Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 09-11-2011) 09-12-2011, n. 45920 Giudizio d’appello sentenza d’appello

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Avverso la sentenza indicata in epigrafe, che ha confermato la sentenza del Tribunale di Teramo, del 16.04.2008, di condanna di D. D.R., alla pena di anni tre e mesi quattro di reclusione ed Euro 600,00 di multa, ritenute le attenuanti generiche, ricorre la difesa del D.D., chiedendo l’annullamento della sentenza e deducendo a motivo:

a) la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 629 c.p., lamenta che la Corte aveva recepito acriticamente la motivazione del giudice di prime cure anche se dagli elementi di prova acquisiti non era possibile sussumere la condotta dell’imputato nella fattispecie di reato di estorsione che richiede, quali elementi necessari, l’ingiustizia del profitto con altrui danno e la volontarietà della coercizione. In particolare i giudici di merito hanno ritenuto provata la responsabilità del D.D.sulla base delle dichiarazioni accusatorie della A., parte civile, suffragate dalla deposizione del teste Al.Am. e da un assegno emesso dalla A. in favore del D.D.. Tuttavia, a parere del ricorrente, i giudici di merito, nel valutare il predetto materiale probatorio non hanno percepito che la parte lesa ha diviso in due fasi il suo rapporto con l’imputato: nella prima fase ella avrebbe spontaneamente elargito denaro all’imputato, nella fase successiva, sentendosi sfruttata avrebbe deciso di interrompere le elargizioni provocando la reazione minacciosa e coartante del D. D., che la costrinse a consegnargli l’assegno post datato indicato nell’imputazione, peraltro mai incassato dall’imputato. Il mancato incasso dell’assegno escluderebbe il conseguimento dell’ingiusto profitto necessario al configurarsi dell’estorsione.

L’errata valutazione degli elementi di prova da parte dei giudici di merito, di primo e secondo grado, avrebbe conferito alle dichiarazioni di Al.Am. e all’assegno rilasciato dalla A. al D.D. un valore probatorio univoco di colpevolezza mentre,in realtà, le dichiarazioni di Al. riferiscono notizie de relato, apprese dalla stessa A. e, comunque, non denunciano mai minacce dirette dal D.D. alla donna; l’assegno, poi, sta a dimostrare soltanto che la donna doveva all’imputato la restituzione di una somma ingente. La tesi secondo la quale l’imputato aveva prestato una consistente somma alla donna è stata avvalorata dalla testimonianza del teste D.G., che ha affermato di aver appreso dal D.D. che la donna gli doveva una consistente somma di denaro e di aver ricevuto dalla A. la richiesta di intercedere per lei presso il D.D. affinchè si accontentasse di una somma molto inferiore a quella da lei dovuta.

La testimonianza del D.G. è stata sottovalutata dai giudici ai fini della valutazione della responsabilità dell’imputato.

Inoltre nella parte motiva della sentenza non vi è alcun riferimento all’elemento psicologico del reato che invece doveva essere individuato dai giudici ma non sulla base delle dichiarazioni della parte lesa che si sono dimostrate inattendibili e non sincere perchè la donna aveva negato una relazione sentimentale con il D. D., circostanza invece smentita da diversi testi, b) A parere del ricorrente,invece, una accorta valutazione del materiale probatorio avrebbe dovuto mandare assolto l’imputato ai sensi dell’art. 53 c.p.p., comma 2, non potendosi attribuire alle dichiarazioni della parte lesa quella attendibilità conferitale dai giudici, che non hanno valutato tali dichiarazioni con il rigore necessario e richiesto dal fatto che la donna aveva taciuto la natura sentimentale del rapporto intercorso con il D.D..

La motivazione della sentenza,inoltre, è errata nella parte in cui trae un giudizio negativo dallo stato di contumacia dell’imputato, posto, comunque, che l’attività difensiva ha, comunque, offerto la prova diretta della inattendibilità della A. e dell’esistenza di un debito della donna nei confronti del D.D.. c) la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 393 c.p., i fatti andavano inquadrati nella fattispecie dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni, correttamente valutando la testimonianza del D.G. che, invece, è stata disattesa dai giudici di merito con un ragionamento viziato da inconsistenza probatoria ed illogicità. In motivazione si fa, così, ricorso ad illazioni ed ipotesi che costituiscono l’illecita costruzione della prova positiva della colpevolezza dell’imputato. d) travisamento del fatto ex art. 606 comma 1, lett. e). I giudici di merito hanno operato una ricostruzione degli eventi errata gasandosi esclusivamente sulle dichiarazioni della persona offesa, costituitasi parte civile, disattendendo la deposizione del teste D.G., dotata del carattere della decisività.

Motivi della decisione

2. Il ricorso non è fondato.

2.1 I motivi di ricorso, in realtà, si sostanziano nella prospettazione di una diversa ricostruzione ed interpretazione del materiale probatorio e, perciò, in una versione alternativa dei fatti indicati nel capo di impugnazione, senza peraltro indicare elementi di prova specifici dai quali dedurre il lamentato travisamento. Va però rilevato che la prospettata ricostruzione alternativa, che fa perno su una pretesa matrice sentimentale del rapporto intercorso tra l’imputato e la vittima, è già stata esaminata e puntualmente scartata dal primo giudice,con una motivazione che non merita censure,sia in ordine alla credibilità della parte lesa sia in ordine alla insussistenza del legame affettivo, proprio perchè di tale alternativa ricostruzione dei fatti non era stata fornita, da chi la evocava, alcuna prova.

2.2 A tale proposito, si legge infatti nella sentenza del primo giudice che: "La A., peraltro, pur costituitasi parte civile,non è apparsa animata da forme di astio o risentimento nei confronti dell’imputato, che possano evidenziarne una possibile inattendibilità. Del resto l’imputato, rimasto contumace in dibattimento,non ha fornito una ricostruzione dei suoi rapporti personali con la parte civile alternativa rispetto a quanto rappresentato dalla A., nè ha fornito elementi di prova indicativi dell’inattendibilità della stessa…". Ed i giudici di secondo grado, che a quella motivazione fanno ampio rinvio, hanno anche aggiunto che"; Il D.D., peraltro, non ha ritenuto di dover fornire alcuna alternativa spiegazione in merito all’emissione del titolo in suo favore da parte della A….". 2.3 Orbene la doglianza relativa alla motivazione per relationem non è fondata perchè, come già ritenuto dalle Sezioni Unite di questa Corte, con la decisione n. 17 del 2000, alla quale questo collegio ritiene di dover dare continuità, la motivazione "per relationem" di un provvedimento giudiziale è da considerarsi sempre legittima quando, come nel caso in esame: a) faccia riferimento ad altro atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all’esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; b) fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto delle ragioni del provvedimento di riferimento ritenendole coerenti con la sua decisione; c) l’atto di riferimento sia conosciuto dall’interessato o almeno a lui ostensibile.

2.4. L’altra parte questa Corte ha anche affermato che, in tema di integrazione delle motivazioni tra le conformi sentenze di primo e secondo grado, se l’appellante si limita alla riproposizione di questioni di fatto già adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, oppure di questioni generiche, superflue o palesemente inconsistenti, il giudice dell’impugnazione ben può motivare per relazione; ed il vizio di motivazione, sindacabile ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), sussiste solo se le soluzioni adottate dal giudice di primo grado siano state specificamente censurate dall’appellante e quello dell’appello si sia limitato a respingerle, richiamando la censurata motivazione in termini apodittici o meramente ripetitivi, senza farsi carico di argomentare sull’inadeguatezza od inconsistenza dei motivi di impugnazione.

2.5 I giudici della Corte teramana, viceversa, facendo esplicito riferimento all’assenza di prova in ordine alle diverse prospettazioni difensive, hanno fornito risposta aderente e compiuta alle istanze difensive, integrando con autonome e calibrate considerazioni la già conforme ed adeguata motivazione del giudice di prime cure,in ordine alla attendibilità della parte lesa.. Tanto più che secondo un principio giurisprudenziale di questa Corte, che questo Collegio condivide e fa proprio, alle dichiarazioni indizianti della persona offesa non si applicano le regole di cui ai commi terzo e quarto dell’art. 192 c.p.p., che postulano la presenza di riscontri esterni, sicchè la deposizione della parte lesa può essere assunta, anche da sola, come prova, purchè venga sottoposta ad indagine positiva circa la sua attendibilità. Tuttavia, atteso l’interesse di cui essa è portatrice, più rigorosa deve essere la valutazione ai fini del controllo di attendibilità rispetto al generico vaglio cui vanno sottoposte le dichiarazioni di ogni testimone ed opportuno appare il riscontro in altri elementi probatori. (sentenza n.8608 del 1997 rv 208581). Cosa che la Corte di merito ha fatto non solo richiamando la testimonianza di Al.Am. e la presenza della prova documentale costituita dall’originale dell’assegno, ma soprattutto valutando quale elemento di riscontro l’assenza di una alternativa spiegazione dei fatti da parte dell’imputato.

2.6 Ricondotte perciò le doglianze all’ambito di una ricostruzione alternativa dei fatti, si appalesa evidente che il ricorso intende sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del materiale probatorio rimessi alla esclusiva competenza del Giudice di merito senza indicare in maniera specifica vizi di legittimità o profili di illogicità della motivazione della decisione impugnata ma mirando a provocare un giudizio di merito da contrapporre a quello adottato dal Giudice d’appello. Un giudizio di tale natura, peraltro, non compete alla Corte di legittimità (Sent. 24 del 24.11.1999 dep. 16.12.1999 rv 214794).

2.7 Manifestamente infondati, perchè generici, sono, infine, il motivo sub c) e d) che fanno riferimento alle dichiarazioni rese dal teste D.G., valutate generiche, senza allegarne il verbale, precludendo,così a questa Corte la possibilità di una effettiva verifica del vizio dedotto.

Il ricorso, pertanto deve essere rigettato.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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