Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 28-06-2012, n. 10900 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- La sentenza attualmente impugnata, in parziale accoglimento dell’appello di Poste Italiane s.p.a. avverso la sentenza del Tribunale di Torino n. 2777/2005 del 6 maggio 2005: 1) dichiara la legittimità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato il 1 giugno 2001 dalla suddetta società con D.A.; 2) dichiara l’illegittimità del termine apposto al contratto stipulato il 22 maggio 2002; 3) dichiara che da tale ultima data si è costituito fra le parti un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato; 4) conferma per il resto la sentenza di primo grado.

La Corte d’appello di Torino, per quanto qui interessa, precisa che:

a) è pacifico che D.A., con contratto a termine stipulato il 1 giugno 2001, è stata assunta dalla società Poste Italiane fino al 31 agosto 2001 per "esigenze di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi" nonchè per "necessità dell’espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno- settembre", ai sensi dell’art. 8 c.c.n.l. del 1994;

b) il Tribunale ha ritenuto nulla l’apposizione del termine principalmente perchè ha ritenuto tuttora applicabile la normativa di cui alla L. n. 230 del 1962, secondo cui l’assunzione a termine per sostituzione di personale in ferie è legittima solo se la lettera di assunzione contiene il nominativo del dipendente da sostituire e il periodo della sostituzione;

c) l’appello della società sul punto è fondato in quanto alla fattispecie si applica la normativa contrattuale che richiede solo che l’assunzione sia necessitata da esigenze di servizio che non possano essere soddisfatte a causa delle assenze per ferie del personale nel periodo estivo, come risulta essere accaduto nella specie;

d) la D. ha stipulato il 22 maggio 2002 un secondo contratto a termine, con assunzione fino al 19 agosto 2002, per "far fronte agli incrementi di attività o esigenze produttive particolari e di carattere temporaneo, connesse alla gestione degli adempimenti ICI che non possono essere soddisfatte con il personale in servizio";

e) in merito a questo contratto, pur potendo la indicata causale integrare le ragioni di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 va osservato che però la società non solo non ha assolto l’onere di dimostrare la reale sussistenza delle ragioni poste alla base dell’assunzione a termine, ma nel corso del giudizio è andata incontro ad una totale sconfessione degli assunti da cui era partita;

f) va, pertanto, dichiarata la nullità della clausola appositiva del termine del contratto stipulato il 22 maggio 2002 e la contestuale costituzione, tra le parti, di un rapporto a tempo indeterminato;

g) il relativo risarcimento del danno va liquidato non sulla base della L. n. 300 del 1970, art. 18 ma secondo la disciplina comune in materia di responsabilità contrattuale, cioè nella misura delle retribuzioni perdute a causa dell’illegittimo rifiuto di ricevere la prestazione lavorativa opposto dal datore di lavoro, dal momento della relativa offerta formale coincidente con la convocazione per il tentativo obbligatorio di conciliazione, come ritenuto correttamente dal Tribunale.

2- Il ricorso di Poste Italiane s.p.a. domanda la cassazione della sentenza per un motivo; resiste, con controricorso, D. A., che propone a sua volta ricorso incidentale per tre motivi, cui replica la società con controricorso.

Entrambe le parti depositano anche memorie ex art. 378 cod. proc. civ.. In particolare, la ricorrente principale, nella propria memoria, chiede, fra l’altro, l’applicabilità dello ius superveniens rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7, in vigore dal 24 novembre 2010.

Motivi della decisione

1^ – Sintesi del ricorso principale.

1.- Con il motivo del ricorso principale, illustrato da quesito di diritto, si denuncia: a) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ.; b) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa, insufficiente pronuncia circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

La sentenza impugnata è criticata per avere richiesto, con riferimento alla causale giustificatrice dell’apposizione del termine al contratto stipulato per il periodo 22 maggio-19 agosto 2002, la prova di circostanze che non necessitano di dimostrazione, alla luce del D.Lgs. n. 368 del 2001 e comunque che aver ritenuto che le prove documentali offerte dalla società non siano state adeguate e, nel contempo, non aver ammesso le istanze istruttorie formulate al riguardo.

Si sostiene anche l’erroneità del rilievo attribuito dalla Corte torinese alla mancanza di giustificazione della durata del contratto oltre la fine del mese di giugno e sino alla prevista scadenza fissata al 19 agosto 2002, essendo notorio che le operazioni di verifica dei bollettini, per l’intensa attività connessa al suddetto adempimento fiscale, comporti il prolungamento delle varie fasi di lavorazione per alcuni mesi dopo la scadenza del termine del 30 giugno.

2^ – Sintesi del ricorso incidentale.

