T.A.R. Campania Salerno Sez. II, Sent., 11-01-2012, n. 26 Piano regolatore generale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La società ricorrente, avendo acquisito la disponibilità di un immobile in località Petrara del Comune di Ariano Irpino, aveva depositato istanza presso il Comune, al fine del rilascio dell’autorizzazione per l’apertura di una media struttura di vendita; con il provvedimento, impugnato con l’atto introduttivo del giudizio, l’ente l’aveva peraltro respinta, a cagione della mancata esecutività del S. I. A. D., pur approvato con Delib. n. 19 del 26 marzo 2009, che non prevedeva comunque, in detta località, l’apertura di dette strutture di vendita; avverso detto provvedimento articolava le seguenti censure, distinte per i due profili sopra evidenziati:

– A) SULLA MANCANZA DEL S.I.A.D.

– 1) Violazione artt. 41 Cost., 12, 13 e art. 15 L.R. Campania n. 1 del 2000; 2, 6, 8, 25 e 26 D.Lgs. n. 114 del 1998; Eccesso di potere per illogicità, erroneità nei presupposti e sviamento: la mancanza del S. I. A. D., comunque superata per effetto del rilascio del visto di conformità regionale, ex art. 13 L.R. Campania n. 1 del 2000, non esimeva comunque il Comune dal decidere circa l’istanza;

– 2) Violazione artt. 41 Cost., 12, 13 e art. 15 L.R. Campania n. 1 del 2000; 2, 6, 8, 25 e 26 D.Lgs. n. 114 del 1998; Eccesso di potere per illogicità, erroneità nei presupposti e sviamento: l’illegittimità del diniego era confermata dalla giurisprudenza formatasi circa la previgente disciplina commerciale, ex L. n. 426 del 1971;

– B) SULLA MANCATA PREVISIONE DELL’INTERVENTO NELL’AMBITO DEL S. I. A. D.

– 3) Violazione D.Lgs. n. 114 del 1998 in rel. al D.L. n. 223 del 2006 conv. in L. n. 248 del 2006 e al D.Lgs. n. 59 del 2010; Eccesso di potere per arbitrarietà, illogicità, perplessità, sviamento, difetto assoluto del presupposto e d’istruttoria: l’atipica misura di salvaguardia assunta dal Comune contrastava con i principi di liberalizzazione del commercio, introdotti dal cd. "decreto Bersani".

Si costituiva il Comune di Ariano Irpino, osservando come l’ostacolo al rilascio dell’autorizzazione richiesta dalla ricorrente fosse di natura urbanistica, anziché commerciale.

Con ordinanza, resa all’esito dell’udienza in camera di consiglio del 14.10.2010, la Sezione respingeva la domanda cautelare proposta dalla ricorrente, con la seguente motivazione: "Rilevato che il ricorso non pare, ad una prima sommaria valutazione, meritevole di favorevole considerazione in sede cautelare, stante il contrasto del progettato intervento con la disciplina urbanistica vigente nel Comune di Ariano Irpino, che non prevede, per le zone interessate, l’apertura di medie strutture di vendita".

Seguiva la produzione di un primo atto di motivi aggiunti, diretto avverso gli atti specificati in epigrafe, censurati sotto i seguenti profili:

1) Violazione D.Lgs. n. 114 del 1998 in rel. al D.L. n. 223 del 2006 conv. in L. n. 248 del 2006 e al D.Lgs. n. 59 del 2010; Eccesso di potere per arbitrarietà, illogicità, perplessità, sviamento, difetto assoluto del presupposto e d’istruttoria: erano contestati i presupposti dell’impugnato nuovo diniego;

2) Violazione D.Lgs. n. 114 del 1998 in rel. al D.L. n. 223 del 2006 conv. in L. n. 248 del 2006 e al D.Lgs. n. 59 del 2010, in rel. art. 10 bis L. n. 241 del 1990; Eccesso di potere per arbitrarietà, illogicità, perplessità, sviamento, difetto assoluto del presupposto e d’istruttoria: era comunque rilevato il contrasto dello stesso diniego con l’art. 10 bis L. n. 241 del 1990;

3) Violazione D.Lgs. n. 114 del 1998 in rel. al D.L. n. 223 del 2006 conv. in L. n. 248 del 2006 e al D.Lgs. n. 59 del 2010; Eccesso di potere per arbitrarietà, illogicità, perplessità, sviamento, difetto assoluto del presupposto e d’istruttoria: era ribadita la violazione dei principi di liberalizzazione introdotti dal cd. "decreto Bersani".

Il Comune di Ariano Irpino replicava ai motivi aggiunti in questione, eccependo l’inammissibilità dei medesimi e comunque concludendo per la loro infondatezza.

Con ordinanza, resa all’esito dell’udienza in camera di consiglio del 28.04.2011, la Sezione accoglieva la domanda cautelare, nuovamente avanzata da parte ricorrente, con la seguente motivazione: "Rilevato che la domanda cautelare si presenta favorevolmente valutabile, in considerazione della censurata – nei motivi aggiunti – violazione dell’art. 10 bis L. n. 241 del 1990, in ragione della natura integrativa – e non meramente confermativa – del provvedimento di diniego impugnato, a fronte del fatto sopravvenuto, rappresentato dall’apposizione del visto di conformità della Regione Campania sul SIAD (arg., "a contrario", dalla sentenza del T. A. R. Veneto, sez. III, 14.12.05, n. 4231)".

Era quindi depositato un secondo atto di motivi aggiunti, avverso gli atti precisati in epigrafe, contestato sulla base delle seguenti doglianze:

1) Violazione D.Lgs. n. 114 del 1998 in rel. al D.L. n. 223 del 2006 conv. in L. n. 248 del 2006 e al D.Lgs. n. 59 del 2010; Eccesso di potere per arbitrarietà, illogicità, perplessità, sviamento, difetto assoluto del presupposto e d’istruttoria: erano censurati i presupposti, su cui si fondava l’adozione dell’ulteriore diniego, opposto alla ricorrente;

2) Violazione D.Lgs. n. 114 del 1998 in rel. al D.L. n. 223 del 2006 conv. in L. n. 248 del 2006 e al D.Lgs. n. 59 del 2010, in rel. all’art. 10 bis L. n. 241 del 1990; Eccesso di potere per arbitrarietà, illogicità, perplessità, sviamento, difetto assoluto del presupposto e d’istruttoria: era nuovamente lamentata la violazione dell’art. 10 bis della L. n. 241 del 1990.

Il Comune di Ariano Irpino replicava al secondo gravame aggiuntivo, eccependo l’inammissibilità dello stesso, per omessa impugnativa delle previsioni urbanistiche del P. U. C. di Ariano Irpino, che s’opponevano all’accoglimento dell’istanza; ancora l’inammissibilità, per mancata notifica dello stesso a tutte le Amministrazioni, che erano intervenute nel procedimento di pianificazione urbanistica, tra cui in particolare l’Amministrazione Provinciale di Avellino, che detto piano aveva approvato in via definitiva; e concludeva, in ogni caso, per la sua infondatezza.

Con ordinanza, resa all’esito dell’udienza in camera di consiglio del 13.10.2011, la Sezione respingeva la domanda cautelare articolata in sede di secondi motivi aggiunti, con la seguente motivazione: "Ritenuto che le questioni poste in ricorso meritano d’essere approfondite nella sede di merito, per la quale è già fissata l’udienza pubblica del 7.12.2011, rispetto alla quale data non appare utilmente concedibile – per la natura di diniego del provvedimento impugnato con i secondi motivi aggiunti – la tutela cautelare richiesta".

In data 5.11.2011 la ricorrente produceva scritto difensivo riepilogativo.

All’udienza pubblica del 7 dicembre 2011, il ricorso era trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

Preliminarmente osserva il Tribunale che l’atto introduttivo del giudizio ed il primo ricorso per motivi aggiunti sono divenuti improcedibili, per sopravvenuta carenza d’interesse, posto che i dinieghi, ivi rispettivamente impugnati, sono stati superati, per effetto della reiterata riconsiderazione dell’istanza da parte del Comune, dapprima, e autonomamente, per effetto dell’emanazione dell’atto (di "conferma con integrazioni"), gravato in sede di primi motivi aggiunti e quindi, dopo il secondo intervento cautelare del Collegio, mercé l’adozione del provvedimento, impugnato con i secondi motivi aggiunti, rispetto al quale provvedimento, evidentemente, si concentra, ora, tutto l’interesse della parte ricorrente.

La stessa questione se l’atto, impugnato in sede di primi di motivi aggiunti, fosse una conferma in senso proprio (tesi fatta propria, in ambito cautelare, dalla Sezione, e che ha fondato, nell’ottica della violazione dell’art. 10 bis della L. n. 241 del 1990, la concessione della sospensiva del 28.04.2011), ovvero, piuttosto, un atto meramente confermativo, come invece ritenuto dalla difesa dell’Amministrazione, non ha più alcuna ragione d’essere esaminata, posto che in ogni caso, adeguandosi al prefato "dictum" cautelare, il Comune di Ariano Irpino ha licenziato un terzo provvedimento di diniego, ritualmente gravato con i secondi motivi aggiunti, il quale è rimasto l’unico a possedere una valenza lesiva per la posizione giuridica – di interesse cd. pretensivo – vantata dalla ricorrente.

Quanto testé rilevato comporta, di conseguenza, la necessità d’esaminare soltanto le doglianze esposte nell’ultimo ricorso della società Dadaro, laddove ogni altro profilo di censura resta, evidentemente, assorbito dalle suddette pronunce in rito.

Così delimitato il "thema decidendum", ed ancor prima d’esaminare le eccezioni d’inammissibilità dei secondi motivi aggiunti, sollevate dalla difesa avversaria, ritiene il Collegio che sia opportuna una sintetica ricapitolazione del contenuto motivazionale di detto secondo provvedimento DI diniego, e, quindi, dei corrispondenti rilievi d’illegittimità del medesimo, formulati da parte ricorrente.

Con la nota, prot. n. 2185/AP del 30.05.2011, a firma del Dirigente del Servizio Attività Produttive del Comune di Ariano Irpino, indirizzata alla società ricorrente, al suo legale, e per conoscenza al sindaco, all’assessore alle attività produttive, al segretario generale dell’ente e al difensore del medesimo ente nel presente giudizio, nota avente ad oggetto: "Istanza apertura di una media struttura di vendita "alimentare e non", di tipologia M1/AM, in località Petrara – Rigetto", l’Amministrazione, dopo aver richiamato i presupposti fattuali della vicenda e, in particolare, i precedenti dinieghi emanati dal Comune, il secondo dei quali sospeso cautelarmente dalla Sezione, sotto il profilo della violazione della disciplina sul cd. "preavviso di rigetto", nonché dopo aver dato atto dell’invio della comunicazione (prot. n. 1811/AP del 5.05.2011), ex art. 10 bis L. n. 241 del 1990, delle controdeduzioni rassegnate dalla società ricorrente e della nota dell’U. T. C., prot. n. 1823/UTC del 27.05.2011, di chiarimenti circa gli aspetti urbanistici della questione, respingeva, per la terza volta, la domanda presentata dalla società Dadaro, sostenendo che le controdeduzioni di quest’ultima non fossero idonee a confutare le motivazioni, contenute sia nel preavviso di rigetto, sia nei precedenti provvedimenti, prot. n. 3393/2010 del 25.08.2010 e prot. 241/AP/2011 del 14.01.2011 (vale a dire negli atti, gravati in sede di ricorso introduttivo e di primi motivi aggiunti); quindi il dirigente dell’Amministrazione resistente, "a chiusura del procedimento avviato con la Ns. nota prot. n. 1811/AP del 5.05.2011", così specificamente giustificava l’adozione del provvedimento in oggetto: "La Vs. istanza richiamata in premessa e relativa all’ottenimento dell’autorizzazione amministrativa per l’apertura di una "media struttura di vendita "alimentare e non", di tipologia M1/AM in località Petrara" non può essere accolta per le motivazioni e documentazione indicate nei provvedimenti di diniego Ns. prot. 3393/2010 e 241/AP/2011, regolarmente notificati e che si intendono qui interamente richiamati e riportati, così come ulteriormente specificate, per gli aspetti di natura urbanistica, con la nota prot. n. 1823/UTC/2011 dell’U. T. C. – LL. PP., espressa in sede di esame delle Vs. controdeduzioni, integralmente riportata in premessa".

In sostanza, stante la tecnica di redazione, "per relationem", del provvedimento in questione, le ragioni dell’ulteriore diniego sono pertanto da ricercarsi nelle motivazioni dei precedenti, oltre che nella nota dell’U. T. C., richiamata in premessa; occorre, dunque, una sia pur breve sintesi delle suddette ragioni, quali risultano dalla triade di atti nei quali – per espressa dichiarazione dell’ente – esse sono contenute.

Si ribadisce, peraltro, che la suddetta circostanza, non comporta anche la necessità d’esaminare le censure, esposte in precedenza, da parte ricorrente, avverso i suddetti dinieghi, i quali sono invece coperti, sotto il profilo processuale, dalle pronunce d’improcedibilità, per sopravvenuta carenza d’interesse, di cui sopra s’è discorso, se non nella misura in cui le stesse sono siano state trasfuse, dalla stessa ricorrente, nel secondo gravame per aggiunzione: una cosa, infatti, è la tecnica di formulazione, "per relationem", della giustificazione, a fondamento dell’ultimo rigetto dell’istanza "de qua", altra cosa è il contenuto dispositivo dei (tre) reiterati dinieghi, l’efficacia lesiva dei primi due essendosi evidentemente esaurita, mercé l’emanazione del terzo.

Tanto ulteriormente stabilito, rileva il Tribunale che nel primo diniego, del 25.08.2010, l’istanza della società Dadaro veniva respinta con la seguente motivazione: "Il S. I. A. D., seppur approvato con Delib. n. 19 del 26 marzo 2009, non è esecutivo e relativamente alle medie strutture non prevede, comunque, l’apertura in località Petraro"; assai più articolata la giustificazione, a corredo del secondo provvedimento negativo, del 14.01.2011: attesa l’apposizione del visto di conformità della Regione Campania sul S. I. A. D., era sorta infatti la necessità di "confermare con integrazioni" il precedente rigetto, e tanto, sulla base delle seguenti osservazioni: 1) il suddetto "strumento d’intervento per l’apparato distributivo", ormai in vigore, individuava due ambiti territoriali, destinati all’insediamento di medie strutture di vendita ("Martiri" e "Grignano – Variante", per ciascuno dei quali era prevista una sola nuova apertura di strutture, di tipologia M1E); 2) le planimetrie allegate al S. I. A. D., n. 13 – "P.b" – e n. 14 – "P.c" – denominate "previsioni commerciali", individuavano "urbanisticamente e graficamente" le aree del territorio comunale, destinate all’insediamento delle medie strutture in questione; 3) in tali aree non rientrava la località denominata "Petrara", non meglio specificata nel modello COM2 presentato all’ente (la quale oltre tutto, secondo la certificazione agli atti dell’U. T. C., del 5.10.2010, non prevedeva "la zona urbanistica richiesta per gli insediamenti in oggetto"); 4) l’indicazione, contenuta nel visto di conformità reso dalla Regione Campania sul S. I. A. D., secondo cui il parametro numerico della media distribuzione non sarebbe "cogente", doveva, a parere del Comune, "essere limitata alle suddette zone territoriali così come individuate dagli allegati planimetrici al S. I. A. D., stante la piena efficacia sia dell’articolo 6 del D.Lgs. n. 114 del 1998 che degli articoli 13 e 14 della L.R. Campania n. 1 del 2000, eseguiti a livello comunale con l’adozione del suddetto strumento di programmazione commerciale, quale piano di Settore del P. U. C., da parte dell’organo consiliare, non implicitamente abrogato dall’art. 3, comma 1, lett. d), del D.L. n. 223 del 2006, conv. in L. n. 248 del 2006 e dal D.Lgs. n. 59 del 2010"; 5) con deliberazione di G. M., n. 151 dell’11.05.2010, l’ente aveva attestato che "le scelte di localizzazione delle strutture distributive sono coerenti con il Piano Urbanistico Comunale approvato con decreto del Presidente della Provincia di Avellino, n. 01 del 22.03.2010".

La conclusione era nel senso della conferma dell’impossibilità d’autorizzare l’apertura della media struttura di vendita in questione, "stante la piena efficacia della vigente e primaria programmazione commerciale comunale, dichiarata coerente con il vigente P. U. C. (…) ed a prescindere dall’assoluta incompletezza (…) del modello COM2 presentato da codesta società (…)".

Al fine di completare la disamina del compendio motivazionale posto a base del provvedimento, impugnato con i secondi motivi aggiunti, resta soltanto da riportare la nota – parere, prot. 1823/UTC del 27.05.2011, a firma congiunta del responsabile dell’Ufficio Urbanistica – Edilizia e del Dirigente del relativo Servizio, nella quale si ribadiva e precisava "che il S. I. A. D., in località Petrara, esclude categoricamente l’insediamento di medie strutture di vendita"; e si riaffermava "che la capacità edificatoria di un’area è condizione necessaria ma non sufficiente a permettere l’insediamento di una particolare attività produttivo – commerciale", essendo la stessa "sottoposta alle previsioni degli strumenti di programmazione quali i "Piani di Settore"".

