Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 09-11-2011) 09-12-2011, n. 45916 Vendita di prodotti industriali con segni mendaci

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Avverso la sentenza indicata in epigrafe, che, nei confronti di T.A., ha confermato la sentenza del Tribunale di Genova di condanna per i reati di commercio di prodotti con segni falsi e ricettazione, alla pena di giorni 20 di reclusione ed Euro 400,00 di multa, ritenuta la continuazione tra i reati, ricorre la difesa del T., chiedendo l’annullamento della sentenza e deducendo a motivo:

a) la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b e c, per l’erronea applicazione dell’art. 474 c.p. e l’illogicità della motivazione in relazione al motivo di appello con il quale si deduceva l’innocuità del falso, non avendo la Corte motivato sul punto chiarendo se si trattava di riproduzione del marchio, di mera imitazione servile ovvero di falso innocuo, come individuato dalla giurisprudenza di legittimità più recente;

b) la manifesta illogicità della motivazione circa la mancata concessione dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4 negata dalla Corte di merito sul rilievo che il valore dei beni originali valgono alcune migliaia di Euro e che anche nella versione contraffatta, le merci hanno un valore che eccede quello, assai modesto, che legittimerebbe la situazione richiamata dalla invocata attenuante;

c) il vizio di motivazione in relazione all’applicazione della L. n. 689 del 1981, artt. 53, 57 e 58 perchè il giudice ha negato la libertà controllata motivando sulla maggiore forza deterrente della detenzione in relazione allo stato sociale dell’imputato e non facendo riferimento, come avrebbe dovuto, ai criteri di cui all’art. 133 c.p..

Motivi della decisione

2. Il ricorso non è fondato.

2.1 Rileva, in ordine alla doglianza relativa al falso innocuo o grossolano, che la Corte di legittimità, con giurisprudenza ripetuta ed univoca, condivisa da questo collegio e d’altra parte richiamata dalla sentenza impugnata, ha affermato che in tema di fattispecie di cui all’art. 474 c.p. non ha rilievo la configurabilità della cosiddetta contraffazione grossolana, considerato che l’art. 474 c.p., tutela, in via principale e diretta, la pubblica fede, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi o segni distintivi, che individuano le opere dell’ingegno e i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione e non la libera determinazione dell’acquirente.

2.2 Si tratta, pertanto, di un reato di pericolo, per la cui configurazione non occorre la realizzazione dell’inganno e nemmeno ricorre l’ipotesi del reato impossibile qualora la grossolanità della contraffazione e le condizioni di vendita siano tali da escludere la possibilità che gli acquirenti siano tratti in inganno (Sentenza n. 31451 del 2006 rv 235214) e, comunque, che non punibile è solo la contraffazione riconoscibile "ictu oculi", senza necessità di particolari indagini, che si concreta in un’imitazione così ostentata e macroscopica, per il grado di incompiutezza, da non poter ingannare nessuno. (Sentenza n.518 del 2005 rv 233168).

2.3 Anche il secondo motivo non può essere accolto perchè, con la pretestuosa doglianza del vizio di motivazione si tenta di ottenere dalla Corte Suprema l’asseverazione su una diversa ricostruzione degli elementi tempero-spaziali degli avvenimenti, in assenza di qualsivoglia elemento di prova di un travisamento di tali fatti . Ma, secondo i principi giurisprudenziali già individuati dalla Suprema Corte, a quest’ultima non compete, in sede di controllo della motivazione del provvedimento impugnato,un giudizio,degli elementi di fatto posti a base del deciso, nuovo e diverso sol perchè più favorevole all’imputato. Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con "i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento", secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (Cass. Sez. 4A sent. n. 47891 del 28.09.2004 dep. 10.12.2004 rv 230568; Cass. Sez. 5A sent. n. 1004 del 30.11.1999 dep. 31.1.2000 rv 215745; Cass., Sez. 2A sent. n. 2436 del 21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv 196955).

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.

3. Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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