Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 24-11-2011) 09-12-2011, n. 45933

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Svolgimento del processo

Il Tribunale del riesame di Venezia, con ordinanza in data 17/6/2011, confermava l’ordinanza del GIP presso il Tribunale di Treviso, in data 23/5/2011, applicativa della misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di V.R., indagata, in concorso, di rapina aggravata all’interno dell’abitazione di D.W., con un bottino costituito da vari oggetti preziosi, Euro 5800 in contante, assegni, un telefono cellulare, documenti ed effetti personali. Proponeva ricorso per cassazione l’indagato deducendo i seguenti motivi:

a) difetto di motivazione in relazione alla violazione dell’art. 309 c.p.p., comma 5, per omessa trasmissione al Tribunale del riesame, da parte del GIP di Treviso, degli atti posti a fondamento dell’ordinanza di custodia cautelare, a seguito dei quali è stato individuato il profilo genetico dell’indagato, poi utilizzato dai RIS per la comparazione con i profili estrapolati dai reperti della rapina contestata;

b) difetto di motivazione in relazione alla inutilizzabilità dei risultati dell’indagine tecnica biologica sul piede di porco e sul manico dell’ascia, utilizzati dai rapinatori quali strumenti di scasso, non essendo stato convalidato il relativo sequestro da parte del PM;

c) inosservanza di norme processuali in relazione all’omesso avviso all’indagato e al suo difensore dell’espletamento di accertamenti tecnici non ripetibili, ex art. 360 c.p.p., comma 1, e conseguente inutilizzabilità degli esiti degli stessi;

d) difetto di motivazione in relazione alla inutilizzabilità dei risultati degli accertamenti tecnici irripetibili per mancata emissione da parte del PM del decreto autorizzativo dei suddetti accertamenti;

e) difetto di motivazione in relazione alla erronea valutazione della sussistenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato contestato.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Nel caso di specie gli argomenti della difesa del ricorrente, posti a sostegno delle doglianze, si fondano sugli stessi elementi già rappresentati dall’indagato in sede di istanza di riesame e correttamente valutati dal Tribunale nell’impugnata ordinanza.

1) La difesa del ricorrente lamenta l’omesso deposito di parte della documentazione utilizzata dal Tribunale del riesame per la decisione.

La giurisprudenza consolidata di questa Corte, anche a sezioni unite, è nel senso che la perdita di efficacia della misura custodiale consegue solo al caso di mancato invio al Tribunale di tutti gli atti a suo tempo trasmessi al GIP in sede di richiesta della misura, mentre una siffatta sanzione non opera allorchè quest’ultimo giudice abbia ricevuto gli atti in maniera parziale, sia perchè dal combinato disposto dell’art. 309 c.p.p., commi 4 e 10, risulta che egli è tenuto ad esaminare gli atti ricevuti (e non altri eventualmente in possesso del P.M.), sia perchè non gli si può fare carico di un adempimento che non dipende da lui. Conseguentemente il comportamento omissivo del PM circa il mancato inoltro di alcuni atti assunti prima della richiesta della misura, atti che, pertanto, il GIP non ha potuto valutare, ed il corrispondente mancato esame degli stessi da parte del Tribunale del riesame, non determina la perdita di efficacia della ordinanza custodiale, ma soltanto la inutilizzabilità di tali atti (v. per tutte Cass. Sez. Un. 20 novembre 1996, Glicora).

Questa Corte, con motivazione condivisa dal Collegio, ha anche affermato che l’inefficacia della ordinanza cautelare per mancato invio al Tribunale degli atti trasmessi al GIP al momento della richiesta non si verifica se non risulta che l’atto, asseritamente non inviato, fosse stato trasmesso unitamente alla richiesta della misura al GIP (Sez. 1, Sentenza n. 4567 del 22/01/2009 Cc. (dep. 03/02/2009) Rv. 242818).

Di tali principi ha fatto corretta applicazione il Tribunale del riesame il quale ha evidentemente ritenuto, sulla base di una argomentazione non illogica, come tale non censurabile in questa sede, che non vi fosse la prova che il P.M. avesse trasmesso la relativa documentazione al GIP. Va anche evidenziato che la relazione redatta dei pubblici ufficiali del Ris, in sede cautelare, ha natura fidefacente con riferimento alla riferibilità all’indagato del profilo genetico estrapolato dal tampone salivare acquisito dal predetto.

Peraltro secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, "anche in sede di legittimità può procedersi alla cosiddetta "prova di resistenza", nel senso di valutare se gli elementi di prova acquisiti illegittimamente abbiano avuto un peso reale sulla decisione del giudice di merito, controllando in particolare la struttura argomentativa della motivazione al fine di stabilire se la scelta di una determinata soluzione sarebbe stata la stessa anche senza l’utilizzazione di quegli elementi, per la presenza di altre prove ritenute di per sè sufficienti a giustificare l’identico convincimento". (Cass. Sez. 1A sent. 1495 del 2.12.1998 dep. 5.2.1999 rv 212274. V. anche Cass. Sez. 5A, sent. 569 del 18.11.2003 dep. 12.1.2004 rv 226972: "Allorchè con il ricorso per cassazione si lamenti l’illegale assunzione di una prova (nella specie dichiarativa), è consentito procedere in sede di legittimità alla c.d. "prova di resistenza", e cioè valutare se gli elementi di prova acquisiti illegittimamente abbiano avuto un peso reale sulla decisione del giudice di merito, mediante il controllo della struttura della motivazione, al fine di stabilire se la scelta di una certa soluzione sarebbe stata la stessa senza l’utilizzazione di quegli elementi, per la presenza di altre prove ritenute sufficienti". Deve, quindi, rilevarsi che le dichiarazioni della parte offesa (specificate successivamente al n. 4), stante la loro precisione ed univocità, sono, di per sè, idonee a configurare i gravi indizi di responsabilità carico del prevenuto.

2) Anche il secondo motivo va disatteso.

La mancata convalida del sequestro degli oggetti utilizzati dai rapinatori, reperiti sul luogo, nell’immediatezza del fatto, dalla polizia giudiziaria non incide sulla loro utilizzabilità a fini probatori.

Questa Corte, con motivazione condivisa dal Collegio, ha statuito che la mancata convalida del sequestro operato dalla polizia giudiziaria – ex art. 355 c.p.p. – non incide sull’utilizzazione a fini probatori delle cose sequestrate ma soltanto sulla possibilità di mantenimento del sequestro stesso: la convalida – i cui eventuali vizi devono essere fatti valere con le impugnazioni previste dall’art. 324 c.p.p., ss. – ha, infatti, la funzione di legittimare la sottrazione del bene sottoposto a sequestro alla sfera di appartenenza del proprietario o di chi ne abbia la disponibilità e non già di permettere l’utilizzazione processuale del bene sottoposto alla misura cautelare (Sez. 4, Sentenza n. 14854 del 27/02/2003 Ud. (dep. 31/03/2003 ) Rv. 224391 ; Sez. 6, Sentenza n. 4328 del 02/03/1999 Ud.

(dep. 07/04/1999 ) Rv. 213659).

3) Anche il terzo motivo è infondato.

L’attività tecnica di estrapolazione di profili molecolari, svolta quando il procedimento era ancora iscritto a carico di ignoti, non può comportare l’avviso al difensore e all’indagato, in epoca successiva a tale attività. Il prelievo di tracce biologiche su un oggetto rinvenuto nel luogo del commesso reato e le successive analisi dei polimorfismi del DNA., per l’individuazione del profilo genetico per eventuali confronti, sono utilizzabili se non sia stato possibile osservare, in quanto l’indagine preliminare si svolgeva contro ignoti, le garanzie difensive (Sez. 2, Sentenza n. 37708 del 24/09/2008 Cc. (dep. 03/10/2008) Rv. 242094) Peraltro, l’attività di comparazione tra il profilo genetico dell’indagato e quello estrapolato dalle tracce rinvenute sugli oggetti utilizzati dai rapinatori, successivamente espletata, costituisce attività tecnica valutativa ripetibile e potrà essere rinnovata nel corso del procedimento con le garanzie della difesa.

4) Con riferimento all’ultimo motivo di ricorso relativo alla mancanza di gravi indizi di colpevolezza, rileva questa Corte che ai fini dell’applicazione delle misure cautelari, anche dopo le modifiche introdotte dalla L. n. 63 del 2001, è ancora sufficiente il requisito della sola gravità degli indizi, posto che l’art. 273 c.p.p., comma 1 bis, (introdotto dalla legge citata) richiama espressamente l’art. 192, commi 3 e 4, ma non il secondo comma che prescrive la valutazione della precisione e della concordanza, accanto alla gravità, degli indizi: ne consegue che essi, in sede di giudizio "de libertate", non vanno valutati secondo gli stessi criteri richiesti nel giudizio di merito. (Sez. 4, Sentenza n. 37878 del 06/07/2007 Cc. (dep. 15/10/2007 )Rv. 237475).

Il GIP ha ritenuto la sussistenza di gravi indizi di responsabilità a carico dell’indagato, in ordine ai reati contestati, desumibili dalla circostanziata denuncia della persona offesa D.W., dall’immediato riscontro a tale narrazione, come da verbale di sequestro e refertazione e dall’esito delle successive analisi sui reperti che hanno permesso ai Ris dei Carabinieri di individuare profili genetici sul piede di porco e sull’ascia, pienamente sovrapponibili a quelli dell’indagato e dalla corrispondenza tra il tratti fisico-somatici dell’autore principale della violenza e delle minacce, avendo precisato la parte offesa come lo stesso parlasse un italiano corretto dall’inflessione rumena o dell’ex Jugoslavia, specificando anche l’altezza (m. 1,65), la corporatura (snella), il colore degli abiti (scuri), il volto (travisato da un fazzoletto sopra il naso lungo e aguzzo). In materia di misure cautelari personali, allorchè sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte di legittimità spetta solo il compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie.

Il controllo di logicità, peraltro, deve rimanere all’interno del provvedimento impugnato e non è possibile procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate (Cass. pen., Sez. 2A, 17/12/2004, n. 3240).

Va, altresì, evidenziato, in conformità al costante orientamento di questa S.C., che la disposizione di cui all’art. 292 c.p.p., comma 2 ter, (in base alla quale l’ordinanza cautelare deve contenere, a pena di nullità, anche la valutazione degli elementi a favore dell’imputato) non impone al giudice, in sede di applicazione della misura, l’indicazione di qualsiasi elemento che sia ritenuto favorevole dal difensore, nè tantomeno gli prescrive, in sede di riesame della cautela, la confutazione, punto per punto, di qualsivoglia argomento difensivo di cui appaia manifesta l’irrilevanza o la non pertinenza, restando circoscritto l’obbligo motivazionale alla disamina delle specifiche allegazioni difensive contrastanti obbiettivamente con gli elementi accusatori (Cass. sez. 6A, 6 luglio 2004, n, 35675).

Invero nella nozione di "elementi di favore", di cui alla norma indicata, rientrano solo gli elementi di natura oggettiva e di fatto aventi rilievo concludente, mentre ne restano escluse le mere posizioni difensive negatone, le prospettazioni di tesi alternative sugli elementi indiziari e gli assunti assertori e defatigatori, giacche questi ultimi elementi restano assorbiti nell’apprezzamento complessivo che il giudice de liberiate opera quando qualifica un quadro indiziario come grave e in base a tale valutazione applica la misura cautelare (ex plurimis: Cass. sez. 4A, 10 giugno 2003 n. 34911).

Il Tribunale ha anche evidenziato come la mancanza di segnalazioni AFIS a carico del ricorrente nel periodo intercorrente fra 2001 e il 2010 non può costituire prova della sua assenza nel territorio nazionale alla data di commissione della rapina o, comunque, nel periodo intermedio -Conclusivamente il ricorso va rigettato.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.

Non conseguendo dalla presente sentenza la rimessione in libertà dell’indagato, si dispone che la cancelleria, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter, trasmetta copia di questo provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario nel quale è detenuto il ricorrente.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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