Tal essendo, nella sua frastagliata modalità di esternazione, il contenuto dell’atto gravato, vanno ora riferite le censure che – nel secondo atto di motivi aggiunti – parte ricorrente ha articolato, avverso il medesimo.

Nella prima censura – per la cui rubrica si rimanda alla narrativa – la ricorrente ha contestato l’affermazione del Comune, secondo la quale l’iniziativa programmata sarebbe rientrata in un ambito "categoricamente" escluso, dal S. I. A. D., ai fini dell’insediamento di medie strutture di vendita.

A tal fine è partita dalla considerazione della delibera di C. C., n. 19 del 26.03.09, per sostenere che in essa era assente "qualsiasi valutazione urbanistica e/o di compatibilità", laddove l’unica preoccupazione dell’ente era stata quella di fissare il contingente numerico di dette strutture; con la conseguenza che, "rimosso il limite del contingente, nessuna ulteriore preclusione può essere attribuita alla contestata scelta programmatoria".

Sotto diverso concorrente profilo, la scelta della P. A. sarebbe stata esclusivamente quella di escludere l’apertura di tali insediamenti, nella zona del centro storico, preferendo a tale scopo le zone periferiche (cfr. pag. 30 della prefata deliberazione consiliare), e la località prescelta (via Petrara) era per l’appunto ubicata in periferia.

Quindi, nel seguito della censura, la ricorrente ribadiva come l’individuazione delle aree "Martiri" e "Grignano" attenesse unicamente agli ambiti, dov’era spendibile il previsto contingente (di due medie strutture di vendita), con conseguente irrilevanza del mancato inserimento tra tali aree anche della località Petrara (una volto rimosso il contingente numerico, per effetto della prescrizione, contenuta nel visto di conformità regionale).

Del pari irrilevante, per la ricorrente, si presentava anche il riferimento, nella parte motiva del provvedimento impugnato, al certificato di destinazione urbanistica del 5.10.2010 (cfr. all. 1 alla memoria del Comune dell’11.10.2010), posto che l’iniziativa in oggetto era prevista in un immobile già esistente e regolarmente assentito ai fini commerciali.

Infine la ricorrente considerava "privo di pregio" il rilievo, concernente una presunta incompletezza della sua istanza, sia perché relativa ad immobile già esistente, onde alcun dubbio poteva sorgere circa la sua localizzazione; sia perché, in ogni caso, a fronte della ritenuta incompletezza della medesima ben avrebbe potuto, l’Amministrazione, chiedere un’integrazione documentale, anziché procedere all’immediato rigetto.

Nella seconda censura dell’ultimo gravame aggiuntivo, la ricorrente lamentava poi ancora la violazione dell’art. 10 bis della L. n. 241 del 1990, sotto il profilo della mancata valutazione e dell’omessa confutazione, da parte dell’ente, nell’atto da ultimo impugnato, delle osservazioni rassegnate dalla stessa società nel corso del procedimento, non potendo essere ritenuto sufficiente, a tal fine, il mero richiamo al parere dell’U. T. C., del 27.05.11, di cui s’è detto in precedenza.

A tali (secondi) motivi aggiunti replicava la difesa dell’Amministrazione Comunale, eccependo l’inammissibilità dei medesimi, per le ragioni già esposte in narrativa, ed esponendo comunque le ragioni che ostavano al suo accoglimento nel merito; in particolare rilevava come "il presupposto impeditivo al rilascio del provvedimento (…) attiene all’incompatibilità dell’iniziativa economica con le previsioni urbanistiche vigenti, prescindendo da qualsiasi contingente numerico e limite quantitativo di insediamento"; e come a tale risultato conducessero sia le previsioni del S. I. A. D., sia la prescrizione di cui al vigente strumento urbanistico comunale.

Osservava altresì come a nulla valesse il riferimento al permesso di costruire, rilasciato dall’Amministrazione ai fini della realizzazione dell’immobile con destinazione commerciale, posto che la previsione urbanistica, di natura programmatoria, impediva di localizzare, nella località prescelta, una media struttura di vendita, ma non un’attività di minori dimensioni (ad es. un esercizio di vicinato) ovvero altre attività del terziario.

Controdeduceva, inoltre, rispetto all’asserita (nuova) violazione dell’art. 10 bis L. n. 241 del 1990, essendo stato svolto un supplemento d’istruttoria, concretizzatosi in pareri in cui erano state esplicitate le ragioni a base del diniego.

Infine la difesa dell’ente poneva in risalto le incompletezze della domanda di parte ricorrente, priva dell’indicazione del numero civico dell’immobile, ove allocare la prevista iniziativa commerciale, ubicata in una via (Petrara) inesistente e priva di allegati, e tanto "nell’intento di anticipare i tempi rispetto all’apposizione del visto di conformità regionale al S. I. A. D.".

Possono essere, a questo punto, affrontate le eccezioni d’inammissibilità dei motivi aggiunti in esame, sollevate dalla difesa del Comune.

Esse impingono nella mancata impugnazione, e nella conseguente dedotta inoppugnabilità, sia delle previsioni urbanistiche dettate dal P. U. C. di Ariano Irpino (in virtù delle quali gli insediamenti di media distribuzione sono localizzabili in due specifiche zone, in cui non rientra quella indicata dalla ricorrente), sia del decreto del Presidente della Provincia di Avellino, di approvazione del medesimo P. U. C., sia, infine, della deliberazione di G. M., n. 151/2010, attestante la conformità delle scelte operate con il S. I. A. D., rispetto alle previsioni urbanistiche del P. U. C.

L’Amministrazione, quindi, ha ulteriormente eccepito l’inammissibilità dei motivi aggiunti in questione, per non essere stati gli stessi notificati a tutti soggetti pubblici, intervenuti nel procedimento di pianificazione urbanistica, tra cui "in primis" alla Provincia di Avellino, che aveva approvato il P. U. C. in via definitiva.

Le due eccezioni possono essere trattate congiuntamente, ponendosi le stesse come espressione dell’unica problematica circa la necessità, o meno, d’impugnare le previsioni urbanistiche in questione, ai fini dell’ammissibilità del ricorso (se detta necessità non dovesse infatti sussistere, non vi sarebbe evidentemente alcun bisogno, ai fini della valida instaurazione del rapporto processuale, di notificare i motivi aggiunti alle altre Amministrazioni, coinvolte nel procedimento di pianificazione urbanistica).

Ritiene il Tribunale che, ai fini qui in esame, dell’ammissibilità dei motivi aggiunti "de quibus", l’eccezione vada respinta, posto che la seconda censura, in essi contenuta, ha carattere meramente procedimentale, come tale insensibile all’eccepita necessità di previa impugnazione della disciplina urbanistica comunale, e che, soprattutto, la prima censura della ricorrente, come sopra sommariamente riportata, tende ad affermare: a) la natura non urbanistica, bensì di mero contingente numerico, della limitazione dei due ambiti, ove allocare le medie strutture di vendita; b) la piena compatibilità con la domanda della società ricorrente dell’unica previsione di carattere urbanistico, riconosciuta come vincolante, a termini della delibera di C. C. n. 19/09, secondo la quale le strutture di media distribuzione dovrebbero essere allocate nelle sole zone periferiche del territorio comunale.

Stante, quindi, la prospettazione di parte ricorrente, non può predicarsi alcuna inammissibilità del gravame in oggetto, atteso che, nell’ottica fatta propria dalla medesima, le previsioni urbanistiche in questione o sono considerate irrilevanti, perché superate dai principi della liberalizzazione del commercio, ovvero sono valutate come non lesive (e quindi, non vi sarebbe necessità di gravarle): in entrambi i casi, ne deriva la necessità, per il Collegio, di superare l’ostacolo, di natura processuale, rappresentato dalla predetta eccezione, e di passare all’esame della questione sostanziale, dedotta in giudizio.

Il punto di partenza dell’analisi può essere rappresentato dalla parte motiva della recente sentenza della Sezione del 3 dicembre 2010, n. 13082, che contiene una dettagliata ricostruzione, a livello normativo, delle funzioni svolte dallo strumento di intervento per l’apparato distributivo (S. I. A. D.) e delle sue interrelazioni con la disciplina urbanistica di livello comunale.

In detta decisione si legge in particolare, per quanto qui rileva:

"Occorre, pertanto, verificare se una tale modifica sostanziale possa derivare dall’adozione, da parte del Comune di Roccapiemonte, del SIAD (Strumento di intervento per l’apparato distributivo).

La risposta a tale quesito è positiva, richiamandosi in proposito all’orientamento giurisprudenziale del TAR Campania – Napoli ( cfr. sentt. sez. III, 10-5-2002, n. 2668 e sez. II, n. 4861/2008), che il Collegio condivide, espresso sulla questione di diritto consistente nello stabilire se, ai fini del rilascio di un’autorizzazione di una grande o media struttura di vendita, la destinazione urbanistica dell’area sia dettata solo dal PRG ovvero possa essere individuata mediante l’approvazione dello strumento di intervento per l’apparato distributivo, ai sensi del D.Lgs. n. 114 del 1998 e della L.R. Campania n. 1 del 2000.

In proposito va premesso che l’articolo 6 del D.Lgs. n. 114 del 1998, recante disposizioni in tema di programmazione della rete distributiva, affida alle regioni la definizione degli "indirizzi generali per l’insediamento delle attività commerciali (comma 1). In particolare, tale disposizione prevede che le Regioni "devono fissare i criteri di programmazione urbanistica riferiti al settore commerciale (comma 2), in specie individuando "le aree da destinare agli insediamenti commerciali" (comma 2, lett. a), i "vincoli di natura urbanistica" (lett. b), nonché altri aspetti di carattere edilizio ed urbanistico. Il successivo art. 8 , che disciplina le cd. medie strutture di vendita, dispone che la relativa autorizzazione all’apertura sia rilasciata dal Comune competente per territorio, anche in relazione agli obiettivi di cui all’art. 6, comma 1 (comma 1). Il Comune, sulla base delle disposizioni regionali e degli obiettivi indicati all’art. 6, sentite le organizzazioni di tutela dei consumatori e le organizzazioni imprenditoriali del commercio, adotta i criteri per il rilascio delle autorizzazioni (comma 3).

In attuazione del decreto n. 114/1998, la Regione Campania, con L.R. 7 gennaio 2000, n. 1 ha dettato "le direttive regionali in materia di distribuzione commerciale", tra l’altro prevedendo che i Comuni "devono provvedere a dotarsi dello specifico strumento di intervento per l’apparato distributivo, concernente … le localizzazioni delle medie e grandi strutture di vendita, nel rispetto delle destinazioni d’uso delle aree e degli immobili stabilite dallo stesso strumento, che costituisce piano di strumento integrato del PRG", tant’è che è sottoposto al visto di conformità regionale (art. 13 L.R. n. 1 del 2000). È previsto , inoltre, che le aree entro le quali le grandi strutture di vendita possono essere realizzate, devono essere dichiarate "espressamente compatibili con tale collocazione", con predisposizione di infrastrutture e dimensionamenti idonei.

