Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 14-07-2011) 07-12-2011, n. 45865

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. In data 22.11.2010, il Tribunale di Reggio Calabria, costituito ai sensi dell’art. 309 c.p.p., confermava l’ordinanza emessa dal Gip dello stesso tribunale, in data 14.9.2010, con la quale veniva applicata la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di A.G. per il delitto di partecipazione all’associazione di tipo mafioso denominata ‘ndrangheta, operante nel territorio di Reggio Calabria e provincia, ed in particolare al locale di (OMISSIS); per il reato di cui alla L. n. 356 del 1992, art. 12 quiquies, aggravato ex D.L. n. 152 del 1991, art. 7, per avere, al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniale, in concorso con A.R. e D., attribuito fittiziamente a T. S., R., e D. ed a G.G. e Z.C. la titolarità formale delle quote sociali della Hotel Ristorante Miramare s.a.s., con l’aggravante di aver commesso il fatto avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416 bis c.p.. e per agevolare l’organizzazione mafiosa facente capo agli Aquino di (OMISSIS); per il reato di cui all’art. 513 bis c.p., aggravato ex D.L. n. 152 del 1991, art. 7, perchè in concorso con A.R. poneva in essere atti di illecita concorrenza sleale finalizzati al controllo del mercato della fornitura del ferro, imponendo agli imprenditori di rifornirsi per il tramite della Nuova Edil di Aquino Giuseppe & C s.a.s., tra (OMISSIS).

2. Premesso il richiamo al contenuto dell’ordinanza genetica, il tribunale riteneva sussistenti i gravi indizi di colpevolezza a carico di A.G. (cl. (OMISSIS)) attualmente latitante, in ordine alle predette contestazioni.

2.1. Quanto al reato (capo I) di intestazione fittizia delle quote sociali e beni aziendali della società che gestiva l’hotel ristorante (OMISSIS), la riconducibilità effettiva dell’attività alla famiglia mafiosa degli Aquino veniva fondata sugli elementi tratti essenzialmente dalle conversazioni intercettate.

Il tribunale, a fronte delle allegazioni difensive, affermava che, impregiudicate le pregresse vicende proprietarie e di gestione dell’attività alberghiera, doveva ritenersi che da una certa epoca in poi la disponibilità effettiva della stessa non fosse riferibile al formali intestatari bensì è fratelli A., laddove T. S. non svolge più alcun ruolo, mentre lo Z. era e continua ad essere un dipendente dell’azienda.

2.2. Quanto al reato di cui all’art. 513 bis c.p. (capo O) veniva affermata l’esistenza di una intermediazione parassitaria posta in essere dalla famiglia Aquino nel mercato del ferro attraverso la società Nuova Edil intestata ai fratelli A.R. e A. G.. Ad avviso del tribunale, attraverso detta società i fratelli detenevano il controllo del commercio del ferro per l’edilizia nel territorio di (OMISSIS).

Doveva ritenersi evidente che l’attività commerciale gestita dai fratelli A. si reggesse su un clima di intimidazione che ha avuto l’effetto di alterare il libero mercato, intimidazione non necessariamente esplicita derivante dall’appartenenza degli stessi alla criminalità organizzata.

2.3. Indicato, quindi, il compendio indiziario in ordine all’esistenza della c.d. Provincia e richiamate le pregresse vicende della cosca Aquino, facente capo ad A.S., in perenne conflitto con la cosca dei Mazzaferro, il tribunale evidenziava che dalle indagini emergeva la circostanza che i nipoti del suddetto, R., G. e D. erano stati individuati come gli eredi nella gestione degli affari illeciti della famiglia.

3. Avverso la predetta ordinanza ricorre A.G., a mezzo dei difensori di fiducia.

3.1. Con riferimento al capo I) deduce la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, il travisamento della prova e la violazione di legge con riferimento al reato contestato ed all’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7.

