Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 24-11-2011) 09-12-2011, n. 45932

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale del riesame di Milano, con ordinanza in data 14/7/2011, confermava l’ordinanza emessa dal GIP presso il Tribunale di Milano, in data 26/6/2011, applicativa della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di C.A. indagato di tentata rapina aggravata, dopo aver consumato una prestazione sessuale con B.J.. Proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’indagato deducendo i seguenti motivi:

a) violazione di legge e difetto di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza di gravi indizi di colpevolezza avendo il Tribunale della libertà creduto acriticamente alla dichiarazione della parte lesa, prostituta;

b) violazione di legge e difetto di motivazione con riferimento al ritenuto pericolo per l’acquisizione e la genuinità della prova e per la reiterazione del reato in quanto i due precedenti del prevenuto si riferiscono agli anni 1980 e 1990, ritenendo incomprensibile la ritenuta adeguatezza della misura cautelare;

Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato e va dichiarato inammissibile.

1) Secondo l’orientamento di questa Corte, condiviso dal Collegio, "la modifica apportata all’art. 292 c.p.p., comma 2, con la L. 8 agosto 1995, n. 332 che ha introdotto la partizione c) bis, non impone al giudice del riesame un onere di motivazione tale da rendere necessaria un’analisi puntuale di ogni elemento fornito dalla difesa, quando l’irrilevanza di simile elemento risulti chiara dall’esposizione delle specifiche esigenze cautelari o degli indizi che legittimano in concreto la misura disposta" (Cass. Sez. 1 sent.

990 del 04.03.1996 dep. 04.04.1996 rv 205048). Il Tribunale del riesame, richiamando anche la motivazione del GIP, ha ritenuto credibili le affermazioni della parte offesa che ha dichiarato che l’uomo, terminato l’atto sessuale, aveva raggiunto la donna che nel frattempo era ritornata al solito posto in attesa di clienti, minacciandola e scagliandole contro una bottiglia di birra, estraendo dal bagagliaio un coltello, ricorrendo la parte offesa, gridando e minacciando di ucciderla se non avesse restituito i soldi.

E’ indiscusso nella giurisprudenza di questa Corte che a base del libero convincimento del giudice possono essere poste le dichiarazioni della parte offesa (Cass., sez. 3, 5 marzo 1993, Russo, m. 193862; Cass., sez. 4, 26 giugno 1990, Falduto, m. 185349) che, pur se non può essere equiparata a quella del testimone estraneo, può tuttavia essere anche da sola assunta come fonte di prova, ove venga sottoposta a un attento controllo di credibilità oggettiva e soggettiva (Cass., sez. 1, 28 febbraio 1992, Simbula, m. 189916;

Cass., sez. 6, 20 gennaio 1994, Mazzaglia, m. 198250; Cass., sez. 2, 26 aprile 1994, Gesualdo, m. 198323; Cass., sez. 6, 30 novembre 1994, Numelter, m. 201251; Cass., sez. 3, 20 settembre 1995, Azingoli, m.

203155), non richiedendo necessariamente neppure riscontri esterni, quando non sussistano situazioni che inducano a dubitare della sua attendibilità (Cass., sez. 6, 13 gennaio 1994, Patan, m. 197386, Cass., sez. 4, 29 gennaio 1997, Benatti, m. 206985, Cass., sez. 6,24 febbraio 1997, Orsini, m. 208912, Cass., sez. 6, 24 febbraio 1997, Orsini, m. 208913, Cass., sez. 2,13 maggio 1997, Di Candia, m.

208229, Cass., sez. 1,11 luglio 1997, Bello, m. 208581, Cass., sez. 3, 26 novembre 1997, Caggiula, m. 209404). A tali dichiarazioni, invero, non si applicano le regole di cui all’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, che riguardano le propalazioni dei coimputati del medesimo reato o di imputati in procedimenti connessi o di persone imputate di un reato collegato e che presuppongono l’esistenza di altri elementi di prova unitamente ai quali le dichiarazioni devono essere valutate per verificarne l’attendibilità.

