T.A.R. Lazio Roma Sez. II quater, Sent., 11-01-2012, n. 239

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con il ricorso in epigrafe, la società ricorrente impugna due clausole della lettera di "richiesta di offerta vincolante" di cui alla sollecitazione per l’affidamento in concessione dei servizi di biglietteria e altri servizi presso la Galleria Nazionale di arte antica Palazzo Barberini, la Galleria nazionale di arte antica Palazzo Corsini, il Museo nazionale di palazzo Venezia, la Galleria Borghese, la Galleria Spada, il Museo nazionale di Castel Sant’Angelo e il Museo nazionale degli strumenti musicali, e cioè presso i sette musei statali siti in Roma che costituiscono il c.d. Polo museale romano.

Si tratta, nello specifico, della clausola di cui al punto 4 lett. C), che dispone, a pena di esclusione, l’obbligo di prestare una cauzione pari Euro 811.586, 58 Euro nei termini e con le modalità di cui all’art. 75 del D.Lgs. n. 163 del 2006, e della clausola di cui al punto 4 lett. A, nella parte in cui prevede a pena di esclusione l’impegno a "garantire la continuità dei rapporti di lavoro in essere al momento del subentro, con esclusione di ulteriori periodi di prova, di tutto il personale già impiegato nei servizi oggetto della presente concessione in esecuzione di precedenti convenzioni e riportato in apposito Allegato 1.

In relazione alla prima clausola deduce la ricorrente che l’entità della cauzione richiesta è talmente elevata da non consentirle la partecipazione alla gara.

Con il primo motivo di ricorso, la società ricorrente sostiene che l’entità della cauzione è stata determinata sulla base di un erroneo parametro di riferimento, costituito dal valore stimato della concessione che, ai sensi del punto 1 della Sollecitazione, corrisponde a 40.579.329,00 EUR, ed erroneamente applicando l’art. 75 del codice dei contratti, senza tener conto della peculiarità del caso in esame, ovvero del fatto che si tratta dell’affidamento di una concessione di servizi, alla quale – in base all’art. 30 dello stesso codice, che non richiama il citato art. 75 – si applicano solo i principi generali del codice dei contratti.

In sostanza, dunque, visto che nella concessione – a differenza che nell’appalto – il corrispettivo è costituito dallo sfruttamento economico del servizio, è su questo dato, corrispondente al margine remunerativo spettante al concessionario, che deve essere calcolata la cauzione. L’amministrazione, invece, ha erroneamente preso come base di calcolo il valore economico dell’intera concessione, costituito dai ricavi spettanti sia alla amministrazione che alla concessionaria. In questo modo, l’amministrazione ha male esercitato la propria discrezionalità finendo per ledere i principi di proporzionalità e di massima partecipazione alle gare.

Sul punto l’amministrazione resistente ha rilevato che la clausola contestata si giustifica sulla base del legittimo uso del potere discrezionale da parte della amministrazione concedente nonché in relazione alla complessità della operazione economico-finanziaria che costituisce oggetto della concessione, comprensiva di una pluralità di partite di dare – avere reciproche tra l’amministrazione e il privato concessionario. In particolare, l’esigenza di una garanzia adeguata si giustificherebbe tenendo conto del fatto che il concessionario percepisce e trattiene presso di sé per un cospicuo lasso di tempo l’intero ricavato della bigliettazione e della vendita di prodotti commerciali.

Su tale ultimo aspetto, la società ricorrente ha controdedotto che in primo luogo il versamento degli introiti è previsto a cadenza mensile e al lordo degli aggi spettanti al concessionario, i quali poi devono essergli ristrasferiti dalla amministrazione, e che comunque lo schema di convenzione già contiene la clausola risolutiva per l’ipotesi di mancato pagamento di uno o più corrispettivi, qualora siano decorsi più di trenta giorni dal termine di scadenza, così sufficientemente garantendo l’amministrazione dal rischio di indebito trattenimento della somme percepite da parte del concessionario.

Il motivo di ricorso è fondato nei termini che si diranno.

Va in primo luogo sgomberato il campo da ogni questione, adombrata in taluni scritti difensivi, concernente la qualificazione del rapporto di cui si discute come appalto o come concessione di servizi.

Sul punto, infatti, in realtà entrambe le parti concordano, sostenendo che si tratti di una concessione di servizi, avente peraltro un contenuto alquanto complesso e variegato comprensivo non solo della vendita dei biglietti ma anche di tutta una serie di ulteriori servizi, quali la prenotazione e prevendita, l’accoglienza, l’informazione ed orientamento, il marketing, il noleggio audio guide, le visite guidate, la progettazione e realizzazione di eventi, mostre, ecc., la gestione del sito internet, l’assistenza didattica ecc..