In primo luogo rileva che tutti gli elementi sui quali è stata fondata la valutazione in ordine alla intestazione fittizia riguardano esclusivamente A.R. e non G.. Contesta l’interpretazione del contenuto della conversazione intercettata il 24.8.2008 tra il ricorrente e tale (OMISSIS); rileva che la presenza dell’ A. presso l’albergo era del tutto giustificata essendo lo stesso – come documentato – un dipendente a far data dal 2002.

Il ricorrente, quindi, rileva che il tribunale non ha tenuto conto in alcun modo delle vicende della società nel corso del tempo ed in particolare, dei successivi passaggi e cessione delle quote. In specie, ha omesso di considerare che in realtà A.R. ha assunto, a seguito di una scrittura privata stipulata con T. S. nel (OMISSIS), la qualità formale di socio avendo acquistato quote sociali per un valore nominale di Euro 35.000 con la contestuale costituzione di un diritto di prelazione per le residue quote societarie da esercitarsi nel 2012. Detta scrittura privata, a differenza di quanto sostenuto dal tribunale, assume valore formale indipendentemente dalla circostanza della mancata pubblicità dell’atto.

Inoltre, il tribunale ha travisato il contenuto delle dichiarazioni del collaboratore Ma. sul punto, come dimostra il fatto che all’epoca in cui fu costruito l’Hotel (OMISSIS) il ricorrente aveva appena dieci anni ed il fratello del Ma., P., aveva undici anni.

Nessuna motivazione veniva data dal giudice del riesame in ordine alla prospettata finalità di eludere i provvedimenti In materia di prevenzione patrimoniale posto che, tra l’altro, A.R. e G. erano stati proposti per l’applicazione della misura patrimoniale e personale che, invero, erano state rigettate, A. D., del tutto incensurato, non era mai stato proposto per l’applicazione di misure di prevenzione. E del resto, i predetti A. avevano in quegli stessi anni acquistato formalmente altri beni, circostanza logicamente incompatibile con l’assunto della fittizia intestazione della società oggetto del sequestro.

3.2. Quanto alla contestazione di cui al capo O), il ricorrente deduce il vizio di motivazione e la violazione di legge in ordine alla sussistenza degli indizi di colpevolezza per il reato di cui all’art. 513 bis c.p. tratti esclusivamente da conversazioni intercettate delle quali è stato totalmente travisato il significato e la rilevanza. Nessuno degli elementi costitutivi del reato contestato può trarsi dal contenuto delle conversazioni richiamate nell’ordinanza impugnata; nè può assumere alcun rilievo la forma organizzativa dell’attività di impresa: presenza di operai, di mezzi di trasporto o di locali di deposito.

Censura, altresì, l’omessa motivazione e la violazione di legge avuto riguardo all’aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7. 3.3. Con l’ultimo motivo di ricorso si lamenta la mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione, nonchè, la violazione di legge in relazione agli indizi della partecipazione dell’ A. al sodalizio mafioso in contestazione.

In primo luogo vengono contestate, indipendentemente dalla loro rilevanza ai fini della valutazione in oggetto, le circostanze di fatto affermate nell’ordinanza impugnata: si nega che il ricorrente si sia occupato di far pervenire allo zio il quotidiano Gazzetta del Sud (nella conversazione intercettata con il cugino omonimo si fa riferimento piuttosto ai settimanale "(OMISSIS)"); del tutto infondata è la circostanza che il ricorrente si sia recato a far visita in carcere allo zio; il fatto che il ricorrente abbia contattato il difensore che si è occupato del procedimento relativo al regime di detenzione speciale cui lo zio era sottoposto trova logica spiegazione del fatto che si trattava del medesimo difensore del ricorrente. Peraltro, anche se si volesse considerare l’esistenza di rapporti tra il ricorrente ed A.S., nessun elemento dimostrativo se ne potrebbe trarre quanto all’appartenenza al sodalizio criminale in oggetto, atteso che il predetto A. S. non ha mai subito una condanna per associazione mafiosa, essendo stato condannato, invece, per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 risalente al 1993. 3.4. Con nota depositata in udienza, il ricorrente ha richiamato alcune decisioni di questa Corte relative a coindagati nello stesso procedimento cui è seguito l’annullamento delle ordinanze impugnate ed ha evidenziato che l’attualità del ruolo di vertice del sodalizio criminale di A.S., zio del ricorrente, e dei collegamenti dello stesso con il contesto di ‘ndrangheta sono contraddetti dalla circostanza che allo stesso è stato revocato il regime di detenzione speciale di cui all’art. 41 bis Ord. Pen. sin dal marzo 2010.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato nei termini di seguito indicati.

