Cass. pen. Sez. feriale, Sent., (ud. 15-09-2011) 07-12-2011, n. 45729 Bellezze naturali e tutela paesaggistica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con sentenza del 15 aprile 2011, la Corte appello di Catania ha confermato la sentenza del Tribunale di Siracusa – sezione distaccata di Avola del 5 marzo 2008, con cui l’imputato era stato condannato, per i reati di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. c), e D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, per avere realizzato, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, senza permesso di costruire, un edificio in legno destinato a civile abitazione delle dimensioni di metri quadrati 50. 2. – Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, deducendo: a) il travisamento dei fatti, sul rilievo che la Corte d’appello non avrebbe considerato che dal verbale di accertamento in atti emerge che l’opera realizzata è un manufatto in legno, non incorporato al suolo e avente una destinazione temporanea, con la conseguenza che il giudice avrebbe dovuto disporre apposita consulenza tecnica per verificarne la consistenza; b) la violazione della L. n. 47 del 1985, art. 10, sul rilievo che i lavori realizzati consistono nel posizionamento di una baracca in legno destinata a soddisfare esigenze di carattere improvviso e contingente, legato ad uso precario e temporaneo per fini specifici e cronologicamente individuabili.

All’odierna udienza il difensore ha depositato due atti da lui indicati come: 1) autorizzazione in sanatoria rilasciata dal Comune di Pechino in data 14 luglio 2011; 2) progetto in sanatoria, ai sensi della L. n. 47 del 1985, art. 13 e della L.R. n. 37 del 1985, del manufatto costituito dall’edificio in legno destinato a civile abitazione delle dimensioni di metri quadrati 50, con relazione di congruità, scheda tecnica e parere igienico-sanitario.

Motivi della decisione

3. – Il ricorso è inammissibile, perchè basato su motivi manifestamente infondati.

Le doglianze dell’imputato, che possono essere trattate congiuntamente, attengono alla natura temporanea e precaria del manufatto realizzato.

Deve osservarsi che la sentenza impugnata contiene, sul punto della natura del manufatto, una motivazione ampia e circostanziata sia in fatto, sia in diritto, a fronte della quale i rilievi mossi dalla difesa appaiono come una mera riproposizione di censure già esaminate e motivatamente rigettate. In particolare, la Corte d’appello osserva che: a) il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, comma 1, lett. e), ricomprende tra gli interventi di nuova costruzione anche l’istallazione di manufatti leggeri prefabbricati e di strutture di qualsiasi genere che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, depositi o magazzini e siano diretti a soddisfare esigenze durature nel tempo; b) nel caso in esame, l’opera realizzata presenta tali caratteristiche, perchè l’edificazione abusiva appare, anche in base alle fotografie in atti e alle dichiarazioni testimoniali raccolte, destinata a soddisfare esigenze non transitorie o contingenti, trattandosi di una vera propria casa di legno, per uso abitativo, divisa in sei vani.

La Corte d’appello ha, dunque, compiutamente ricostruito la fattispecie e correttamente applicato il noto e consolidato principio espresso da questa Corte, secondo cui il permesso di costruire è necessario, non soltanto per i manufatti tradizionalmente ricompresi nelle attività murarie, ma anche per le opere di ogni genere con le quali si intervenga sul suolo o nel suolo, indipendentemente dal mezzo tecnico con il quale è stata assicurata la stabilità del manufatto, che può anche essere soltanto infisso o appoggiato al suolo, atteso che la stabilità non va confusa con l’anonimo viabilità della struttura o con la perpetuità della funzione ad esso assegnata; con la conseguenza che la natura precaria di una costruzione non dipende dalla natura dei materiali adottati e quindi dalla facilità della rimozione, ma dalle esigenze che i manufatti sono destinati a soddisfare e cioè dalla stabilità dell’insediamento indicativa dell’impegno effettivo e durevole del territorio (ex plurimis, Sez. 3^, 25 febbraio 2009, n. 22054; 24 marzo 2010, n. 24242).

3.2. – Quanto, poi, alla documentazione presentata in udienza dal difensore dell’imputato, deve rilevarsi che essa non costituisce autorizzazione in sanatoria e non realizza, dunque, alcun effetto estintivo in relazione ai reati per i quali si procede. Nel dispositivo del provvedimento, si legge infatti che il manufatto in questione può essere mantenuto per il termine massimo di sei mesi dal "rilascio della presente autorizzazione", disponendosi che "allo scadere della presente autorizzazione venga eseguita la rimessa in pristino dei luoghi e venga inviata documentazione fotografica dell’avvenuto smontaggio della struttura precaria". E’, dunque, evidente che l’amministrazione non ritiene che l’opera in questione possa essere mantenuta, avendo anzi disposto la sua demolizione nel termine di sei mesi.

4. – Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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