Nel caso di specie il Tribunale del riesame, come già evidenziato, ha sottoposto ad attento controllo le dichiarazioni della vittima, valutate nel contesto delle attuali emergenze processuali, ed estendendo il vaglio anche ad altri elementi (quali la consegna da parte dell’indagato di coltello multiuso al momento dell’arresto e avendo riferito in tale circostanza, di aver pagato troppo per la prestazione sessuale e di volere la restituzione del suo denaro) che, pur se giuridicamente non necessari, è stato ritenuto corroborassero ab externo il contenuto delle propalazioni accusatone. Questa Corte ha affermato (ed il Collegio condivide l’assunto) che "la norma di cui all’art. 292 c.p.p., comma 2 ter, in base alla quale l’ordinanza di applicazione della custodia cautelare deve contenere, a pena di nullità, anche la valutazione degli elementi a favore dell’imputato, non impone al giudice l’indicazione di qualsiasi elemento che sia ritenuto favorevole dal difensore, nè tantomeno gli prescrive – in sede di riesame – la confutazione, punto per punto, di qualsivoglia argomento difensivo di cui appaia manifesta l’irrilevanza o la pertinenza, restando circoscritto l’obbligo motivazionale alla disamina di specifiche allegazioni difensive oggettivamente contrastanti con gli elementi accusatori e non anche deduzioni dirette a proporre ricostruzioni alternative della vicenda e a contrastare il potere selettivo degli elementi di indagine posti a fondamento delle decisioni cautelari". (Cass. Sez. 6 sent. n. 13919 del 28.2.2005 dep. 14.4.2005 rv 232033).

2) Il Tribunale ha fondato il giudizio prognostico sul rischio di condotte recidivanti sulla base di precedenti giudiziari significativi, ancorchè datati, rilevando la mancanza dei presupposti per la concessione della sospensione condizionale della pena, sotto il duplice profilo dell’elevato limite edittale della pena e l’ostatività soggettiva per averne l’indagato già beneficiato, evidenziando come il prevenuto non abbia avuto remore nel porre in essere una condotta che attenta non solo al patrimonio, ma mette in pericolo anche l’incolumità personale di terzi.

Sulla correttezza di tali considerazioni del Tribunale, è sufficiente richiamare il principio giuridico, più volte ribadito da questa Corte e condiviso dal Collegio, che in tema di esigenze cautelari, il pericolo di reiterazione del reato può essere desunto dai criteri stabiliti dall’art. 133 c.p., tra i quali sono ricompresi le modalità e la gravità del fatto, sicchè non deve essere considerato il tipo di reato o una sua ipotetica gravità, bensì devono essere valutate – come congruamente è stato operato nel caso di specie – situazioni correlate con i fatti del procedimento ed inerenti ad elementi sintomatici della pericolosità dell’indagato.

(Sez. 4, Sentenza n. 34271 del 03/07/2007 Cc. -dep. 10/09/2007 – Rv.

237240).

La motivazione di cui sopra appare adeguata a spiegare la scelta della custodia cautelare in carcere quale unica misura idonea a prevenire il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie alla luce dell’orientamento di questa Corte, condiviso dal Collegio, secondo il quale in tema di scelta e adeguatezza delle misure cautelari, ai fini della motivazione del provvedimento di custodia in carcere non è necessaria un’analitica dimostrazione delle ragioni che rendono inadeguata ogni altra misura, ma è sufficiente che il giudice indichi, con argomenti logico-giuridici tratti dalla natura e dalle modalità di commissione dei reati nonchè dalla personalità dell’indagato, gli elementi specifici che, nella singola fattispecie fanno ragionevolmente ritenere la custodia in carcere come la misura più adeguata ad impedire la prosecuzione dell’attività criminosa, rimanendo in tal modo superata e assorbita l’ulteriore dimostrazione dell’inidoneità delle subordinate misure cautelari. (Cass. Sez. 1, sent. n. 45011 del 26.9.2003 dep 21.11.2003 rv 227304).

Nelle more del giudizio il difensore dell’indagato ha comunicato che l’imputato di trova attualmente agli arresti domiciliari, rendendo superflua la comunicazione ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di Euro mille, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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