1. Quanto alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi a carico di A.G. in ordine al reato di cui alla L. n. 356 del 1992, art. 12 quinquies contestato al capo I) deve rilevarsi che se è vero che si tratta di una fattispecie a forma libera, che si concretizza nell’attribuzione fittizia della titolarità o disponibilità di denaro o beni realizzata con qualunque modalità, al fine di eludere specifiche disposizioni di legge, ciò richiede, comunque, la sussistenza di elementi tali da desumere che il soggetto si trovarsi in un rapporto di signoria con il bene.

L’ordinanza impugnata, invero, si diffonde lungamente sugli elementi di fatto dai quali trae la riferibilità dell’attività alberghiera ai fratelli A.: l’Interessamento costante e diretto per i recenti lavori di ristrutturazione dell’albergo che ne consentivano la riclassificazione, da parte di A.R. che si era occupato anche dell’assunzione del personale e dell’organizzazione della festa di inaugurazione dei nuovi locali dell’albergo; l’attività più propriamente di gestione svolta dal predetto ai fini della attività per la stagione estiva; l’utilizzazione dei locali dell’albergo da parte dei fratelli A. per i loro personali appuntamenti ed incontri come risultava anche dai servizi di osservazione effettuati dalla polizia giudiziaria. Venivano, altresì, ritenute rilevanti: la conversazione intercetta il 25.7.2009 tra T.V. e M.R. nella quale quest’ultimo indicando l’albergo commentava: "questo il miglior business di (OMISSIS)…speriamo che gli vadano bene le cose e non lo arrestino", dove il riferimento ad A.R. si palesava immediatamente dopo perchè il T. fermava l’autovettura e intratteneva un colloquio con il predetto che affermava di trovarsi al lavoro; la conversazione intercettata il 24.8.2008 nella quale A.G. reagiva all’affermazione del proprio interlocutore che gli attribuiva l’hotel (OMISSIS); le circostanze riferite da alcuni testimoni che indicavano A.R. come titolare dell’albergo; le circostanze indicate dal collaboratore di giustizia Ma.Ro..

Tuttavia, ad avviso del Collegio, assolutamente esigui e scarsamente significativi ai fini della sussistenza della gravità indiziaria sono gli elementi fattuali oggetti va mente valutabili riferibili al ricorrente. La gran parte delle circostanze indicate dal tribunale, infatti, si riferiscono ad A.R., fatto salvo per la generica indicazione di una testimone e per l’accertata presenza di A.G. presso l’albergo che in sè non può assumere alcun significato sotto il profilo della disponibilità di fatto della gestione dell’attività. Nè, invero, appare logicamente desumibile la posizione di dominus che si vuole riferire al ricorrente dal passaggio della conversazione intercettata il 24.8.2008, ovvero, dalla circostanza generica e non collocata nel tempo riferita dal collaboratore Ma.Ro. che ha affermato: "vi è un albergo denominato (OMISSIS) che attualmente è di proprietà di G. e A.R…. Tale albergo è stato costruito con il danaro di Ma.Pa., quando mio fratello era ancora In vita…".

Il tribunale, quindi, ha argomentato la sussistenza della gravità indiziaria in ordine al reato contestato ad A.G. sulla base di una ricostruzione dei fatti e di un’analisi delle emergenze processuali che non appare congruente con le contestazioni formulate.

