T.A.R. Campania Napoli Sez. II, Sent., 11-01-2012, n. 53

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del 3 dicembre 2008 n. 20808 la 2^ Sezione del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania su ricorso proposto da D.M.N. annullava le deliberazioni della Giunta Comunale di Castello di Cisterna nn. 7 del 10 gennaio 2006 e n. 50 del 28 marzo 2006, la prima recante l’approvazione dello schema di convenzione relativo al comparto edilizio zona B2.1C, la seconda l’approvazione del progetto per la realizzazione di attrezzature sportive in zona S2.1.5; oggetto di impugnazione e di successivo annullamento ad opera della medesima sentenza erano anche tre permessi a costruire, segnatamente il n. 94/06 rilasciato ai signori D.M.G. e C. per la realizzazione di un complesso edilizio nel comparto B2.1C subcomparto C1, il n. 89/06 rilasciato a D.M.E., Gi., G., C., M.V., G. per la realizzazione di un complesso edilizio nel comparto B2.1C subcomparto C2 ed il permesso di costruire rilasciato a St.Ca. per la realizzazione di un edificio.

La decisione, nel rilevare che gli atti impugnati avevano ad oggetto interventi che interessavano diverse zone del Piano Regolatore Generale, evidenziava come si trattasse del comparto edificatorio B2.1.C, con destinazione residenziale, a sua volta diviso in tre subcomparti (B2.1.C.C1; B2.1.C.C2; B2.1.C.C3), e di un’area destinata ad attrezzature di progetto di livello comunale (S2), in particolare volta ad ospitare impianti sportivi (S2.1.5).

La prima ragione di illegittimità che aveva condotto all’annullamento aveva avuto riguardo alla violazione delle prescrizioni di piano, in quanto con gli interventi assentiti a mezzo degli atti impugnati risultava violato il principio di autosufficienza dei comparti, dal momento che mancava un asse viario destinato a servire i realizzandi insediamenti residenziali del comparto edificatorio, esigenza che era stata soddisfatta mediante un’altra violazione delle previsioni urbanistiche generali, essendone stata prevista la realizzazione su una area contigua, destinata ad attrezzature sportive (zona S2.1.5), in cui, tra l’altro, erano consentiti unicamente interventi ad iniziativa pubblica.

Altra ragione di accoglimento dell’impugnazione era costituita dalla violazione dell’art. 35, ultimo comma delle N.T.A. secondo cui nei comparti, in caso di superamento del limite di 2.000 mq per gli spazi liberi edificabili, non sono ammessi interventi parziali, ma solo previa approvazione di un progetto unitario d’area; nel caso di specie, il ricorrente D.M.N., proprietario di fondi ricadenti in parte in zona edificabile B.2.1 C, subcomparto C2 e in parte in zona S.2.1.5, si era a giusta ragione, a giudizio del Tribunale, lamentato di essere stato del tutto pretermesso dall’iniziativa oggetto della res litigiosa; ne era conseguito, a giudizio del Collegio, che la proposta approvata dalla Giunta Comunale di Castello di Cisterna con le deliberazioni gravate non poteva considerarsi unitaria, "in quanto proveniente solo da una parte dei proprietari dei suoli ricadenti nel suddetto ambito territoriale"; inoltre, la scelta progettuale unitaria, "capace di proiettare i suoi effetti sull’intera zona"…, "…in vista dell’esigenza pubblicistica di assicurare al singolo ambito territoriale un assetto urbanistico e, dunque, uno sviluppo edificatorio unitario", era mancata anche perché secondo il Tribunale, il Comune, nell’approvare lo schema di convenzione non aveva interloquito con i proprietari dissenzienti, nè compiuto qualche accertamento sulle ragioni del mancato raggiungimento di un’intesa.

Infine, il Collegio rilevava l’esistenza di un’ipotesi di sviamento di potere, ove, al fine di favorire privati cittadini nella realizzazione degli interventi edilizi nel comparto edificatorio, il Comune di Castello di Cisterna li aveva autorizzati a realizzare una rete stradale su un’area destinata ad ospitare impianti sportivi.

La sentenza costituiva oggetto di appello, impugnazione decisa con sentenza del 21 giugno 2010 n. 3879 della Quarta Sezione del Consiglio di Stato che respingeva ogni mezzo di gravame proposto. Nel confermare integralmente la sentenza impugnata e nel rilevare che l’autorizzazione alla realizzazione di un asse viario sulla zona S.2.1.5. a servizio del comparto edificatorio costituiva dimostrazione dell’inidoneità del progetto a soddisfare esigenze di assetto unitario d’area, il Consiglio di Stato evidenziava che "la Sezione è dell’avviso che il regime urbanistico da applicare alla fattispecie vada individuato sulla base non di astratti richiami alle nozioni di "comparto" e di "lotto", bensì – come correttamente fatto dal primo giudice – dell’esame delle concrete statuizioni delle N.T.A. Si vuol dire, in altri termini, che la nozione di "progetto unitario" non è detto comporti sempre la necessità di una sua estensione alla totalità dei proprietari inseriti nella zona (e, quindi, non è astrattamente escluso che in talune ipotesi possa essere soddisfatta nei termini sostenuti dagli odierno appellanti), ma che certamente nel caso di specie essa individuava la necessità di una progettazione esaustiva e completa, che non pretermettesse alcuna delle porzioni dell’area interessata.

Ciò si evince, anzi tutto, dalla già richiamata precisazione dell’art. 35 delle N.T.A. secondo cui la progettazione unitaria per gli "spazi liberi edificabili" di superficie superiore a 2000 mq avrebbe dovuto essere predisposta "indipendentemente dalle suddivisioni di proprietà": inciso che altro non poteva voler dire che i predetti "spazi liberi edificabili" dovevano essere contemplati dal progetto nella loro totalità, quand’anche ripartiti fra più proprietari diversi.

Tale conclusione risulta suffragata dalla semplice lettura degli stessi atti impugnati, nei quali, senza porsi troppi problemi definitori e terminologici, l’Amministrazione definiva tranquillamente "comparto" l’area interessata dal progetto, con ciò mostrando di aver pienamente compreso che la ratio delle prescrizioni urbanistiche in oggetto era proprio quella di imporre sull’area omogenea B2.C1 (ma anche, per quanto qui interessa, sulla zona S2.C1) una disciplina unitaria, sostanzialmente assimilabile a quella dei comparti edificatori.

Ne discende che condivisibilmente il giudice di primo grado ha ritenuto violata la disciplina da ultimo richiamata, evidenziando che a legittimare gli atti posti in essere dal Comune non poteva essere il presunto dissenso di D.M. (dissenso, peraltro, negato dal ricorrente, il quale assumeva invece di essere rimasto escluso da un’operazione alla cui partecipazione sarebbe stato in astratto interessato), in quanto gli strumenti per superare tale dissenso andavano correttamente individuati proprio nella normativa in tema di comparti (e, segnatamente, nell’art. 23 della L. 17 agosto 1942, nr. 1150)".

Con atto di diffida e messa in mora, notificato in data 18 aprile 2011, D.M.N. invitava il Comune di Castello di Cisterna a dare esecuzione al decisum giurisdizionale, in particolare ad assumere le necessarie determinazioni per ripristinare il suo ius ad aedificandum, per rimediare quindi alla patita sottrazione di volumetria edificatoria e infine per scongiurare l’interclusione dei suoi fondi, sia per quanto concerneva il comparto B2.1C.C2, sia la zona S2.1.5.

L’invito veniva riscontrato dall’Amministrazione con nota del 25 maggio 2011, in cui si rappresentava che alla sentenza era stata esecuzione con il rilascio di tre permessi di costruire, segnatamente il n. 1/09, n.2/09 e 3/09, affissi all’Albo Pretorio rispettivamente in data 9 gennaio 2009, 16 gennaio 2009 e 23 gennaio 2009.

Con atto notificato in data 23 luglio 2001 e depositato il 28 luglio 2011 D.M.N. ha proposto ricorso per ottemperanza, chiedendo anche che fosse dichiarata la nullità dei tre permessi di costruire richiamati dal Comune di Castello di Cisterna nella nota di riscontro alla diffida ad adempiere.

Il ricorrente ha denunciato la palese violazione del giudicato, essendo egli stato ancora una volta escluso dalle successive iniziative che avevano condotto al rilascio dei nuovi provvedimenti edilizi, da ritenersi tra l’altro illegittimi poiché adottati a prescindere da un previo progetto unitario d’area.

Si è costituito in giudizio il Comune di Castello di Cisterna, sollevando eccezioni di inammissibilità del ricorso per ottemperanza. In particolare, è stata rilevata la mancata notificazione del gravame a E.D.M., G.D.M., V.M. e R.D.M., parti evocate nel giudizio di primo e secondo grado.

E’ stata anche eccepita la tardiva impugnazione dei permessi a costruire n. 1,2 e 3 del 2009, dal momento che il ricorrente era già a conoscenza della loro esistenza, essendosi la relativa attività edificatoria esaurita già nel periodo primavera/estate del 2011.

Terza ragione di inammissibilità è stata evidenziata nell’impugnazione "al buio" dei tre permessi di costruire, con cui, tra l’altro, il Comune ha inteso unicamente emendare vizi formali e procedurali dei precedenti titoli edilizi annullati in fase di cognizione.

Nel merito, l’Amministrazione, nel rilevare che la sentenza d’appello aveva ritenuto, a differenza del giudice di prime cure, che non fosse necessario il consenso unanime di tutti i proprietari del comparto interessato dall’intervento, ha evidenziato che le potenzialità edificatorie del ricorrente erano state valutate e che la strada di accesso era stata eliminata dal progetto.

Si è costituito in giudizio D.M.G., titolare del permesso di costruire n. 2 del 9 gennaio 2009 rilasciato dal Comune di Castello di Cisterna a seguito dell’esecuzione del giudicato. Il controinteressato ha rilevato che il predetto titolo edilizio gli ha consentito il completamento dell’intervento edificatorio nel subcomparto C1, previa eliminazione della viabilità provvisoria e salvaguardia della capacità edificatoria del lotto del ricorrente; in particolare, il Comune, nel rilasciare il nuovo titolo edilizio, avrebbe fatto riferimento alla possibilità di intervento diretto.

Una prima eccezione di inammissibilità ha poi riguardato l’omessa notificazione del ricorso per ottemperanza a soggetti acquirenti di fabbricati realizzati dalla società S & M Costruction General s.r.l. in virtù del permesso di costruire n. 1/09, titolo interessante direttamente il subcomparto C2, mentre la sue opere riguardano il diverso subcomparto C1; allo stesso modo, non sarebbero stati impugnati i permessi di costruire n. 56/2008 e n. 16/09 rilasciati alla S & M Costruction General s.r.l. per la realizzazione, sempre nel subcomparto C2, di un fabbricato successivamente venduto a terzi. Tanto è stato evidenziato sia come fatto dimostrativo di intervenuta acquiescenza, sia come ragione di tardiva impugnazione di provvedimenti che avrebbero dovuto piuttosto essere contestati entro gli ordinari termini di impugnazione.

Altra eccezione di inammissibilità ha avuto riguardo alla carenza di interesse al giudizio di ottemperanza, avendo l’amministrazione soddisfatto l’interesse del ricorrente azionato in fase di cognizione e volto alla salvaguardia della volumetria del suo lotto e all’accesso alla sua proprietà.

Nel merito, il controinteressato ha rilevato che la sue opere hanno avuto riguardo al subcomparto C1, del tutto autonomo ed sufficiente a se stesso, mentre i fondi del ricorrente si trovano del distinto subcomparto C2; ne discende che nessun pregiudizio per la posizione del D.M.N. poteva conseguire dal rilascio del nuovo titolo edilizio a D.M.G.. Inoltre, la problematica afferente alla viabilità provvisoria era stata risolta per il subcomparto C2, attraverso l’esclusivo miglioramento della strada originaria di accesso; quanto al rispetto della progettazione unitaria, la stessa sarebbe stata rispettata per il subcomparto C1, in cui insistono i fondi e le opere del controinteressato.

Si è costituita in giudizio D.M.C., titolare del permesso di costruire n. 2 del 16 gennaio 2009, sollevando le medesime eccezioni di inammissibilità proposte dal Comune di Castello di Cisterna e dal controinteressato D.M.G..

Si è costituito in giudizio l’altro controinteressato S.C., titolare del permesso di costruire n. 3 del 2009, anche egli eccependo la tardiva impugnazione dei permessi di costruire n. 1, 2 e 3 del 2009, di cui il ricorrente aveva avuto conoscenza certa già dall’epoca di ultimazione dei lavori; altre eccezioni di inammissibilità riguardavano la proposizione di un ricorso "al buio", ossia senza che il ricorrente avesse avuto conoscenza dei provvedimenti edilizi impugnati, nonché la carenza di interesse, dal momento che il nuovo progetto presentato aveva distinto i due subcomparti, rendendo inutile il ricorso ad una progettazione unitaria d’area.

Alla camera di consiglio del 20 ottobre 2011, in vista della quale parte ricorrente e il Comune di Castello di Cisterna hanno depositato memorie conclusionali e di replica, la causa è stata trattenuta per la decisione.

Ritiene il Collegio di esaminare preliminarmente le eccezioni di inammissibilità sollevate dal Comune di Castello di Cisterna e dai controinteressati.

Relativamente alla dedotta inammissibilità per mancata notificazione del ricorso per ottemperanza agli acquirenti di immobili siti in fabbricati realizzati dalla Costruction General s.r.l., va rilevato che l’art. 114, primo comma, primo periodo del c.p.a. prevede che "l’azione (di ottemperanza) si propone, anche senza previa diffida, con ricorso notificato alla pubblica amministrazione e a tutte le altre parti del giudizio definito dalla sentenza o dal lodo della cui ottemperanza si tratta".

La norma, pertanto, indica le parti necessarie del giudizio di ottemperanza, inserendo nel litisconsorzio necessario la pubblica amministrazione – da intendersi come autorità emanante nel giudizio di tipo impugnatorio – e tutte le altre parti del giudizio definito con la sentenza da eseguire.

La nozione di parte accolta nel nuovo codice di rito è innanzitutto quella di parte in senso sostanziale, dovendosi riferire lo spettro di indagine sul litisconsorzio necessario ai titolari del rapporto amministrativo oggetto del giudizio di cognizione; tanto si desume dall’art. 27, secondo comma del c.p.a., ove l’acquisizione della qualità di parte in senso processuale è fondata proprio sul presupposto della (con)titolarità della res controversa, che impone al giudice l’integrazione del contraddittorio.

Quanto all’identificazione dei soggetti di tale rapporto sostanziale, l’art. 27, primo comma del c.p.a. si riferisce – oltre che al ricorrente – anche all’amministrazione e ad eventuali controinteressati.

In questa logica di simmetria successiva, ovviamente l’identificazione dei contraddittori rimessa all’iniziativa del proponente l’azione giurisdizionale – sia di cognizione che di esecuzione – non costituisce vincolo per il giudice, al quale solo spetta di stabilire chi debba necessariamente (o anche opportunamente) partecipare al giudizio.

Ne discende che nessuna rilevanza può assumere ai fini dell’integrità del contraddittorio nel rito di ottemperanza che il giudizio di cognizione fosse stato esteso dal ricorrente a soggetti che poi non sarebbero stati evocati nel giudizio di esecuzione.

Resta, invece, compito specifico del giudice investito della controversia di esecuzione, verificare se i soggetti acquirenti di immobili dalla Costruction General s.r.l. assumano in sede di ottemperanza la qualità di parte necessaria. Al quesito deve essere data risposta negativa, atteso il chiaro dettato della norma di cui all’art. 114, primo comma, primo periodo del c.p.a. che limita il litisconsorzio di ottemperanza alle sole parti del giudizio di primo grado, da intendersi come originari titolari del rapporto sostanziale controverso; in questo senso, la legittimazione passiva va circoscritta a coloro che avrebbero potuto ricevere un pregiudizio diretto ed immediato dall’eventuale accoglimento della domanda giudiziale di annullamento e quindi ai titolari dei permessi di costruire oggetto di annullamento o comunque i beneficiari immediati delle impugnate deliberazioni di Giunta anche queste cassate dalla sentenza resa all’esito del giudizio di cognizione.

Ai subacquirenti di immobili, ancorchè già noti al ricorrente, non spettava affatto la qualità di parte processuale nel giudizio di cognizione – e quindi nel successivo giudizio di esecuzione – ma, più limitatamente, di successore a titolo particolare per atto tra vivi nel rapporto controverso, per effetto del rinvio operato dall’art. 39 del c.p.a. alle norme del codice di procedura civile ed in particolare all’art.111, norma secondo la quale in simili evenienze il processo prosegue tra le parti originarie, salvo intervento volontario o iussu iudicis.

Nel presente giudizio di esecuzione resta piuttosto da chiedersi se la posizione di costoro, indubbiamente rilevante in punto di fatto, possa ricadere invece in quella di controinteressato sopravvenuto, seguendo l’evoluzione soggettiva del rapporto processuale.

La figura del controinteressato sopravvenuto nel giudizio di ottemperanza il c.p.a. mostra di individuarla nei soli casi di provvedimenti adottati dall’amministrazione in esecuzione del giudicato, i quali abbiano determinato vantaggi o benefici a terzi che non siano ovviamente già stati parti nel giudizio di cognizione sfociato nella sentenza da eseguire. Nel caso di contestazione di tali provvedimenti per vizio di violazione o elusione del giudicato, situazione la cui rilevazione è affidata alla competenza funzionale del giudice dell’ottemperanza, è infatti possibile che ad essere coinvolti siano anche i beneficiari delle nuove statuizioni provvedimentali oggetto di riedizione del potere, cui necessariamente spetta il ruolo di parte necessaria nel giudizio di esecuzione.

Ebbene, nel presente giudizio tali soggetti devono essere identificati nei soli titolari dei permessi di costruire n. 1,2 e 3 del 2009, provvedimenti che costituiscono oggetto ulteriore del thema decidendum rispetto alla sentenza da eseguire e che potrebbero ricevere diretto ed immediato pregiudizio dall’accoglimento dell’azione di esecuzione.

Costoro si identificano nella società S & M Costruction General s.r.l., in D.M.G., D.M.C. e S.C., che, in quanto beneficiari diretti ed immediati dei provvedimenti edilizi abilitativi oggetto di contestazione, non solo sono stati regolarmente evocati in giudizio, ma si sono anche costituiti sostenendo le rispettive difese.

Altra eccezione ha riguardato la tardività dell’impugnazione dei permessi di costruire n. 1,2 e 3 del gennaio 2009, i cui effetti sarebbero già noti al ricorrente per essere avvenuta l’ultimazione dei lavori ben oltre sessanta giorni prima della proposizione del ricorso notificato in data 23 luglio 2011.

L’eccezione è priva di pregio.

Relativamente all’azione di nullità, l’art. 31, quarto comma c.p.a. per le ipotesi di nullità costituite da fattispecie di violazione o elusione del giudicato, non assoggetta l’iniziativa processuale ad alcun termine decadenziale, specificamente quello di 180 giorni prescritto per le altre ipotesi di nullità del provvedimento; anzi, la norma fa espresso rinvio alle disposizioni del Titolo I, Libro IV che disciplinano il giudizio di ottemperanza; tale disciplina, nel prevedere all’art. 114, quarto comma lettera b) del c.p.a. che il giudice dell’ottemperanza dichiara nulli gli eventuali atti in violazione o elusione del giudicato, pone quale unico limite temporale all’esercizio dell’azione per ottemperanza il termine di prescrizione di 10 anni dal passaggio in giudicato della sentenza.

Va al riguardo rilevato che la normativa in tema di nullità, sia processuale che sostanziale (art. 21 septies della L. 7 agosto 1990, n. 241 e s.m.i.), tende ad esaltare tale più grave patologia rispetto ai tradizionali vizi di legittimità che determinano l’annullamento del provvedimento; detta maggiore severità si risolve, ad immagine della corrispondente disciplina civilistica, nell’inidoneità degli atti nulli a produrre effetti giuridici dotati di un certo grado di stabilità, nonché in un regime processuale che consente al giudice dell’ottemperanza di prescindere in alcuni casi dall’iniziativa di parte, quest’ultima, a sua volta, non più astretta da un incisivo onere decadenziale di sollecita impugnazione.

L’intendimento del legislatore del codice è stato quello, del tutto condivisibile, di far refluire nel processo di esecuzione le questioni di nullità per violazione o elusione del giudicato, assimilando tali comportamenti provvedimentali a vere e proprie inadempienze, sebbene le stesse siano fornite di autonoma qualificazione in termini di patologia. Tale attrazione, sotto il profilo processuale, consente di ritenere acquisita la scelta di fondo del legislatore di dare maggiore rilevanza alla tutela del privato in fase di esecuzione, ascrivibile, quanto all’azione in sé considerata, alla sussistenza di un diritto soggettivo, rispetto alle consuete esigenze di certezza e di stabilità dei provvedimenti, ascrivibili alla previsione di un breve termine decadenziale per la denuncia in sede giurisdizionale di vizi di legittimità.

Ne discende che per la denuncia o anche per la rilevazione d’ufficio di vizi del provvedimento per elusione o violazione del giudicato il termine è unicamente quello prescrizionale di dieci anni stabilito per l’esecuzione della sentenza da eseguire; e che si tratti di un termine comune sia per la proposizione dell’azione di ottemperanza tout court, sia per la denuncia di vizi di violazione o elusione del giudicato, è facilmente comprensibile in base al fatto che l’adozione di provvedimenti in violazione o elusione del giudicato costituisce in sé un inadempimento, sebbene qualificato dal legislatore con riferimento alla mancanza del risultato, ossia puntuale esecuzione del dictum giudizale, piuttosto che per la sua effettiva natura di vizio della funzione, segnatamente di sviamento di potere.

Ne consegue che, avendo il ricorrente espressamente denunciato il solo vizio di violazione o elusione del giudicato attraverso i tre permessi di costruire de quibus, l’unico strumento processuale per far rilevare tale grave patologia era quello della denuncia della nullità in sede di esecuzione, il cui unico termine è costituito da quello prescrizionale di dieci anniper l’esercizio dell’actio iudicati.

Quanto all’eccezione di avvenuta proposizione di un ricorso "al buio", la stessa deve essere respinta, dal momento che il ricorrente ha contestato che l’adozione in sé dei tre nuovi permessi a costruire, senza che egli fosse mai stato coinvolto in un progetto unitario d’area, costituisce violazione del dictum giudiziale; riguardo alle altre censure esposte dal ricorrente, va aggiunto che la cognizione del giudice dell’ottemperanza, come giudice del merito amministrativo e segnatamente della puntuale esecuzione della sentenza da eseguire, prescinde da eventuali oneri decadenziali in capo al ricorrente – non trattandosi di giurisdizione generale di legittimità – potendo egli fondare la propria decisione sia su argomentazioni rilevate dalle parti nel corso del giudizio, sia d’ufficio.

Relativamente all’eccezione di inammissibilità per carenza di interesse, in quanto con i provvedimenti successivamente adottati il Comune di Castello di Cisterna avrebbe soddisfatto l’utilità per cui era stata proposta azione di impugnazione, segnatamente il recupero della potenzialità edificatoria del fondo del ricorrente, evitandone altresì l’interclusione, rileva il Collegio che oggetto di doglianza, quale mancato adempimento alle prescrizioni discendenti dal giudicato di accoglimento, è stato il mancato coinvolgimento del D.M.N. nel progetto unitario d’area necessario per la realizzazione di interventi nel comparto edificatorio.