Si tratta in verità di un tipico esempio di concessione di "servizi aggiuntivi", ora disciplinati dall’art. 117 del D.Lgs. n. 42 del 2004, il quale prevede che negli istituti e nei luoghi della cultura possano essere istituiti servizi di assistenza culturale e di ospitalità per il pubblico, i quali possono anche essere gestiti in forma integrata, tra l’altro, con i servizi di biglietteria.

Tra i servizi aggiuntivi elencati dall’art. 117, comma 2, infatti, rientrano tutti i servizi oggetto della presente controversia, meglio descritti nel capitolato tecnico allegato alla lettera di richiesta di offerta vincolante.

L’art. 117 inoltre, nel parlare di canoni di concessione e nel richiamare l’art. 115 (il quale oltre ad imporre il ricorso ad una procedura comparativa e parla di concessione a terzi), conferma che si tratta appunto di una concessione di servizi.

D’altro canto in questo senso milita anche la lettera dell’art. 3, comma 12 del codice dei contratti laddove definisce la concessione di servizi pubblici come quel "contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, ad eccezione del fatto che il corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi …".

Tale principio è ribadito infine dall’art. 30, comma 2 del codice dei contratti nel quale si specifica che nella concessione di servizi "la controprestazione a favore del concessionario consiste unicamente nel diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente il servizio".

Poiché nel caso in esame il corrispettivo previsto per l’erogazione al pubblico dei suddetti servizi è solo una certa percentuale (variabile a seconda del servizio) sugli introiti, da ciò non può non trarsi la conclusione della configurazione del rapporto come concessione di servizi.

In questo senso si era pertanto già espressa in una analoga questione la Cassazione a Sezioni Unite (sent. 27 maggio 2009, n. 12252).

La natura concessoria del rapporto, tuttavia, non preclude di per sé sola l’applicabilità dell’art. 75 del codice dei contratti, qualora l’amministrazione, nella sua discrezionalità, espressamente preveda nel bando o nella sollecitazione di voler fare applicazione di tale norma.

Infatti, l’art. 30 del codice dei contratti si limita semplicemente a prevedere che alle concessioni di servizi non si applicano tutte le norme del codice stesso ma solo i principi dell’evidenza pubblica, desumibili dal Trattato e dal codice, nonché le norme sul contenzioso. Tale norma, dunque, non impedisce alla amministrazione concedente, nella sua discrezionalità, di prevedere all’interno del bando o della Sollecitazione una clausola riproduttiva di una norma del codice dei contratti, nel caso di specie dell’art. 75, salvo sempre il sindacato di ragionevolezza sulle scelte effettuate e il rispetto dei principi di proporzionalità e di massima partecipazione alle gare. In tal senso deve essere letto, ancorché a contrario, il precedente del Consiglio di Stato depositato da parte ricorrente in allegato alla sua memoria (CdS, sez. V, 13 luglio 2010, n. 4510). In quel caso, infatti, il Consiglio aveva negato la possibilità di una applicazione in via analogica delle norme dettate dal codice dei contratti ai rapporti concessori, ma non si era affatto occupata del diverso caso di una norma del bando o della sollecitazione riproduttiva di una norma del codice.

Orbene, nel caso di specie, il citato rinvio all’art. 75 del codice dei contratti non appare di per sé irragionevole, né – una volta che sia stata interpretata correttamente la norma, come si vedrà tra breve – non pare nemmeno lesivo del principio di massima partecipazione alle gare pubbliche.

Tanto premesso, la questione che appare dirimente ai fini della risoluzione della controversia è – ferma la possibilità per l’amministrazione di richiedere una garanzia facendo rinvio a quanto previsto dall’art. 75 del codice dei contratti, come avvenuto nel caso di specie, ( o eventualmente di richiedere altre forme di garanzia) – quella della individuazione del corretto parametro di riferimento sul quale applicare quel 2% di cui al citato art. 75 al fine di calcolare l’entità della cauzione provvisoria. In sostanza, cioè, si tratta di fornire una esatta interpretazione dell’art. 75 per la particolare ipotesi in cui esso possa essere applicato – in quanto espressamente richiamato dal bando – ad una concessione di servizi.

Come è noto, l’art. 75, riferendosi agli appalti di lavori o di servizi, calcola tale percentuale sul "prezzo base indicato nel bando o nell’invito".

Ora è chiaro che l’individuazione di tale parametro è semplice quando – come nel caso dei contratti di appalto – vi è un corrispettivo che l’amministrazione si impegna a dare all’aggiudicatario dell’appalto. Il prezzo base indicato nel bando o nell’invito infatti corrisponde al valore stimato dell’appalto, quale cioè può essere determinato ex ante e rispetto al quale dovranno essere effettuati i ribassi nel caso delle procedure di affidamento al prezzo più basso. L’art. 29 del codice dei contratti fornisce ulteriori chiarimenti sul punto, specificando che valore stimato dei contratti pubblici consiste nell’importo totale pagabile al netto Iva, valutato dalle stazioni appaltanti, ovvero nella somma massima che la stazione appaltante potrà corrispondere all’appaltatore.

Naturalmente, una volta effettuata l’aggiudicazione, il valore dell’appalto verrà individuato direttamente nel corrispettivo richiesto dall’aggiudicatario. Ed infatti l’art. 113 del codice dei contratti, nel disciplinare la cauzione definitiva, da corrispondere appunto dopo l’aggiudicazione dell’appalto, prende come parametro "l’importo contrattuale", ovvero il corrispettivo che l’ente appaltante dovrà pagare per l’esecuzione dell’opera o del servizio.

Anche nel caso delle concessioni di servizi, il parametro su cui calcolare la cauzione provvisoria (ove richiesta nella sollecitazione o dal bando) non può che essere il valore economico dei servizi svolti dal concessionario. Tuttavia tale determinazione è in concreto resa piuttosto difficile dalla circostanza che, come si è detto, tratto caratterizzante la concessione è appunto l’assenza di un vero e proprio corrispettivo pagato dalla amministrazione concedente. Infatti, il corrispettivo, come si è detto, è costituito dalla gestione del servizio.

Esso pertanto va individuato sulla base degli introiti spettanti al concessionario al lordo delle spese (vale a dire i ricavi) per la gestione del servizio, che costituiscono appunto il "corrispettivo" spettante al concessionario.

Venendo al caso in esame, il corrispettivo previsto è costituto – secondo quanto si legge nell’art. 10 dello schema di convenzione – dalla quota parte degli introiti correlati allo svolgimento dei servizi aggiuntivi dati in concessione che il concessionario otterrà dalla amministrazione, all’esito della rendicontazione. Si tratta in sostanza di una percentuale (di circa il 25%) degli introiti di biglietteria e di una percentuale più alta (circa l’85%) sugli introiti degli altri servizi.

Tale graduazione nella determinazione del corrispettivo risponde peraltro al tipo di servizio reso dal concessionario. Infatti, per quanto attiene ad esempio alla vendita dei biglietti, è evidente che la percentuale percepita dal concessionario è parametrata al valore del servizio reso, che è appunto unicamente quello della vendita al pubblico del biglietto, e per tale ragione è piuttosto bassa. Il costo del biglietto pagato dai visitatori, infatti, è principalmente finalizzato a contribuire alle spese sostenute dalla amministrazione per la gestione del museo nonché (come espressamente sancisce l’articolo 110 del D.Lgs. n. 42 del 2004 ) alla realizzazione di interventi per la sicurezza e la conservazione, ovvero per l’acquisto di beni culturali, e per questa ragione deve essere introitata dalla amministrazione alla quale il museo appartiene o che lo gestisce (v. ancora l’art. 110 del D.Lgs. n. 42 del 2004).

E’ evidente, dunque, che il provento della vendita del biglietto di ingresso è in primo luogo una forma di corrispettivo o meglio di contributo per la gestione dell’istituto o luogo di cultura e solo in via sussidiaria, e pro quota parte, può essere destinato al pagamento di servizi aggiuntivi.

Viceversa, negli altri servizi aggiuntivi, l’impegno del concessionario è maggiore e ciò giustifica la corresponsione di una percentuale più elevata sugli introiti.

L’amministrazione resistente, tuttavia, nel caso di specie, non ha determinato il valore della concessione facendo riferimento al totale dei corrispettivi presumibilmente spettanti al concessionario, ma ha fatto riferimento per i servizi già attivi "alla media del fatturato annuale degli ultimi 3 anni (2007-2009) al netto di Iva e al lordo di eventuali corrispettivi, moltiplicato per la durata della concessione" (v. nota n. 1 della Sollecitazione).