Lo sviluppo argomentativo della motivazione non è fondato su una coerente analisi critica degli elementi indizianti dotata di adeguata plausibilità logica e giuridica tale da attribuire a detti elementi il requisito della gravità.

Peraltro, il tribunale ha omesso una compiuta motivazione sia in merito alla circostanza che il ricorrente fosse dipendente della società che gestiva l’albergo dal 2002, sia in ordine alla doglianza difensiva relativa all’assenza dei presupposti per ritenere sussistente il dolo specifico del delitto di cui al D.L. 8 giugno 1992, n. 306, art. 12 quinquies, con. in L. 7 agosto 1992, n. 356.

Infatti, il tribunale, si è limitato ad affermare in maniera apodittica, che "non è revocata in dubbio la pregressa titolarità o gestione dell’attività in questione ed i suoi successivi snodi attraverso sviluppi…quanto piuttosto che da un determinato momento in avanti – ed a tutt’oggi – la concreta e fattuale disponibilità dell’attività imprenditoriale non è radicata in capo agli intestatari formali della stessa, bensì ai fratelli A.".

Pertanto, l’ordinanza sul punto deve essere annullata con conseguente nuovo esame del tribunale in ordine alla gravità indiziaria.

2. Fondate sono, altresì, le doglianze in ordine alla contestazione di cui al capo O) del reato di cui all’art. 513 bis c.p..

Ad avviso del tribunale, attraverso detta società i fratelli detenevano il controllo del commercio del ferro per l’edilizia nel territorio di (OMISSIS); la famiglia Aquino poneva in essere una intermediazione parassitaria nel mercato del ferro attraverso la società Nuova Edil intestata ai fratelli A. R. e A.G.. Tanto poteva trarsi da conversazioni intercettate tra A.R. ed i responsabili di alcune ditte riproduttrici del ferro in Sicilia alle quali il predetto chiedeva la quotazione del ferro che a sua volta comunicava ad altri interlocutori. Significativa, altresì, veniva ritenuta la circostanza che la società intestata agli A. non possedeva alcuna struttura operativa (sede, operai, mezzi di trasporto) ma effettuava esclusivamente attività di intermediazione consentita dalla forza di intimidazione dell’organizzazione criminale di appartenenza.

Come è stato già affermato da questa Corte, In diversa composizione, in relazione al ricorso proposto da A.G. avverso l’ordinanza con la quale il Tribunale di Reggio Calabria aveva confermato il provvedimento di sequestro preventivo delle quote sociali e del beni aziendali della Nuova Edil, il tribunale ha considerato sussistenti i gravi indizi di colpevolezza in ordine all’ipotesi delittuosa di cui all’art. 513 bis c.p., senza indicare le condotte violente ovvero minacciose poste in essere dall’indagato ai fini di cui alla norma incriminatrice. "Secondo pacifica lezione ermeneutica, infatti, l’ambito di applicabilità dell’art. 513 bis c.p., che prevede come reato l’illecita concorrenza con minaccia o violenza, è ristretto alle condotte concorrenziali attuate con atti di coartazione che inibiscono la normale dinamica imprenditoriale, per cui vi rientrano i tipici comportamenti competitivi che si prestano ad essere realizzati con mezzi vessatori (quali il boicottaggio, lo storno di dipendenti, il rifiuto di contrattare, etc.), rimanendo invece escluse, siccome riconducibili ad altre ipotesi di reato, le condotte di coloro i quali, in relazione all’esercizio di attività imprenditoriali o commerciali, compiano atti intimidatori al fine di contrastare od ostacolare l’altrui libera concorrenza (Sez. 2, n. 35611, 27/06/07, Tarantino, rv.237801). E comunque il delitto ex art. 513 bis c.p. punisce esclusivamente l’alterazione delle regole a presidio della libera concorrenza realizzata mediante minaccia o violenza (Sez. 2, n. 20647, 11/05/10, rv. 247272). Ciò posto, il tribunale del riesame non ha indicato nella vicenda dedotta in giudizio alcuna condotta minacciosa ovvero violenta, neppure nelle forme note del metus indotto dalla mafiosità, specificando i destinatari di un siffatto atteggiamento: l’interposizione commerciale, civilisticamente riferibile al contratto di mediazione, ovvero anche a una negoziazione atipica, sorretta però da una causa civile volta al perseguimento di finalità pratiche non contra legem ed anzi riconosciuta in tutte le pratiche di compravendita (mobiliare e immobiliare), non appare idonea ad integrare, sol perchè qualificata parassitaria, una condotta ricondicibile al reato in esame, sia perchè oggettivamente esclusa dalla tipizzazione delittuosa sia perchè, nello specifico, consumata senza che il tribunale ne abbia chiarito i profili violenti o minacciosi. In tale prospettiva, poi, non soccorrono le conversazioni intercettate tra A.G. (ma soprattutto il fratello R.) ed il B. ed altri soggetti, dalle quali il tribunale ha, infatti, omesso di enucleare i profili di interesserai fini del riconoscimento in esse del requisiti richiesti di violenza o minaccia volti all’alterazione della concorrenza" (Sez. 1, n. 35657, 06/07/2011).

