Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 11-10-2011) 07-12-2011, n. 45682

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

M.E. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza in epigrafe con la quale la corte di appello di Napoli aveva confermato la decisione del tribunale della medesima città che lo aveva condannato alla pena di giustizia per il reato di cui alla L. n. 401 del 1989, art. 4, comma 4 bis perchè, quale titolare di esercizio commerciale Internet point, essendo privo delle prescritte licenze ad autorizzazioni, svolgeva l’attività organizzata al fine di accettare e raccogliere scommesse anche per via telematica.

Deduce in questa sede il ricorrente la violazione della L. n. 401 del 1989, art. 4, comma 4 bis nonchè la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione assumendo che la normativa nazionale che inibisce l’esercizio di attività di raccolta, accettazione, registrazione e trasmissione delle proposte di scommesse in assenza di autorizzazione di polizia, costituisce una restrizione alla lite libertà di stabilimento nonchè alla libera prestazione dei servizi nell’ambito UE in violazione degli artt. 43 e 49 del Trattato CEE.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile.

Come correttamente rilevato dai giudici di appello, questa Corte ha più volte di recente ribadito che integra il reato di esercizio abusivo di attività organizzata per l’accettazione e la raccolta di scommesse sportive per conto di un "bookmaker" straniero anche la condotta del soggetto il quale, pur non gestendo direttamente l’attività, collabori tuttavia ad essa, fornendo servizi di vario genere, ad esempio, rappresentando in Italia il "bookmaker" straniero, o anche solo fornendo indicazioni sulle quote, sui moduli necessari per trasmettere le scommesse all’estero, sulle modalità per aprire conti correnti all’estero (Sez. 4, n. 20375 del 08/04/2010 Rv. 247542; Sez. 3, n. 6274 del 10/11/2009 Rv. 246179; ecc.).

Nell’affermare il principio, questa Sezione, nella sentenza da ultimo indicata, ha tenuto ad operare alcune puntualizzazioni che in questa sede vale la pena richiamare. Ha ricordato, infatti, come sia stata proprio questa Sezione (Cass., sez. 3A, 10 novembre 2009 – 25 gennaio 2010, nn. 2993 e 2994) ad investire la Corte di Giustizia circa l’estensione delle libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi, come fissati negli artt. 43 e 49 del Trattato CE. Ciò è avvenuto, tuttavia, in relazione ad una specifica questione essendo necessario chiarire, in quei processi, se quelle libertà possano trovare limitazione in un sistema nazionale fondato sul rilascio di un numero limitato di concessioni e di successive licenze di pubblica sicurezza che preveda, tra l’altro: a) l’esistenza di un indirizzo generale di tutela dei titolari di concessioni rilasciate in epoca anteriore ed al termine di una gara che aveva illegittimamente escluso una parte degli operatori; b) la presenza di disposizioni che garantiscono di fatto il mantenimento delle posizioni commerciali acquisite (come ad esempio il divieto per i nuovi concessionari di collocare i loro sportelli al di sotto di una determinata distanza da quelli già esistenti); c) la previsione di ipotesi di decadenza della concessione, e di incameramento di cauzioni di rilevante importo, tra le quali l’ipotesi che il concessionario gestisca direttamente o indirettamente attività transfrontaliere di gioco assimilabili a quelle oggetto della concessione.

Si è dunque precisato che la questione riguardava quei soggetti che – nella qualità di intermediari di società estera la quale aveva scelto consapevolmente di non "stabilirsi" in Italia con proprie sedi, omettendo di partecipare alle gare ad evidenza pubblica bandite in attuazione del cd. "decreto Bersani" (D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convcrtito dalla L. 4 agosto 2006, n. 248) in ragione dell’assunta non compatibilità comunitaria del sistema di assegnazione delle concessioni – gestivano punti di raccolta di scommesse su eventi sportivi, senza essere in possesso della licenza di pubblica sicurezza prevista dal R.D. n. 733 del 1938, art. 88 e senza l’autorizzazione dell’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato (AAMS). In quel caso all’esame della Corte il denunciato (ed ipotizzato) ostacolo alla libertà di stabilimento era costituito dal regime concessorio nella sua prima concreta applicazione dopo la riforma del menzionato "decreto Bersani". Nella stessa decisione si è tuttavia precisato anche che, al di fuori del caso specifico, l’asserito contrasto della normativa nazionale con quella comunitaria deve formare oggetto di specifica verifica in quanto, alla luce dei principi più volte enunciati dalla giurisprudenza comunitaria (da ultimo, Sezione Grande, Sentenza 8 settembre 2009, C-42/2007), non è contrastante in linea di principio con la libertà di stabilimento una normativa interna che conformi l’attività di raccolta della scommesse secondo una disciplina di controllo per finalità di ordine pubblico e che spetta al giudice nazionale verificare se la normativa interna, alla luce delle sue concrete modalità di applicazione, risponda realmente ad obiettivi tali da giustificarla ed, inoltre, se le restrizioni che essa impone siano proporzionate rispetto agli obiettivi o invece ridondino in illegittima restrizione della libertà di stabilimento. Nella specie il ricorso si appalesa invece del tutto generico.

Il ricorrente si limita infatti a denunciare il mancato esame delle questioni poste nei motivi di appello ed il contrasto della normativa interna con i principi comunitari senza tuttavia indicare nè le questioni trascurate dai giudici di appello nè le ragioni dell’asserito contrasto in relazione alla fattispecie in esame.

Per contro si deve ricordare come, proprio nella decisione di questa Sezione in precedenza citata, si è precisato che in generale colui che raccoglie scommesse per terzi, in assenza dell’autorizzazione ministeriale prevista dal R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 88, anche se ciò avvenga in via telefonica o telematica, opera di fatto da intermediario, in quanto mette a disposizione il proprio conto scommesse mediante accesso ad internet, commettendo così il reato sanzionato dall’art. 4 cit.. Infatti il decreto del Ministro delle finanze 15 febbraio 2001, n. 156, avente ad oggetto la raccolta telefonica o telematica della giocate relative a scommesse, giochi e concorsi pronostici, continua a richiedere l’esistenza di un rapporto diretto tra il concessionario e lo scommettitore; mentre il decreto del direttore generale dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato in data 31 maggio 2002 (che disciplina l’accettazione telefonica e telematica delle scommesse sportive), consentendo l’attivazione da parte del cliente di un conto scommesse personale presso il concessionario, esige che tale conto sia da questi utilizzato a titolo personale e non diventi, oggetto di transazioni da parte di soggetti diversi. Pertanto, in presenza di un’attività che assuma la forma descritta, quando manchino la concessione, l’autorizzazione o la licenza previste dal R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 88, L’attività organizzata al fine di accettare o raccogliere scommesse di qualsiasi genere integra dunque, il reato di cui alla L. n. 401 del 1989, art. 4, anche nel caso in cui il soggetto agente operi mediante comunicazioni telematiche avendo ottenuto per l’uso di tali mezzi l’apposita autorizzazione prescritta dal comma 4 ter della norma citata nel rispetto del D.Lgs. n. 259 del 2003, artt. 3, 4 e 25 (codice delle comunicazioni).

A mente dell’art. 616 c.p.p., alla declaratoria di inammissibilità – determinata da profili di colpa emergenti dal ricorso – consegue l’onere delle spese del procedimento, nonchè del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, fissata in via equitativa, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma di Euro 1000.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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