Ne discende, limitatamente alla questione di inammissibilità dell’interposta azione, che tale condizione è pienamente idonea a configurare l’esistenza di un interesse processuale, non mancando il Collegio di rilevare come nel giudizio di ottemperanza il concreto soddisfacimento della pretesa azionata tenda a sovrapporre questioni di infondatezza con soluzioni in rito in ordine all’esistenza stessa di un interesse ad una pronuncia di merito.

Passando al merito della controversia, occorre preliminarmente individuare l’ambito di efficacia conformativa del dictum giudiziale, costituito sia dalla sentenza di primo grado che da quella, confermativa, resa in grado di appello.

Rileva il Collegio che siffatto accertamento si rivela non sempre di agevole esperimento, soprattutto nelle ipotesi in cui l’effetto ripristinatorio costituito dalla riedizione del potere censurato sia collegato all’esercizio di una potestà discrezionale.

Confine certo del potere giudiziale di identificazione del parametro di avvenuta ottemperanza e, in sostanza, limite esterno della giurisdizione di merito del giudice dell’esecuzione è la verifica dell’eventuale reiterazione del medesimo errore in fatto o in diritto che ha dato origine al giudicato di cattivo esercizio del potere.

Nel caso di specie, nell’annullare i provvedimenti impugnati il Tribunale Amministrativo Regionale e nel confermare il Consiglio di Stato la sentenza di prime cure, oltre alla violazione del principio di autosufficienza dei comparti, è stata evidenziata la mancata osservanza del disposto di cui all’art. 35, ultimo comma delle N.T.A. secondo cui, in caso di superamento del limite di 2.000 mq per gli spazi liberi edificabili, non sono ammessi interventi parziali, ma solo previa approvazione di un progetto unitario d’area; il ricorrente D.M.N., aveva fondatamente dedotto la sua totale pretermissione dall’iniziativa edificatoria dei controinteressati.

Va poi dissolto un dubbio interpretativo circa la portata conformativa della sentenza di appello, aspetto su cui i controinteressati hanno eccepito l’avvenuta puntuale ottemperanza da parte del Comune di Castello di Cisterna; come già illustrato vi è un passaggio della sentenza del Consiglio di Stato in cui è evidenziato che "la Sezione è dell’avviso che il regime urbanistico da applicare alla fattispecie vada individuato sulla base non di astratti richiami alle nozioni di "comparto" e di "lotto", bensì – come correttamente fatto dal primo giudice – dell’esame delle concrete statuizioni delle N.T.A. Si vuol dire, in altri termini, che la nozione di "progetto unitario" non è detto comporti sempre la necessità di una sua estensione alla totalità dei proprietari inseriti nella zona (e, quindi, non è astrattamente escluso che in talune ipotesi possa essere soddisfatta nei termini sostenuti dagli odierno appellanti), ma che certamente nel caso di specie essa individuava la necessità di una progettazione esaustiva e completa, che non pretermettesse alcuna delle porzioni dell’area interessata".

Ebbene questa espressione non significa affatto che fosse possibile per il Comune prescindere da un progetto unitario d’area che interessasse tutte le aree edificabili del comparto; in primo luogo, perché una siffatta conclusione avrebbe dovuto condurre non già alla conferma della sentenza del Tribunale, quanto alla sua riforma, atteso che si sarebbe trattato di dichiarare infondata la pretesa del ricorrente ad un progetto unitario d’area; in secondo luogo, perché il tenore del passaggio citato va inteso come riferito in premessa al progetto unitario d’area come strumento in sé astrattamente considerato – che non deve sempre imporre il coinvolgimento di tutti i proprietari interessati – ma nella fattispecie come indefettibile strumento di attuazione delle previsioni urbanistiche.

Sotto questo profilo, emerge dalle difese delle parti e dalla documentazione versata che ancora una volta è stata del tutto pretermessa la predisposizione di un progetto unitario d’area che coinvolgesse anche il ricorrente, a dimostrazione della mancata ottemperanza al giudicato.

Quanto alla validità dei permessi di costruire, sotto il profilo della denunciata elusione del giudicato, intesa come contestazione della pretesa avvenuta ottemperanza, osserva il Collegio che nessun dubbio sussiste che l’adozione di siffatti provvedimenti sia avvenuta in violazione dell’ obbligo giudiziale di osservare il precetto di cui all’art. 35, ultimo comma delle N.T.A., né è sufficiente rilevare, come dedotto dalle controparti, l’avvenuta rimozione della precedente violazione della destinazione d’uso dell’area su cui era stata prevista la costruzione di un asse viario, mentre dalle previsioni generali di piano la destinazione era quella di ospitare attrezzature sportive. L’efficacia solo parziale della nuova soluzione progettuale proposta rispetto al complesso onere di adempimento derivante dal giudicato non consente di riconoscere all’eliminazione dell’asse viario provvisorio portata assolutoria del compito di adempimento.

Resta da esaminare la fondatezza di due ulteriori argomentazioni addotte dalle parti controinteressate, ossia l’avvenuta conservazione della volumetria del lotto del ricorrente e la sua scongiurata interclusione, oltre al fatto che alcune opere assentite con i permessi di costruire della cui validità si discute, riguarderebbero lotti ubicati in subcomparti diversi da quelli in cui insistono i fondi di proprietà del ricorrente D.M.N..

Quanto al primo profilo, va osservato che la salvaguardia della volumetria assentibile spettante ai fondi di proprietà del ricorrente non s’identifica soltanto con la sua astratta identificazione rispetto alle potenzialità edificatorie del comparto di riferimento, ma soprattutto con il coinvolgimento del D.M.N. in un progetto unitario d’area, passaggio che, se mancante, impedisce del tutto a quest’ultimo la realizzazione di qualsiasi intervento edificatorio sulle sue aree.

In secondo luogo, la disciplina urbanistica di riferimento non consente di ritenere che la divisione del comparto edificatorio B2.1.C – nel quale insistono tutte le opere realizzate con i permessi di costruire oggetto di richiesta di nullità – nei subcomparti B2.1.C.C, B2.1.C.C2 e B2.1.C.C3 abbia dato vita ad altrettanti ed indipendenti ambiti territoriali omogenei; ne discende che il progetto unitario d’area di cui all’art. 35 delle N.T.A. deve essere dimensionato e riguardare l’intero comparto e non anche quelle che sono sue semplici ed inautonome sottoarticolazioni.

Dalle considerazioni che precedono discende l’accoglimento del ricorso, dovendo il Comune di Castello di Cisterna, per quanto di sua competenza, tenere in considerazione soltanto iniziative edificatorie che si estendano a tutti i lotti del comparto edificatorio B 2.1.C, attraverso un progetto unitario d’area secondo quanto previsto dall’art. 35 delle N.T.A.; di conseguenza, deve essere dichiarata la nullità dei permessi di costruire n. 1/09, n. 2/09 e 3/09, rilasciati dal Comune di Castello di Cisterna ai controinteressati S & M Costruction General s.r.l., D.M.G., D.M.C. e S.C..

Le spese seguono la soccombenza, con condanna in solido del Comune di Castello di Cisterna e dei controinteressati S & M Costruction General s.r.l., D.M.G., D.M.C., S.C. al relativo pagamento nella misura complessiva di Euro5.000,00(Cinquemila/00).

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, le accoglie nei termini di cui in motivazione e dichiara la nullità dei permessi di costruire nn. 1,2 e 3 del 2009 rilasciati dal Comune di Castello di Cisterna in favore rispettivamente di S & M Costruction General s.r.l., D.M.G., D.M.C. e S.C..

Condanna in solido il Comune di Castello di Cisterna e i controinteressati S & M Costruction General s.r.l., D.M.G., D.M.C., S.C. al pagamento delle spese processuali in favore del ricorrente D.M.N. che si liquidano nella misura complessiva di Euro5.000,00(Cinquemila/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio dei giorni 20 ottobre e 15 dicembre 2011 con l’intervento dei magistrati:

Carlo D’Alessandro, Presidente

Anna Pappalardo, Consigliere

Paolo Corciulo, Consigliere, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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