2 – Con i primi due motivi, illustrati da quesito di diritto, si denunciano: 1) nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., sul principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (art. 360 c.p.c., n. 4); 2) omessa e insufficiente motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio rappresentati dal rispetto della cd.

clausola di contingentamento e dalla mancata effettuazione del confronto sindacale, ai sensi dell’art. 25 del c.c.n.l. 11 gennaio 2001 e della L. n. 56 del 1987, art. 23 (art. 360 c.p.c., n. 5).

Si rileva che la Corte torinese ha affermato la legittimità del termine apposto al primo contratto (valido per il periodo 1 giugno 2001- 31 agosto 2001) esaminando soltanto una parte della relativa domanda (sulla sostituzione del personale per ferie) e senza quindi affrontare altre questioni prospettate in riferimento a: 1) l’illegittimità dell’indicazione congiunta di due causali (cioè oltre a quella scrutinata quella delle "esigenze di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi"); 2) il mancato rispetto della quota massima di percentuale degli assunti a tempo determinato; 3) la mancata effettuazione del duplice livello (nazionale e regionale) di confronto sindacale prima di procedere alle assunzioni per le causali previste dall’art. 25 del c.c.n.l. 10 gennaio 2001.

Di qui la nullità della sentenza e il corrispondente vizio di omessa motivazione.

3.- Con il terzo motivo si denuncia violazione del combinato disposto della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 3 e della L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 nonchè di quanto previsto dall’art. 25 del c.c.n.l.

10 gennaio 2001 con riferimento ai canoni interpretativi posti dagli artt. 1362, 1363 e 1367 cod. civ..

Si censura la regula juris implicita della decisione impugnata secondo cui è sufficiente, legittima e veridica una sola tra le plurime causali apposte ad un contratto a termine, in contrasto con la relativa sindacabilità da parte del lavoratore e con la richiesta trasparenza nell’operato del datore di lavoro.

3^ – Esame del ricorso principale 4.- Il ricorso principale è infondato, secondo quanto deciso da questa Corte in analoghe controversie (vedi, per tutte: Cass. 26 marzo 2010, n. 7339; Cass. 10 novembre 2011, n. 23454).

In linea generale va ricordato che, in base a consolidati e condivisi orientamenti di questa Corte:

a) la valutazione delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (vedi, per tutte: Cass. 6 giugno 2011, n. 12204; Cass. 5 ottobre 2006, n. 21412; Cass. 24 luglio 2007, n. 16346; Cass. 17 febbraio 2009, n. 3785);

b) peraltro, in tema di valutazione delle risultanze probatorie in base al principio del libero convincimento del giudice, la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità (Cass. 20 giugno 2006, n. 14267; Cass. 12 febbraio 2004, n. 2707; Cass. 13 luglio 2004, n. 12912; Cass. 20 dicembre 2007, n. 26965; Cass. 18 settembre 2009, n. 20112).

Nella specie, la Corte territoriale ha ritenuto l’inidoneità della ragione addotta dalla società Poste Italiane a giustificare l’apposizione del termine, per la mancanza di prove in ordine alla specifica causale relativa all’incremento dell’attività derivante dalla lavorazione dei bollettini 1CI, la sua percentuale ed il collegamento con l’assunzione temporanea della lavoratrice; nè d’altra parte, ha aggiunto la Corte di merito, la dedotta causale può valere a giustificare il rapporto di lavoro oltre il 30 giugno 2002, data di scadenza per il pagamento dell’ICI, ragione a fronte della quale era stata convenuta l’assunzione a termine della D..

Quest’ultimo rilievo non è inficiato dalla critica svolta dall’azienda laddove addebita al Giudice del gravame di non avere considerato la sufficienza del riferimento agli adempimenti connessi al pagamento dell’ICI con i bollettini di conto corrente postali, al fine di ritenere la sussistenza dell’incremento di attività e delle esigenze particolari di carattere temporaneo che avevano reso necessaria l’assunzione dell’odierna contro ricorrente e ricorrente incidentale al fine di assicurare il mantenimento di adeguati livelli di servizio.

Senza dubbio la causale prospettata integra la specificazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, a fronte delle quali il D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 1 consente l’apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro subordinato, e sempre che essa risulti, direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale devono essere specificate quelle ragioni.

Ma posto che finalità della norma "è quella di assicurare la trasparenza e la veridicità della causa dell’apposizione del termine e l’immodificabilità della stessa nel corso del rapporto" (vedi Corte costituzionale 14 luglio 2009 n. 214), non può ritenersi, così come sottolineato dalla sentenza impugnata, che quelle ragioni di incremento dell’attività per la gestione degli adempimenti dell’ICI, certamente sussistenti sino alla data di scadenza del pagamento dei bollettini postali dell’ICI, possano essere coerenti con la prosecuzione del rapporto oltre il previsto termine del 30 giugno 2002 per il versamento di quella imposta.

Si tratta di un apprezzamento del Giudice del merito che, con argomentazione logica ed immune da errori, ha escluso la congruenza e la veridicità della causale addotta dall’azienda con riferimento allo specifico rapporto e, conseguentemente, avendo ritenuto pretestuosa, sulla base dell’istruttoria svolta, la motivazione apparentemente addotta a giustificazione dell’assunzione a termine ne ha ritenuto l’illegittimità, senza impingere nella valutazione che spetta in via esclusiva dell’imprenditore circa le scelte organizzative e l’adozione dei necessari rimedi per far fronte alle esigenze derivanti dal dedotto incremento di attività (vedi, per tutte: Cass. 26 marzo 2010, n. 7339 cit.).

4 – Esame del ricorso incidentale.

5.- I motivi del ricorso incidentale – da esaminare congiuntamente data la loro intima connessione sono fondati.

5.1- Dalla sentenza impugnata risulta che il contratto a termine stipulato tra la società e la D. il 1 giugno 2001, ha una duplice causale rappresentata da "esigenze di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi" nonchè da "necessità dell’espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno-settembre", ai sensi dell’art. 8 c.c.n.l. del 1994.

5.2.- In base alla consolidata giurisprudenza di questa Corte "l’indicazione di due o più ragioni legittimanti l’apposizione di un termine ad un unico contratto di lavoro non è in sè causa di illegittimità del termine per contraddittorietà o incertezza della causa giustificatrice dello stesso" (vedi, per tutte: Cass. 17 giugno 2008, n. 16396; Cass. 18 novembre 2011, n. 24361), tuttavia è necessario che il Giudice del merito esamini le diverse causali richiamate, alla stregua di una duplicità di ragioni addotte, onde stabilire se esse siano contraddittorie e generatrici di incertezza ovvero siano idonee entrambe a giustificare l’apposizione del termine, ove risulti che la fattispecie concreta effettivamente ricada nella previsione contrattuale e risultino rispettate anche le regole sul contingentamento, a fronte di eventuale eccezione in tal senso formulata.

5.3- D’altra parte, con riferimento al necessario rispetto della clausola di cd. contingentamento (ovvero del limite di contenimento delle assunzioni a termine nelle quote percentuali massime rispetto ai lavoratori impegnati a tempo indeterminato, previste a livello regionale e nazionale, dall’art. 25, comma 3, del c.c.n.l. del 2001), deve essere ribadito, per come già affermato da questa Corte in alcuni suoi precedenti (vedi, per tutte: Cass. 31 maggio 2010, n. 13299; Cass. 19 gennaio 2010, n. 839; Cass. 12 marzo 2009, n. 6010), che, nel sistema "autorizzatorio" della legge n. 56 del 1987, la previsione, da parte dei contratti collettivi, del numero percentuale dei lavoratori che possono essere assunti con contratto di lavoro a termine rispetto al numero dei lavoratori occupati a tempo indeterminato costituisce un preciso limite al potere negoziale delle organizzazioni sindacali, idoneo a condizionare la legittimità della deroga dalle stesse apportatole alla disciplina comune del contratto a termine, quale (al tempo) prevista dalla legge n. 230 del 1962.

Se, infatti, sulla scorta del diritto vivente giurisprudenziale progressivamente derivante dall’elaborazione di questa Corte in materia (a partire da Cass. S.U. 2 marzo 2006, n. 4588), deve ritenersi che l’attribuzione alla contrattazione collettiva del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discendendo dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti, prescinde dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di far riferimento a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero ancora di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione alla assunzione a tempo determinato, con la prefigurazione di una sorta di "delega in bianco" a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatali, non può, al tempo stesso, ritenersi che tale potere di deroga resti insensibile all’unico limite espressamente configurato dal legislatore all’intervento dell’autonomia collettiva, ed, in particolare, che tale limite risulti (esterno e dunque) estraneo al nuovo sistema delineato, e cioè ai requisiti della fattispecie che ne condiziona l’operatività.

Si tratta, infatti, a fronte della significativa inversione di tendenza operata in ordine al ruolo che può svolgere la contrattazione collettiva nella rimozione di limiti legali dell’autonomia contrattuale del datore di lavoro, di un contrappeso, per come notato da autorevole dottrina, non poco pregnante agli ampi poteri della contrattazione medesima, nella prospettiva di un uso ragionevole e razionalmente verificabile dei contratti di autorizzazione e della loro incidenza sull’organizzazione di lavoro.

Ciò porta ad escludere che la clausola di contingentamento (e la sua violazione) sia inidonea ad incidere sul piano della relazione negoziale tra le parti del rapporto, dal momento che, al contrario, la mancata previsione della clausola o la sua inosservanza, determinando il venir meno dell’autorizzazione alla rimozione di vincoli legali alla apposizione del termine, fa riespandere questi ultimi, con conseguente applicazione della sanzione della nullità, secondo quanto previsto dalla L. n. 230 del 1962.

Coerente con tali presupposti, quanto alla prova dell’osservanza del limite percentuale in esame, è, quindi, pure l’affermazione che il relativo onere è a carico del datore di lavoro, in base alla regola posta dalla L. n. 230 del 1962, art. 3 secondo cui incombe al datore di lavoro dimostrare l’obiettiva esistenza delle condizioni che giustificano l’apposizione di un termine al contratto di lavoro (in tal senso, fra le altre: Cass. 19 gennaio 2010, n. 839 e Cass. 31 maggio 2010, n. 13299 cit.). Pertanto deve conclusivamente confermarsi il principio che è necessario che il datore di lavoro provi il rispetto del limite percentuale posto dalla contrattazione collettiva alla possibilità di assunzioni a termine, trattandosi di condizione necessaria, ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23, comma 1, per il conferimento alla contrattazione collettiva di una valida autorizzazione alla rimozione dei limiti legali connessi alla apposizione del termine e per la conseguente legittimità della clausola di durata prevista nel contratto di lavoro stipulato in forza di tale autorizzazione.

5.4.- Nella specie la ricorrente incidentale fondatamente prospetta (fornendone adeguata documentazione, in conformità alla regola di necessaria autosufficienza del ricorso per cassazione) di avere nei precedenti gradi del giudizio sostenuto: 1) l’illegittimità dell’indicazione congiunta di due causali tra di loro incompatibili poste a fondamento del medesimo contratto; 2) il mancato rispetto della quota massima di percentuale degli assunti a tempo determinato (cd. contingentamento); 3) la mancata effettuazione del duplice livello (nazionale e regionale) di confronto sindacale prima di procedere alle assunzioni per le causali previste dall’art. 25 del c.c.n.l. 10 gennaio 2001.

Dalla sentenza risulta che la Corte torinese ha considerato legittima l’apposizione del termine al suddetto primo contratto pronunciandosi solo sulla sussistenza degli elementi relativi alla causale della "necessità dell’espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno-settembre", ma non ha adottato alcuna statuizione in merito alle suindicate ulteriori censure pur essendo state le stesse ritualmente formulate ed essendo decisive ai fini della delibazione della questione controversa.

Ne consegue che il ricorso incidentale deve essere accolto, per l’assorbente ragione che si configura il vizio di omessa pronuncia, correlato alla violazione dell’art. 112 cod. proc. civ..

Come è noto, il suddetto vizio ricorre, infatti, ogni volta che sia completamente omesso il provvedimento che si palesa necessario in relazione al caso concreto e non ricorra una pronuncia, nemmeno implicita, sull’istanza o il suo assorbimento in altra statuizione (vedi, per tutte: Cass. Cass. 31 maggio 2010, n. 13299 cit.; Cass. 11 gennaio 2006, n. 264; Cass. 19 marzo 2004, n. 5562; Cass. 25 gennaio 2006, n. 1380).

5^ – Ius superveniens.

6.- Per quel che riguarda la richiesta, effettuata dalla ricorrente principale nella memoria depositata ex art. 378 cod. proc. civ., di applicazione dello ius superveniens rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32 (in vigore dal 24 novembre 2010) va ricordato che, in base ad un consolidati e condivisi orientamenti di questa Corte:

a) "costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è circoscritto dagli specifici motivi di ricorso (vedi, per tutte:

Cass. 8 maggio 2006 n. 10547)".

b) in particolare, con riferimento alla disciplina introdotta dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32 la necessaria sussistenza della questione ad essa pertinente nel giudizio di cassazione presuppone che i motivi di ricorso investano specificatamente le conseguenze patrimoniali dell’accertata nullità del termine, in quanto il rigetto dei motivi inerenti la questione della ritenuta nullità del termine e della conversione del contratto a tempo indeterminato produce la stabilità delle statuizioni di merito relative a tali conseguenze.

Nel caso in esame difetta nel ricorso una qualsivoglia censura relativa alle conseguenze economiche della ritenuta nullità del termine, cosicchè, come detto, non può trovare applicazione la nuova disciplina retroattiva contenuta nelle citate norme della L. n. 183 del 2010 (vedi, per tutte: Cass. 27 gennaio 2011, n. 2055; Cass. 26 luglio 2011, n. 16266; Cass. 4 gennaio 2011, n. 80).

6 – Conclusioni.

7 – In sintesi il ricorso principale deve essere respinto e quello incidentale va accolto. La sentenza impugnata deve essere cassata, in relazione alle censure accolte, con rinvio alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione, che provvederà anche alle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e accoglie il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata, in relazione alle censure accolte, e rinvia anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Torino in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione lavoro, il 17 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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