Nel capitolato tecnico si vede chiaramente che per ciascuno dei sette musei stati della città di Roma che costituiscono il "polo museale romano", è stato effettuato il computo del totale degli introiti derivanti dalla vendita dei biglietti di ingresso, nonché – dove esistenti – degli introiti per altri servizi complementari (o meglio aggiuntivi).

In tal modo, si è ingenerata una confusione di piani tra quello che è il valore economico della gestione del polo museale romano in sé e per sé (pari appunto principalmente al fatturato medio annuo derivante dalla vendita dei biglietti), che non è oggetto di concessione a terzi ma rimane gestito direttamente dal Ministero per i beni e le attività culturali, e il valore economico della concessione dei servizi aggiuntivi svolti dal concessionario, il cui valore è rappresentato appunto dal totale dei corrispettivi spettanti al concessionario.

In conclusione, può dirsi che, facendo applicazione dei principi desumibili dal codice dei contratti così come possono essere applicati alle concessioni di servizi, il rinvio contenuto nella sollecitazione di gara all’art. 75 del codice dei contratti deve essere interpretato nel senso che la cauzione provvisoria deve essere calcolata sul valore dei servizi dati in concessione, ovvero sul totale dei corrispettivi che il concessionario trae per la gestione del servizio ( nel caso di specie dei servizi aggiuntivi); tale valore pertanto non può essere calcolato – come invece ha fatto il Ministero resistente – con riferimento al totale degli presunti introiti derivanti cumulativamente dalla vendita dei biglietti e dai corrispettivi per tutti i servizi complementari o aggiuntivi, giacché in tale importo è compresa anche la quota parte spettante alla amministrazione per la fruizione del museo da parte del pubblico, attività estranea all’oggetto della concessione.

Né può rilevare, come sostenuto dalla Avvocatura dello Stato nella sua memoria, che l’amministrazione ritiene necessaria una garanzia di importo elevato per cautelarsi in caso di ritardo nel trasferimento da parte della concessionaria degli introiti dei biglietti di ingresso giacché una volta che nel bando si fa rinvio all’art. 75 del codice dei contratti, è a questa norma che deve farsi riferimento anche per individuare il paramentro su cui calcolare l’importo della cauzione: vale a dire il valore del contratto ovvero, nel caso di specie, della concessione.

Il primo motivo di ricorso, pertanto, deve essere accolto.

Con il secondo motivo, la ricorrente deduce in primo luogo che l’obbligo di assunzione del personale già impiegato nei servizi oggetto della concessone è stato inserito per la prima volta nella Lettera, non essendo previsto nella Sollecitazione.

La censura è fondata, in disparte ogni considerazione sulla legittimità della detta clausola inerente la continuità dei rapporti di lavoro.

La giurisprudenza amministrativa ha infatti chiarito che in caso di contrasto, in una gara pubblica, tra il bando e la lettera di invito, prevale il primo, quale "lex specialis" della selezione concorsuale, non modificabile mediante lettera d’ invito . (Consiglio Stato , sez. V, 29 marzo 2004 , n. 1660 v. anche C.G.A., 18 maggio 2005, n. 349, Cons. Stato, II, 7 marzo 2001, n. 149/01)

Inoltre, va ricordato che proprio richiamando tali precedenti, il Consiglio di Stato ha di recente affermato l’illegittimità di una lettera di invito che contenga una disciplina dei requisiti di ammissione alla procedura più restrittiva di quella prevista dal bando (Cons. Stato, Sez. VI, 14.7.2011, n. 4278).

In conformità con tale orientamento giurisprudenziale, dal quale non v’è ragione di discostarsi, l’Amministrazione non avrebbe potuto introdurre la clausola "de qua" nella "Lettera di richiesta di offerta vincolante" senza prima procedere ad analoga integrazione del bando, per cui anche il secondo motivo va accolto, con assorbimento delle ulteriori censure, fermo restando la rinnovazione della gara previo esercizio dei poteri di autotutela.

In conclusione, il ricorso va accolto con conseguente annullamento delle clausole della "lettera di richiesta di offerta vincolante" pg. N. 112 04/08/2011 meglio descritte in epigrafe. Le spese possono essere compensate, sussistendo giusti motivi.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla le clausole della lettera di richiesta di offerta vincolante oggetto di impugnazione (e meglio indicate in epigrafe).

Compensa le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 novembre 2011 con l’intervento dei magistrati:

Angelo Scafuri, Presidente

Stefania Santoleri, Consigliere

Maria Laura Maddalena, Consigliere, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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