Ai sensi del successivo art. 14, rubricato criteri di programmazione urbanistica, la Legge reg. dispone che le strutture di media e grande distribuzione possono essere realizzate solo su aree ricadenti in zone urbanistiche dichiarate espressamente compatibili con tale collocazione: tali aree dovranno avere adeguate infrastrutture, dimensionate in proporzione all’esercizio commerciale che si vuole localizzare. La localizzazione dovrà essere compatibile con l’assetto della viabilità e con i flussi di traffico; pertanto dovranno essere adeguatamente analizzati la rete infrastrutturale esistente e di progetto (comma 1).

Dall’esame della normativa sommariamente riportata, e fin dalla stessa legislazione nazionale, appare evidente la volontà del legislatore di assegnare allo strumento (comunque definito) con il quale si individuano le aree da destinare ad insediamenti commerciali, una funzione esaustiva di ogni esigenza, sia di carattere commerciale, sia di carattere urbanistico.

Di tale espressa ed in equivoca volontà legislativa è prova la stessa lettera dell’art. 6 D.Lgs. n. 114 del 1998. Tale decreto, nel demandare alle Regioni la definizione dei criteri generali in materia, affida alle medesime il compito di fissare "i criteri di programmazione urbanistica riferiti al settore commerciale", cui dovranno essere adeguati gli strumenti urbanistici regionali, che sono quelli che, comunque denominati dalle singole Regioni, devono provvedere ad individuare le aree da destinare agli insediamenti commerciali, i vincoli e le prescrizioni vigenti in tali aree.

Dalla citata disposizione si deduce quindi: in primo luogo, che il legislatore non intende duplicare la programmazione dell’utilizzazione del territorio, separando in distinti atti la programmazione urbanistica e la programmazione commerciale. Ciò appare evidente dalla lettura del comma 2 dell’art. 6, dove si fa espresso riferimento a "criteri di programmazione urbanistica riferiti al settore commerciale"; in secondo luogo, che l’atto di individuazione delle aree da destinare agli insediamenti commerciali costituisce "strumento urbanistico" (art. 6, comma 2, alinea e lett. a), ed è in tale strumento che devono essere individuate le suddette aree sia dettate tutte le prescrizioni urbanistiche di specie.

D’altra parte, tale interpretazione appare del tutto ragionevole anche sul piano logico – sistematico, non essendo certo coerente con il principio del buon andamento amministrativo una eventuale duplicazione e distinzione di funzioni di programmazione e pianificazione con riferimento al medesimo territorio, con la conseguente, paradossale intersecazione di atti generali e/o di pianificazione. La ratio della legislazione nazionale è riconfermata dalla L.R. n. 1 del 2000, che, definendo l’atto di programmazione "strumento di intervento per l’apparato distributivo", affida a tale atto le localizzazioni delle medie e grandi strutture di vendita, nel rispetto delle destinazioni d’uso delle aree e degli immobili stabilite dallo stesso strumento, definendolo nel contempo "piano di strumento integrato del PRG" (art. 13).

Anche la disciplina regionale, quindi, conferma la duplice funzione svolta dall’atto di programmazione, cui viene espressamente riconosciuta sia funzione di programmazione commerciale che di programmazione urbanistica.

Alla luce di quanto esposto, occorre ritenere che lo "strumento di intervento per l’apparato distributivo" (secondo la definizione data dalla legge regionale all’atto di programmazione indicato dall’art. 6 D.Lgs. n. 114 del 1998) deve definire (ed esaurire) l’esercizio del potere di programmazione e di pianificazione del territorio, ai fini urbanistici e commerciali.

Tanto emerge chiaramente dal richiamato articolo 13 della legge regionale, laddove nel medesimo comma 1, dopo aver prescritto che "i comuni devono adeguare gli strumenti urbanistici generali ed attuativi …. agli indirizzi di programmazione stabiliti dalla presente legge …" , prevede l’obbligo per i medesimi enti di dotarsi dello strumento di intervento per l’apparato distributivo, al quale è assegnato il compito di stabilire la destinazione d’uso delle aree e degli immobili, costituendo esso strumento integrato del PRG.

Da tutte le considerazioni sopra esposte, dunque, deriva che il SIAD, nell’individuare le aree sulle quali poter allocare le attività commerciali, ben può indicare zone del territorio comunale per le quali il PRG non prevede tale destinazione, derivando da ciò una variazione ovvero una integrazione delle previsioni dello strumento urbanistico, conformemente alla natura dello strumento di programmazione previsto dal citato art. 13, che costituisce "piano di strumento integrato del PRG".

Sulla base dei principi affermati in tale decisione, si può passare ad esaminare le specifiche disposizioni dettate – riguardo all’allocazione delle medie strutture di vendita nel territorio del Comune considerato – anzitutto dalla delibera di C. C. di Ariano Irpino, n. 19/2009, di adozione del S. I. A. D.

In detto piano di settore – come si evince dall’analisi delle relazione illustrativa e delle planimetrie (n. 13 P.b e n. 14 P.c) allegate – sono stati individuati due specifici ambiti territoriali, nei quali allocare le medie strutture di vendita, vale a dire gli ambiti "Martiri" e "Grignano – Variante", laddove in località Petrara, dov’è ubicato l’immobile della proprietà della ricorrente, non è stata prevista analoga possibilità.

In particolare, nella relazione illustrativa si legge: "Si è ritenuto pertanto possibile prevedere la conservazione della media distribuzione esistente e, in generale, della rete distributiva attuale, prevedendo una modesta integrazione della media distribuzione per la sola merceologica extra – alimentare in zone circoscritte localizzate ai margini del territorio maggiormente urbanizzato e consolidato (ambiti denominati "Martiri" e "Grignano – Variante"), da considerare anche come possibili ambiti di delocalizzazione per le medie strutture preesistenti".

E, più avanti: "in definitiva, la determinazione del numero di nuove attività di media distribuzione previste dal S. I. A. D. è la seguente (vedi anche gli elaborati grafici della serie "P"): – nelle "aree per commercio in medie strutture di vendita": – ambito 1 – "Martiri": n. 1 nuova apertura di tipo M1E; – ambito 2 "Grignano – Variante": n. 1 nuova apertura di tipo M1E (…)".

