Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 14-07-2011) 07-12-2011, n. 45864

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. In data 2.9.2010, il Tribunale di Reggio Calabria, costituito ai sensi dell’art. 309 c.p.p., confermava l’ordinanza emessa dal Gip dello stesso Tribunale, in data 16.7.2010, con la quale veniva applicata la misura della custodia cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di R.S. per il delitto di partecipazione all’associazione di tipo mafioso denominata ‘ndrangheta, operante nel territorio di Reggio Calabria e provincia e in altre parti di quello nazionale ed, in particolare, per avere rivestito il ruolo di vertice del locale di (OMISSIS).

2. Il Tribunale, premesso che dall’esito delle indagini si desumevano numerosi elementi idonei a dimostrare l’esistenza in seno all’organizzazione della ‘ndrangheta di un organismo di vertice, denominato Provincia, evidenziava che a seguito dell’arresto, dopo lunga latitanza, e della successiva morte nel (OMISSIS) di P. A., capo indiscusso dell’omonima cosca di San Luca, ruolo di vertice nella famiglia veniva assunto dal figlio P.G..

Veniva accertato attraverso video-riprese fatte all’esterno della abitazione in (OMISSIS) che il predetto, ancorchè sottoposto alla misura di prevenzione, riceveva costantemente numerosi personaggi di rilievo della criminalità organizzata reggina. Nel febbraio 2010 veniva, quindi, avviata una intensa attività di intercettazione ambientale nella predetta abitazione dalla quale emergevano circostanze univoche poste a fondamento della contestazione che riguarda, tra gli altri, il R.. In specie, tra il 28.2.2010 ed il 9.4.2010 venivano registrate numerose conversazioni aventi ad oggetto la nomina del capo locale di (OMISSIS) tra gli appartenenti a due opposte fazioni degli Zavattieri e dei Tripodi.

Ad avviso del tribunale, dovevano ritenersi sussistenti i gravi indizi in ordine alla attuale e perdurante partecipazione del R. al sodalizio, nonostante l’età avanzata, tanto che interveniva ad una riunione finalizzata ad importanti decisioni.

Quanto alle esigenze cautelari vengono richiamate le valutazioni dell’ordinanza genetica sottolineando che le circostanze emerse dalle indagini delineavano una personalità dell’indagato, benchè novantenne, pienamente inserito nelle vicende del sodalizio criminale, tanto che partecipa alle riunioni, nonostante le precarie condizioni di salute già adeguatamente valutate.

3. Avverso la predetta ordinanza ricorre il R., a mezzo del difensore di fiducia, deducendo con un unico motivo di ricorso la violazione di legge ed il vizio di motivazione sia in relazione alla ritenuta sussistenza di gravi indizi di colpevolezza per il reato di cui all’art. 416 bis c.p., sia alla sussistenza delle esigenze cautelari.

Il tribunale ha recepito acriticamente le valutazioni del Gip senza tenere conto degli elementi favorevoli all’indagato, primo tra tutti l’incensuratezza.

Gli indizi sono stati tratti esclusivamente da conversazioni intercettate tra terzi senza alcun riscontro, con conseguente incertezza sulla riferibilità al ricorrente. Peraltro, emerge che il R. viene indicato come un vecchio in precarie condizioni di salute che non è in grado di reggere la carica di capo locale;

tanto, evidentemente, risulta in contraddizione con l’affermata attuale ed attiva partecipazione al sodalizio.

In ordine alle esigenze cautelari il ricorrente contesta la mancata valutazione da parte del tribunale della copiosa documentazione sanitaria prodotta al fine di attestare le patologie gravi dalle quali è affetto il ricorrente, unitamente alle altre circostanze (incensuratezza, ruolo svolto, stato di detenzione di tutti i coindagati).

Motivi della decisione

1. Il vaglio di legittimità demandato a questa Corte non può non arrestarsi alla verifica del rispetto delle regole della logica e della conformità ai canoni legali che presiedono all’apprezzamento dei gravi indizi di colpevolezza, prescritti dall’art. 273 c.p.p. per l’emissione dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, senza poter attingere l’intrinseca consistenza delle valutazioni riservate al giudice di merito.

