Cassazione, sez. II, 17 giugno 2011, n. 24437 È estorsione chiedere al conduttore una somma in nero per evitare lo sfratto?

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Osserva

Con sentenza in data 26 maggio 2009 la Corte di appello di Roma confermava la sentenza emessa il 19 aprile 2008 dal Tribunale di Roma con la quale N. A. era stato dichiarato colpevole del reato di tentata estorsione aggravata, commesso in Roma il 7 aprile 2001 ai danni di C. E., ed era stato condannato, con le circostanze attenuanti generiche equivalenti all’aggravante dell’art.61 n.7 c.p., alla pena condizionalmente sospesa, di anni uno, mesi otto di reclusione ed euro 500.00 di multa nonché al risarcimento dei danni, da liquidarsi separatamente e alla rifusione delle spese in favore della parte civile C. E., cui veniva assegnata una provvisionale di euro 15.000,00. Con la sentenza di primo grado era stata dichiarata l’improcedibilità dell’azione penale in ordine all’analogo reato di estorsione, consumato ai danni dello stesso C.E. nell’anno 1989, trattandosi di reato estinto per prescrizione.

Secondo la ricostruzione dei fatti compiuta dal giudice di merito, il N. avrebbe preteso dal C., gestore di un ristorante che aveva sede in un locale di cui l’imputato era comproprietario, la consegna della somma “in nero” di 120.000.000 £ per non procedere allo sfratto e prorogare il contratto di locazione scadente alla fine dell’anno 2001: la somma di 30.000.000 £, accettata quale acconto dal N., era stata versata il 7 aprile 2001 all’imputato dal C., che aveva preavvertito i Carabinieri i quali erano intervenuti e avevano proceduto al sequestro della somma ricevuta dal N.. Il C. aveva riferito che un analogo episodio si era verificato nell’anno 1989 allorché il N. e suo padre U., poi deceduto. lo avevano costretto a corrispondere “in nero” la somma in contanti di 150.000.000 £ per il primo rinnovo del contratto di locazione.

Avverso la predetta sentenza della Corte di appello di Roma l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione.

Con il ricorso si deduce l’erronea interpretazione ed applicazione dell’art. 629 c.p. e la mancanza o manifesta illogicità della motivazione poiché erroneamente nella sentenza impugnata la pretesa di non rinnovare il contratto di locazione alla scadenza, che costituiva l’esercizio di un diritto da parte dell’imputato, era stata ritenuta condotta idonea a coartare la volontà del C.: è pur vero, secondo il ricorrente, che anche la prospettazione dell’esercizio di un diritto (come, per esempio, quello di adire l’Autorità giudiziaria) può integrare una minaccia valida a configurare il reato di estorsione, ma deve trattarsi della minaccia del ricorso a strumenti giuridici. di per sé non ingiusti. per raggiungere “scopi non consentiti o risultati non dovuti”; la Corte territoriale avrebbe ricondotto la condotta estorsiva esclusivamente alla dazione “in nero” della somma richiesta.

Soffermandosi quindi sulle modalità del pagamento e non sul pagamento in sé mentre nel caso in esame il N., essendo scaduto il contratto, era libero nella determinazione di un canone o condizione di pagamento più gravosi (il richiamo giurisprudenziale contenuto nella sentenza impugnata non sarebbe pertinente perché riguardava il diverso caso in cui, mentre era in corso il contratto di locazione, il locatore aveva mutato le condizioni a suo tempo stabilite per celare la percezione di tassi usurari): pertanto la semplice richiesta “in nero” d una somma una tantum avrebbe avuto nel caso in esame rilevanza sotto il profilo fiscale, mentre l’assoggettamento a condizioni anche vessatorie sarebbe stato frutto di una libera determinazione del C., la cui volontà era stata condizionata ma non coartata , ben potendo egli rifiutare la proposta del N. senza riceverne alcun danno giuridicamente rilevante (potendo anzi ipso iure godere del diritto alla corresponsione dell’indennità di avviamento commerciale, previsto dall’art. 34 legge n. 392/78 e pari a diciotto mensilità dell’ultimo canone corrisposto); né la notifica dell’intimazione di sfratto avrebbe potuto essere individuata quale idoneo elemento di pressione, posto che sin dal luglio 1999 al C. era stata notificata la disdetta per finita locazione ed egli aveva avuto un congruo termine per prendere le sue decisioni, non potendo del resto vantare alcun diritto al rinnovo del contratto.

Il ricorso e infondato e va rigettato.

La giurisprudenza di questa Corte in tema di estorsione (Cass., sez. II, 4 novembre 2009, n. 119, Ferranti; 6 febbraio 2008 n.12082, Sartor: sez. II 16 gennaio 2003 n. 16618. Staniscia: sez. II 24 settembre 1991 n.3380. Pergola) è consolidata nel senso che la minaccia, anche allorché consista nella prospettazione da parte del soggetto agente dell’esercizio di una facoltà o di diritto (come nel caso di specie il mancato rinnovo del contratto di locazione da parte del N.), diviene contra ius se, pur non essendo antigiuridico il male prospettato, l’agente tenda ad ottenere risultati non consentiti o prestazioni non dovute (nel caso in esame la corresponsione di una somma imposta unilateralmente dal locatore, non dovuta e non nascente dal contratto, che lo stesso ricorrente si limita a definire una somma corrisposta una tantum). come quando la minaccia sia fatta con il proposito di coartare la volontà altrui per soddisfare scopi personali non conformi a giustizia. Nella trattazione della sentenza impugnata la versione difensiva dell’imputato della destinazione al pagamento di asseriti lavori sulla canna fumaria del locale locato della somma di 20.000.000 £ versata in contanti dalla persona offesa all’imputato, peraltro senza rilascio di quietanza, è stata ritenuta inattendibile, all’esito di un esame approfondito del materiale documentale acquisito e di una serie di argomentazioni immuni da vizi logici e giuridici, che il ricorrente nemmeno contesta.

La somma richiesta dall’imputato – il quale risulta anche aver ottenuto un consistente acconto(30.000.000 £ in banconote da 100.000 £ e 500.000 £, preventivamente fotocopiate dai Carabinieri) e così almeno parzialmente aver portato a compimento la condotta criminosa, realizzando un’estorsione consumata – non poteva peraltro ragionevolmente essere definita una controprestazione stante la sua manifesta eccessività rispetto a quanto il N. avrebbe potuto ottenere attraverso l’esercizio del dirittto (richiesta di aumento del canone in caso di rinnovo, che la persona offesa aveva riferito di aver ricevuto), che rendeva iniqua la pretesa dell’imputato e ingiusto il profitto perseguito. La Corte ritiene infatti, come già evidenziato in altre sentenze emesse da questa sezione (cfr. in particolare Cass. sez. II 4 novembre 2009 n. 119. Ferranti), che “anche l’abuso del diritto, in quanto possibile strumento di sopraffazione dell’altrui libertà di autodeterminarsi, può integrare l’estremo della minaccia – che, non a caso, l’art. 629, a differenza dell’art. 612 c.p.p., non richiede debba profilare in sé alcun danno ingiusto – quale elemento necessario e sufficiente per costringere altri ad una prestazione dannosa e tale da realizzare, per l’autore, un profitto che l’ordinamento, sdtavolta, qualifica come ingiusto, proprio perché, ad un tempo, indebito e coartato”.

Le considerazioni del ricorrente circa l’idoneità dell’intimazione di sfratto per finita locazione (notificata solo pochi giorni prima del versamento dell’”anticipo” sulla somma richiesta di 120.000.000 £), a integrare una forma di pressione morale nei confronti della persona offesa, alla quale era già stata notificata nel luglio 1999 disdetta per finita locazione, coinvolgono una questione di fatto rimessa alla valutazione del giudice di merito che. nella sentenza impugnata, ha posto in adeguata evidenza le difficoltà economiche del C. e il gravissimo pregiudizio economico, personale e familiare che la fine della sua ultradecennale attività commerciale, con l’abbandono del locale, avrebbe comportato. La connotazione di una condotta come minacciosa, indipendentemente dalla forma della minaccia, e la sua idoneità ad integrare l’elemento strutturale del delitto di estorsione vanno infatti valutate in relazione a concrete circostanze oggettive (la personalità sopraffattrice dell’agente, l’ambiente in cui lo stesso opera, l’ingiustizia della pretesa), ma anche con riferimento alle particolari condizioni soggettive della vittima (Cass. sez. VI 26 gennaio 1999 n. 3298, Savian).

Al rigetto del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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