Le suddette circostanze, peraltro, sono state oggetto di contestazione, da parte della difesa della società ricorrente, la quale ha osservato come invece la discussione – in sede di approvazione del S. I. A. D. – si sia appuntata unicamente sulla fissazione del contingente numerico degli impianti da autorizzare, mentre per ciò che concerne la loro localizzazione l’unica condizione – espressa in particolare a pag. 30 del relativo verbale – sarebbe stata quella di collocarli in zone periferiche del territorio comunale, con la conseguenza che, essendo per l’appunto la località prescelta (via Petrara) una zona periferica, sarebbe stata pienamente rispettata l’unica vera prescrizione, di natura localizzativo – urbanistica, derivante dal S. I. A. D. in questione.

Tuttavia, dalla lettura della parte interesse del verbale non pare evincersi una volontà nel senso di consentire indiscriminatamente, in ogni zona periferica, l’insediamento di medie strutture di vendita, venendo piuttosto in risalto l’intenzione di stabilire anche in quali zone periferiche le stesse debbano essere ubicate ("Nelle due periferie verrebbero aperte due medie distribuzioni, diciamo così, una nella zona Cardito e una nella zona Martiri" (…) "Se a Martiri o a Cardito non lo decidiamo noi, ma lo si decide in sede di bando" (…) Un bando che in qualche modo individuerà nelle zone periferiche o Martiri o Cardito l’area che sarà dotata anche di alimentari e l’area che, invece, prevederà una media distribuzione senza alimentari"); in ogni caso, e decisivamente, non pare davvero che da tali scarne indicazioni, provenienti dal dibattito consiliare, si possa desumere la previsione di una licenza indiscriminata di realizzare medie strutture di vendita, in ogni zona della periferia dell’abitato, e tanto in palese contrasto con le indicazioni – di natura cogente – derivanti dalle specifiche prescrizioni al riguardo, contenute nella relazione di accompagnamento e nelle tavole di zonizzazione.

Non può del resto fondatamente dubitarsi della cogenza di queste ultime, se solo si pone mente all’indirizzo consolidato della giurisprudenza, espresso nella seguente massima: "Le indicazioni grafiche contenute nelle planimetrie allegate allo strumento urbanistico hanno natura di prescrizioni precettive, alla luce e nei limiti delle prescrizioni normative contenute nello stesso piano; pertanto, la rappresentazione grafica di uno strumento urbanistico ne costituisce parte integrante, salvo che si pongano in contrasto con le prescrizioni normative" (Consiglio Stato, sez. IV, 13 novembre 1998, n. 1520).

Ma nella specie alcun contrasto è dato ravvisare tra prescrizioni grafiche e prescrizioni normative del piano, posto che le uniche zone, in cui è consentito l’insediamento di medie strutture di vendita, come risultanti dalle relazione illustrativa e dalle planimetrie allegate al S. I. A. D., sono appunto due zone periferiche, venendo così soddisfatta anche la condizione, emergente dalla discussione sorta in sede di approvazione dello strumento in questione.

Ne risulta, in definitiva, confermato che, nella specie, il S. I. A. D. non consente l’ubicazione di una struttura commerciale, del tipo di quella che la società ricorrente intenderebbe impiantare, nella zona, seppur periferica (località Petrara) dov’è ubicato l’immobile, di proprietà di quest’ultima.

Né tali conclusioni possono essere revocate in dubbio, in base alla considerazione del concreto contenuto del visto di conformità, apposto al S. I. A. D. in questione, con decreto del dirigente del Settore Regolazione dei Mercati della Regione Campania, n. 410 del 3.09.2010.

Se è vero, infatti, che in detto atto il dirigente ebbe a "precisare che il parametro numerico della media distribuzione previsto dal S. I. A. D. dovrà essere considerato come una previsione ottimale per un equilibrato sviluppo tra le varie forme di distribuzione commerciale, ma non cogente", è vero altrettanto che detta precisazione appare piuttosto idonea a incidere sul contingente numerico degli esercizi di tal genere, derivante dal S. I. A. D., ma non pare in grado di determinare il venir meno delle previsioni urbanistiche, in esso contenute, che destinano esclusivamente talune zone del territorio comunale a tali insediamenti.

Quindi la prescrizione derivante dal visto di conformità della Regione opera nel senso di escludere, in ossequio ai principi della liberalizzazione del commercio, che nelle zone, individuate come possibili aree di ubicazione di medie strutture di vendita, possano operare, con carattere di cogenza, limiti quantitativi; ma la sua valenza non può essere dilatata fino al punto di cancellare anche l’individuazione delle zone "de quibus", operata nel piano di settore, come possibili aree di allocazione di tali strutture.

Ritenere diversamente (vale a dire che: "La individuazione degli ambiti "Martiri" e Grignano" attiene alle aree dove era spendibile il previsto contingente, superato il quale viene meno la relativa limitazione") significherebbe, in pratica, negare al Comune qualsivoglia potere di regolare lo sviluppo della rete di distribuzione commerciale nel proprio territorio, il che non è evidentemente possibile: l’introduzione del contingente numerico – vietata – va tenuta ben distinta, a parere del Collegio, dall’individuazione di zone del territorio comunale, compatibili sotto il profilo urbanistico con la media (e grande) distribuzione, che costituisce attività di programmazione integrata del territorio, da ritenersi invece consentita.

Si consideri, a tale riguardo, che l’all. A alla Delib. della G.R. n. 816 del 26 novembre 2010 (prodotta dalla difesa della ricorrente, a dimostrazione dell’intervenuta liberalizzazione del settore e della non operatività dell’unico limite, opposto dal Comune) prevede, quanto alle medie strutture di vendita, il contrasto dell’art. 15 L.R. n. 1 del 2000 (facoltà per il S. I. A. D. di determinare il numero delle strutture di nuova realizzazione) rispetto alle disposizioni di cui all’art. 14, comma 1 n. 5 della direttiva servizi, dell’art. 11 comma 1 lett. e) del D.Lgs. n. 59 del 2010 e dell’art. 4, comma 1, lett. e), del Regolamento n. 11/2010, con conseguente necessità di disapplicare la prefata disposizione di legge regionale: ciò tuttavia in quanto "è considerato requisito vietato il contingente numerico" (e soltanto quest’ultimo).

Del resto, con delibera di G. C., n. 151 dell’11.05.2010, veniva attestata la conformità delle previsioni del S. I. A. D. con le norme del P. U. C., adottato con delibera di C. C., n. 26 del 17.04.2009 (nel dispositivo, al punto n. 1), si legge: "Le scelte di localizzazione delle strutture distributive sono coerenti con il Piano Urbanistico Comunale approvato con decreto del Presidente della Provincia di Avellino, n. 1 del 22.03.2010").

Orbene, s’è visto, in base alla prefata decisione della Sezione, n. 13082/2010, che il SIAD, nell’individuare le aree sulle quali poter allocare le attività commerciali, ben può indicare zone del territorio comunale per le quali il PRG non prevede tale destinazione, derivando da ciò una variazione ovvero una integrazione delle previsioni dello strumento urbanistico.

A maggior ragione nel caso di specie, in cui vi è consonanza tra le previsioni dello strumento urbanistico ed il piano integrato di settore, deve predicarsi la perdurante vincolatività, pur dopo l’introduzione nell’ordinamento delle leggi di liberalizzazione del settore commerciale, delle indicazioni di natura urbanistica – comuni, nella specie, ai due programmi – volte a definire le aree del territorio comunale, in cui è possibile allocare strutture di media distribuzione, restando esclusivamente preclusa, all’Amministrazione Comunale, la possibilità di fissare contingenti di tipo numerico all’interno delle aree, in tal modo individuate.

Le conclusioni testé raggiunte impongono la reiezione della censura, articolata sub 1) del secondo atto di motivi aggiunti, senza che sia necessario esaminare, in dettaglio, le ulteriori argomentazioni di parte ricorrente e le correlative repliche del Comune: una volta stabilito, infatti, che è tuttora vigente la preclusione ad insediare medie strutture di vendita nelle aree del territorio comunale, non individuate (nel P. U. C. e) nel S. I. A. D. come possibili ambiti di destinazione delle medesime, sarebbe ultroneo discettare della completezza od incompletezza della domanda, ovvero del permesso di costruire, a suo tempo rilasciato per l’edificazione dell’immobile, etc.

Resta soltanto da analizzare la seconda doglianza, sollevata nei motivi aggiunti in questione, impingente nella dedotta violazione delle garanzie partecipative, "sub specie" della violazione dell’art. 10 bis della L. n. 241 del 1990, poiché avrebbe fatto difetto, nella specie, la considerazione e la puntuale confutazione delle osservazioni, rassegnate dalla società ricorrente, a seguito della ricezione del preavviso del terzo diniego (preavviso la cui mancanza, del resto, aveva determinato l’accoglimento della domanda cautelare, proposta avverso il secondo diniego, in precedenza licenziato dall’Amministrazione Comunale di Ariano Irpino).

Ritiene il Tribunale che la censura non possa essere accolta, posto che nel provvedimento impugnato s’è dato atto dell’istruttoria compiuta – mercé l’acquisizione del parere dell’U. T. C. di cui s’è detto sopra – e si è specificato che le controdeduzioni della società ricorrente erano state riscontrate, proprio mercé la richiesta di chiarimenti, sugli aspetti urbanistici della questione, rivolta all’Ufficio Tecnico Comunale; se ne desume, in maniera palese, come la risposta, da detto Ufficio fornita al Settore Attività Produttiva, servisse, nell’intento del firmatario di detto provvedimento, a contrastare proprio le osservazioni, formulate dalla società ricorrente.

In presenza di siffatta situazione, la denunziata censura non può ridondare in illegittimità dell’atto in questione, alla luce del prevalente indirizzo giurisprudenziale in materia, espresso, "ex multis", nelle massime seguenti: "Gli obblighi dell’Amministrazione inerenti il contraddittorio procedimentale con le parti private non implicano la confutazione puntuale di tutte le osservazioni svolte dagli interessati e dai controinteressati, essendo sufficiente che dagli atti del procedimento risulti che le osservazioni siano state valutate, e che il provvedimento finale sia corredato da una motivazione idonea a rendere nella sostanza percepibile la ragione del loro mancato accoglimento" (T. A. R. Toscana Firenze, sez. II, 3 marzo 2010, n. 592); "L’art. 10 bis, L. n. 241 del 1990 non impone la puntuale, analitica confutazione delle osservazioni presentate dalla parte privata a seguito della ricezione della comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, essendo sufficiente ai fini della giustificazione del provvedimento adottato la motivazione complessivamente resa a sostegno dell’atto stesso" (T. A. R. Campania Napoli, sez. VII, 7 maggio 2010, n. 3072).

In definitiva, i secondi motivi aggiunti in esame vanno respinti.

Sussistono, per la complessità delle tematiche trattate, giustificate ragioni per compensare integralmente, tra le parti, le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, dichiara improcedibili, per sopravvenuta carenza d’interesse, l’atto introduttivo del giudizio e i primi motivi aggiunti; respinge i secondi motivi aggiunti, nei sensi di cui in parte motiva.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso, in Salerno, nella camera di consiglio del giorno 7 dicembre 2011, con l’intervento dei magistrati:

Luigi Antonio Esposito, Presidente

Ferdinando Minichini, Consigliere

Paolo Severini, Consigliere, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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