Va ribadito, altresì, che "gli indizi raccolti nel corso delle intercettazioni telefoniche possono costituire fonte diretta di prova della colpevolezza dell’imputato e non devono necessariamente trovare riscontro in altri elementi esterni, qualora siano: a) gravi, cioè consistenti e resistenti alle obiezioni e quindi attendibili e convincenti; b) precisi e non equivoci, cioè non generici e non suscettibili di diversa interpretazione altrettanto verosimile; c) concordanti, cioè non contrastanti tra loro e, più ancora, con altri dati o elementi certi". (Sez. 4, n. 22391, del 02/04/2003, Quehalliu Luan, rv. 224962). All’evidenza, detto principio vale a maggior ragione con riguardo alla sussistenza dei gravi indizi di cui all’art. 273 c.p.p., per i quali non è richiesta la gravita, precisione e concordanza necessarie al fine di ritenere la c.d. prova indiziaria, bensì la qualificata probabilità della colpevolezza.

Tanto vale anche nel caso di conversazioni tra terzi cui non partecipa l’indagato dalle quali ben possono trarsi elementi da cui desumere un idoneo compendio indiziario senza la necessità di riscontri esterni. Di tal che, le circostanze riferite dai dialoganti nelle conversazioni intercettate devono essere valutate esclusivamente sulla base delle regole e dei criteri generali per lo scrutinio dei presupposti di gravita indiziaria di cui all’art. 273 c.p.p..

2. Tanto premesso, nella specie, deve rilevarsi che con le censure anzidette in ordine alla valutazione del compendio indiziario il ricorrente non contesta il contenuto delle intercettazioni, bensì, l’interpretazione e la valenza indiziante.

Invero, le argomentazioni difensive si sostanziano in ipotesi alternative in fatto precluse in questa sede. Priva di pregio è la censura di genericità, atteso che il tribunale ha indicato specifici fatti nei quali è coinvolto l’indagato, identificato senza dubbio, che emergono con chiarezza dalle conversazioni tra terzi che sono intranei alle vicende.

Il tribunale evidenziava che dalle conversazioni emergeva che dopo la morte di R.A., detto (OMISSIS), nel gennaio (OMISSIS) all’interno del locale di (OMISSIS) si stavano riproponendo le vecchie contrapposizioni. A R.A. era subentrato come reggente l’anziano padre R.S. il quale, tuttavia, non è in grado di reggere la carica di capo locale a causa della età avanzata, pertanto la famiglia Tripodi cercava di approfittare per acquisire il vertice. In tale ambito, in una conversazione intercettata tra P.G. e M.R. il primo afferma di voler ben vedere prima di intervenire al fine di capire la volontà di compare S. che avrebbe sostenuto Z. A. e non T.G. (pag. 17, 20, 23). Si propone un incontro chiarificatore al quale avrebbe partecipato anche il R. il quale era, invece, intenzionato a rinunziare alla presenza (pag.

24); ciononostante, nella conversazione intercettata il 10.3.2010 il M. racconta al P. della riunione della sera precedente e riferisce che era presente il R. (pag. 28-29). Nella conversazione del 9.4.2010 il P. riassume ai suoi interlocutori come si era risolta la questione evidenziando che era stata rispettato il principio della linea attribuendo la carica di capo locale a S.P. (pag. 33).

Il ricorso in ordine alla sussistenza dei presupposti di cui all’art. 273 c.p.p. deve ritenersi inammissibile.

3. E’ infondato il motivo di ricorso in ordine alla valutazione delle esigenze cautelari.

Ribadito che la presunzione di cui all’art. 275 c.p.p., comma 4, che esclude l’applicabilità della custodia in carcere nei confronti di chi ha superato l’età di settanta anni, prevale su quella di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza esclusiva della custodia in carcere di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3, sicchè, anche in tali casi, il mantenimento dello stato di custodia carceraria di ultrasettantenne presuppone la sussistenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza (Sez. 1, n. 1438, 27/11/2008, Froncillo, rv. 242742), ritiene il Collegio che, nella specie, il tribunale ha compiutamente valutato, richiamando la motivazione del primo giudice, la sussistenza delle esigenze cautelari, sia pure in forma attenuata. Ha evidenziando le circostanze emerse dalle indagini che delineano una personalità dell’indagato, benchè novantenne, pienamente inserito nelle vicende del sodalizio criminale, tanto che partecipa alle riunioni, nonostante le precarie condizioni di salute già adeguatamente valutate dal gip. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *