Cass. pen. Sez. feriale, Sent., (ud. 06-09-2011) 07-12-2011, n. 45721

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con sentenza del 22 settembre 2010, la Corte d’appello di Palermo ha confermato la sentenza del Tribunale di Marsala del 7 ottobre 2009, con cui l’imputato era stato condannato, per i reati di cui all’art. 99, comma 4, artt. 110, 628, comma 1 e 3, art. 61 c.p., n. 2), nonchè L. n. 110 del 1975, art. 4, perchè, in concorso con altro soggetto giudicato separatamente, al fine di procurarsi un ingiusto profitto, illecitamente portando in luogo pubblico o aperto al pubblico un coltellino, mediante violenze e minacce, effettuava una rapina in banca impossessandosi di denaro contante, con l’aggravante dell’essere in più persone riunite e dell’uso dell’arma e con la recidiva specifica reiterata infraquinquennale.

La sentenza censurata e quella di primo grado sono pervenute all’affermazione della responsabilità dell’imputato essenzialmente sulla base dei seguenti elementi: a) il riconoscimento operato da quattro carabinieri effettuato visionando il filmato della rapina girato a mezzo delle telecamere a circuito chiuso di cui erano dotati locali della banca; b) la compatibilità di un’impronta di uno scarponcino con la suola di gomma lasciata da uno dei due rapinatori con un paio di calzature di detto tipo in possesso dell’imputato; c) la coincidenza tra le impronte papillari appartenenti ad uno dei rapinatori e quelle dell’imputato, desunta dalla sussistenza di ben 22 punti caratteristici; d) l’inattendibilità dell’alibi fornito dall’imputato – di avere trascorso l’intera giornata nella sua abitazione per smaltire gli effetti di sostanze stupefacenti da lui assunte, attesa la sua qualità di tossicodipendente – desunta dall’esame dei tabulati relativi alle utenze telefoniche cellulari nella sua disponibilità, da cui risultava che il medesimo imputato, nella stessa giornata, aveva effettuato chiamate da località assai distanti dalla sua abitazione.

2. – Avverso la sentenza, l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento, e deducendo, con unico motivo di doglianza, la mancanza e manifesta illogicità della motivazione.

Rileva, in particolare, il ricorrente che il riconoscimento operato dai carabinieri sarebbe non attendibile, anche perchè contraddetto dal mancato riconoscimento da parte del direttore e degli impiegati della banca rapinata. Sul punto, illegittimamente la corte d’appello non avrebbe accolto le richieste di perizia antropometrica e di esperimento giudiziario, formulate allo scopo di verificare se la fisionomia dell’imputato nel luogo del delitto fosse compatibile con quella rilevata dalle telecamere. Del pari illogica sarebbe la motivazione quanto alla compatibilità delle scarpe e all’accertamento delle impronte digitali.

In prossimità dell’udienza, l’imputato ha fatto pervenire uno scritto di suo pugno, con il quale afferma la sua innocenza e contesta la motivazione della sentenza censurata.

Motivi della decisione

3. – Il ricorso è inammissibile, perchè proposto per un motivo manifestamente infondato.

La motivazione della sentenza impugnata appare ampiamente circostanziata e logicamente corretta quanto all’accertamento della penale responsabilità dell’imputato, che la Corte d’appello desume da elementi oggettivi, quali: a) il riconoscimento operato dai carabinieri sulla base del filmato della rapina realizzato dalle telecamere a circuito chiuso della banca; b) la compatibilità di un’impronta lasciata da uno dei due rapinatori con un paio di calzature in possesso dell’imputato; c) la coincidenza tra le impronte papillari appartenenti ad uno dei rapinatori e quelle dell’imputato; d) l’inattendibilità dell’alibi fornito dall’imputato – di avere trascorso l’intera giornata nella sua abitazione – smentito dalla circostanza, desunta dall’esame dei tabulati relativi alle utenze telefoniche cellulari nella sua disponibilità, che lo stesso aveva effettuato chiamate da località assai distanti dalla sua abitazione.

A fronte di tale motivazione, il ricorrente si limita a formulare – riprendendo le censure già proposte in appello – generiche doglianze circa l’impronta della scarpa rilevata e le impronte papillari, nonchè a contestare le risultanze del riconoscimento operato dai carabinieri.

Con riferimento a tale ultimo profilo – l’unico in relazione al quale i rilievi della difesa non appaiono generici – correttamente la corte d’appello richiama il principio, ampiamente noto e consolidato nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui il riconoscimento dell’imputato nel soggetto ritratto nei fotogrammi estratti dalla registrazione effettuata dalle telecamere di sicurezza presenti sul luogo di consumazione del delitto, operato da parte di personale di polizia giudiziaria che abbia una pregressa personale conoscenza dello stesso, ha valore di indizio grave e preciso a suo carico (Sez. 2^, 7 aprile 2010, n. 15308; Sez. 5^, 10 febbraio 2009, n. 22612).

Tale orientamento trova applicazione anche nel caso in esame, in cui il giudice di secondo grado osserva – con procedimento argomentativo logicamente corretto – che il riconoscimento è avvenuto nell’immediatezza ad opera di due dei testimoni e che la circostanza che l’imputato non sia stato riconosciuto dai dipendenti della banca ha carattere neutro, con la conseguenza che gli accertamenti antropometrici e l’esperimento giudiziale richiesti dalla difesa sono superflui. Quanto, in particolare, a tale secondo mezzo di prova, finalizzato, secondo la difesa, ad accertare che la statura dell’imputato era talmente bassa da non poter essere ripresa dalla telecamera di sorveglianza, la sua inutilità deriva, secondo il giudice d’appello, dalla circostanza – correttamente ritenuta ovvia – che l’imputato avrebbe ben potuto essersi chinato proprio per evitare di essere inquadrato dalla telecamera.

4. – Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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