3. Ad avviso del Collegio, l’ordinanza impugnata deve essere annullata anche con riferimento alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di partecipazione di A.G. all’associazione di cui all’art. 416 bis c.p..

Il tribunale ha argomentato in ordine alla circostanza che R., G. e A.D., nipoti di A.S., capo della omonima cosca ristretto in carcere da oltre dieci anni, sono stati individuati come gli eredi nella gestione degli affari illeciti della famiglia. E’ stato evidenziato che i predetti nipoti effettuavano i colloqui in carcere nei quali riferivano ed aggiornavano lo zio di tutte le vicende; che si occupavano di tutti gli aspetti burocratici delle vicende processuali del predetto; che avevano, in particolare Giuseppe, i contatti con il legale di fiducia del detenuto al fine di pervenire alla revoca del regime di detenzione speciale.

Sono state, altresì, richiamate le circostanze emerse da alcune conversazioni intercettate relativamente all’interesse della famiglia Aquino agli esiti delle consultazioni elettorali amministrative del Comune di (OMISSIS) del (OMISSIS); nonchè, una conversazione intercettata il 14.7.2008 a bordo dell’auto in uso al T. nel corso della quale questi, parlando con M. R., commenta la condotta dei fratelli A. affermando che "vogliono tutto l’oro… dove stanno i soldi ci stanno loro".

Tuttavia, nell’ordinanza impugnata non vengono indicati elementi oggettivamente valutabili dell’assunto affermata in specie per quanto attiene alla posizione del ricorrente. Il contenuto dei colloqui in carcere avrebbe significato chiaro, ma non vengono indicate le circostanze da cui viene tratto detto convincimento, atteso che ben scarso significato può essere attribuito alla frase: "potete stare tranquillo che stiamo tutti bene in famiglia". Nè, invero, l’interessamento presso il difensore per seguire le vicende della revoca del regime detentivo speciale può considerarsi espressione di un contributo causale alla vita del sodalizio, ancorchè fondato su legami familiari. In una descrizione assai ampia di un contesto criminale nel quale si fa riferimento indistintamente ai fratelli A., ad A.G. viene fatto soltanto un non più che sporadico richiamo; pertanto, il percorso giustificativo in ordine al coinvolgimento del ricorrente nelle conversazioni ed alla rilevanza delle stesse ai fini della valutazione della qualificata probabilità della partecipazione al sodalizio risulta apodittico.

In conclusione, l’ordinanza impugnata deve essere annullata su tutti i punti indicati con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Reggio Calabria.

La cancelleria dovrà provvedere all’adempimento prescritto dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Reggio Calabria.

Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al Direttore dell’Istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *