione del decreto medesimo nè lo è in data odierna in quanto, tenuto conto anche dei periodi di sospensione della prescrizione, quest’ultima matura in realtà non prima della data del 15/11/2011.

Per il resto il ricorso è invece fondato.

Contraddittoriamente ed illogicamente, infatti, la sentenza finisce per valorizzare una serie di elementi di segno contrario per dedurre l’avvenuto pagamento delle retribuzioni, elemento imprescindibile questo per la configurazione del reato. In motivazione si riconoscono, infatti, sia il conclamato stato di dissesto della società, sia l’assenza di quietanza su tre buste paga, sia il mancato rinvenimento di altre buste paga, sia, infine, l’accertamento di attività estorsiva in danno dell’imputato, ancorchè in connessione di altra attività di quest’ultimo nel diverso settore dei rifiuti, senza peraltro indicare alcun elemento oggettivo di segno opposto.

La sentenza va, pertanto, annullata sul punto con rinvio per consentire un nuovo esame che tenga conto dei rilievi formulati.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Annulla la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Caltanissetta per nuovo esame.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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