Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 05-07-2011) 07-12-2011, n. 45658

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con provvedimento del 25/7/2007 il G.I.P. del Tribunale di Latina rigettava l’istanza di revoca del sequestro preventivo del complesso edilizio sito in (OMISSIS), sottoposto a vincolo in ragione della commissione del reato p. e p. dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b). A seguito di appello cautelare, il Tribunale di Latina, con ordinanza del 24.10.2007, accoglieva l’impugnazione proposta nell’interesse di B.F., S. S., P.M. e C.R. ed annullava l’ordinanza del G.I.P., conseguentemente revocando il sequestro.

Osservava il Tribunale che gli appellanti erano terzi acquirenti degli immobili asseritamente abusivi – rimasti estranei al processo penale instaurato nei confronti dei loro danti causa – e ne avevano acquisito la proprietà sulla base di atti di compravendita nei quali veniva attestata la loro regolarità amministrativa. Affermava, quindi, che le esigenze cautelari dovevano ritenersi cessate, "atteso che nessun reato potrà commettersi – ovvero nessuna conseguenza di un reato da altri in precedenza commesso può sussistere – nella situazione de qua proprio in regione delle descritte circostanze fattuali". 2. Avverso l’ordinanza del Tribunale proponeva ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Latina. Con sentenza del 13/7/2009 la terza sez. della Corte della Cassazione annullava con rinvio l’ordinanza.

Premetteva la Corte che il procedimento era riferito alla edificazione di un complesso edilizio plurifamiliare delle dimensioni di mq. 2.962 circa, composto da n. 12 unità abitative a schiera, autorizzato con permesso di costruire n. (OMISSIS) in seguito alla falsa rappresentazione (con arbitraria correzione delle tavole del P.R.G.) delle destinazioni urbanistiche di due particelle fondiarie, prospettate come insistenti in "zona residenziale 1B" (e perciò computate nel rapporto piano-volumetrico ai fini della determinazione dell’indice di fabbricabilità fondiario), laddove esse avevano invece ad oggetto un bene pubblico demaniale ed un’area destinata a "verde pubblico" sulla quale era prevista la realizzazione di una strada pubblica.

Osservava ancora la Corte che, secondo la giurisprudenza assolutamente prevalente, oggetto del sequestro preventivo di cui all’art. 321 c.p.p., comma 1, poteva essere qualsiasi bene – a chiunque appartenente e, quindi, anche a persona estranea al reato – purchè esso, anche indirettamente, collegato al reato e, ove lasciato in libera disponibilità, idoneo a costituire pericolo di aggravamento o di protrazione delle conseguenze del reato ovvero di agevolazione della commissione di ulteriori fatti penalmente rilevanti (vedi Cass.: n. 37033/2006, n. 24685/2005, n. 38728/2004, n. 1246/2003, n. 29797/2001, n. 4496/1999, n. 1565/1997, n. 156/1993, n. 2296/1992).

Pertanto, premessa la presenza del "fumus" del reato e la irrilevanza della intervenuta cessione a terzi di parti dell’immobile abusivo;

quanto al "periculum", rilevava che il G.I.P. lo aveva riscontrato nell’aggravamento del cd. carico urbanistico riconnesso all’incremento delle unità immobiliari, in quanto era stata realizzata una volumetria di me. 2820 ben superiore a quella realizzabile di mc. 1.387, evidenziando altresì la intervenuta compromissione delle previsioni di piano aventi ad oggetto la realizzazione della bretella stradale "(OMISSIS)" e l’allacciamento di questa con la via (OMISSIS), in quanto le illecite rettifiche apportate alle tavole del P.R.G. e la edificazione realizzata in eccesso precludevano l’attuazione delle corsie di entrata e di uscita in direzione Sabaudia, rendendo senza sbocco le bretelle in tale direzione. A fronte di tali elementi si imponeva quindi la necessità, venendosi in ipotesi criminosa già perfezionatasi, di verificare la sussistenza del pericolo derivante dal libero uso delle unità immobiliari pertinenti all’illecito penale. In particolare – tenuto anche conto dei criteri direttivi generali enunciati dalle Sezioni Unite (con la sentenza n. 12878/2003, innocenti), andava approfondito il tema della concretezza ed attualità della compromissione dei beni giuridici protetti, sì da stabilire in che misura il godimento e la disponibilità attuale degli immobili poteva implicare una effettiva ulteriore lesione degli interessi tutelati: valutazione che non poteva ritenersi limitata al solo eventuale aggravamento del ed carico urbanistico, ma andava altresì effettuata in relazione alle concrete incidenze compromissorie della complessiva organizzazione del territorio comunale.

La Corte disponeva, pertanto, l’annullamento con rinvio al Tribunale di Latina, per un nuovo esame della vicenda alla stregua dei principi di diritto enunciati.

3. Con nuova ordinanza del 14/l/2010 il Tribunale del Riesame di Latina, in sede di rinvio, respingeva l’appello avverso il decreto del G.I.P. del 25/7/2007 ed avverso ordinanza del Tribunale di Latina, sez. dibattimentale, del 2/2/2009.

Osservava il Tribunale che la illegittimità delle opere era stata attestata da una consulenza tecnica allo stato attendibile e che era stata avvalorata da deposizioni testimoniali attestanti la illegittimità delle variazioni portate alle tavole di piano.

Inoltre persisteva un concreto ed attuale periculum in mora, e sul punto era irrilevante che gli immobili fossero stati alienati a soggetti estranei alla commissione dei reati.

4. Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di B.F., lamentando:

4.1. la violazione di legge ed il difetto di motivazione laddove il Tribunale non aveva valutato che l’unità immobiliare del B. non insisteva su porzioni di terreno inedificabili, cioè sulla particella n. 50, bensì sulle particelle 115, 124, 213 e 214.

Ciò si evinceva dalla Delib. Comune di Sabaudia 8 settembre 2004 che aveva preso atto di errori grafici sugli elaborati planimetrici allegati al PRG del 1977 ed erano stati corretti detti errori (dall’Arch. R.I.). Pertanto la legittimità delle opere inibiva il sequestro e rendeva non configurabile di conseguenza il "periculum" per il corretto assetto urbanistico della zona.

4.2. La violazione di legge ed il difetto di motivazione in relazione alla posizione del terzo danneggiato dai provvedimenti ablativi, ma in buona fede, tenuto anche conto dei mutati orientamenti giurisprudenziali della Suprema Corte intervenuti dopo l’annullamento con rinvio.

Motivi della decisione

3. Il ricorso è infondato.

3.1. Va premesso che, con la sentenza di annullamento, questo giudice di legittimità ha diffusamente motivato sulla sussistenza del "fumus commissi delicti", disponendo il rinvio limitatamente al punto della sussistenza del "periculum in mora". Ne consegue che con l’attuale ricorso non può essere messa in discussione la sussistenza del fumus, attesa la formatasi preclusione sul punto.

Va ricordato, infatti, che l’art. 628 c.p.p., comma 2, limita l’ambito del ricorso per cassazione avverso la sentenza di rinvio alle questioni non decise dalla pronuncia di annullamento; la disposizione mira a realizzare la finalità della tendenziale irrevocabilità e incensurabilità delle decisioni della Corte di cassazione che costituisce lo scopo stesso della attività giurisdizionale (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 41461 del 06/10/2004 Ud. (dep. 25/10/2004), Guarneri, Rv. 230578).

Peraltro i motivi addotti sul punto mirano a rilevare vizi di motivazione, piuttosto che violazione di legge e, pertanto, non sono consentiti in questa sede di legittimità, secondo il disposto dell’art. 325 c.p.p., comma 1. 3.2. Quanto alla sussistenza del periculum, il giudice di merito ha rilevato l’attualità dell’aggravamento del carico urbanistico, determinato dal rilevante illegittimo incremento volumetrico e dalla compromissione delle previsioni di piano aventi ad oggetto la realizzazione della bretella stradale "(OMISSIS)" e l’allacciamento di questa con la via (OMISSIS). Pertanto a fronte della concretezza e dell’attualità delle conseguenze del reato e del protrarsi dell’offesa al bene protetto, correttamente è stata rigettata la richiesta di revoca del sequestro.

3.3. Quanto alla circostanza addotta dalla difesa circa la buona fede del ricorrente, terzo acquirente del manufatto, ignaro degli illeciti, va osservato che questa Corte di legittimità ha statuito che "E’ legittimo il sequestro preventivo su beni di proprietà di persone diverse dall’indagato o dell’imputato purchè sia rispettato il principio di proporzione tra esigenze generali di prevenzione e salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo, determinandosi, in difetto, la violazione delle norme della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo" (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 42178 del 29/09/2009 Cc. (dep. 03/11/2009), Spini, Rv. 245170).

In sostanza, come già ribadito da questa Corte in precedenti pronunce, il sequestro preventivo può colpire persone diverse dall’imputato (v., ex plurimis, cass. 27 febbraio 1997, m. 208463), ma, in tal caso occorre che sia rispettato il principio di proporzione tra le esigenze generali di prevenzione che giustificano la misura cautelare reale e la salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo colpito dal provvedimento limitativo, come preteso peraltro dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo.

Occorre, quindi, che il sequestro preventivo su beni di proprietà di persone diverse dall’indagato o imputato ricerchi un "giusto equilibrio" tra le necessità dell’interesse generale e la salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo – altrimenti la misura cautelare rischia di concretizzare una violazione della CEDU, Convenzione che l’Italia ha reso esecutiva con la L. 4 agosto 1955, n. 848.

Nel caso di specie, il giudice di merito ha valutato come la compromissione dell’assetto urbanistico del territorio e l’incidenza su progettati svincoli stradali rendesse preminente la tutela dell’interesse pubblico rispetto a quello del privato, cosi mantenendo in vita il vincolo reale.

La correttezza delle argomentazioni del giudice di merito non consente di rilevare alcuna violazione di legge.

Per quanto detto, si impone il rigetto del ricorso.

Segue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *