Cass. civ. Sez. III, Sent., 28-06-2012, n. 10879 Esecuzione forzata di obblighi di fare e di non fare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- Con sentenza del Tribunale di Salerno del 24 giugno/5 agosto 1999 n. 834 si concludeva un giudizio di manutenzione nel possesso dell’androne condominiale instaurato dai condomini B., D., D.C. e Be. nei confronti del Condominio (OMISSIS) e veniva ordinato a quest’ultimo condominio "la definitiva rimozione dei cinque vasi fioriere di cui al ricorso introduttivo in data 3.4.1989".

Intimato precetto, in data 2 novembre 1999, dai condomini vittoriosi per ottenere la definitiva rimozione dei vasi-fioriere apposti nell’androne condominiale e proposto dagli stessi ricorso ex art. 612 cod. proc. civ. in forza di detta sentenza, il Condominio propose opposizione all’esecuzione deducendo che i vasi di cui a quest’ultima sentenza erano stati definitivamente rimossi già in data 19 ottobre 1990, mentre erano all’epoca presenti nell’androne quattro, e non cinque, nuove fioriere in plastica (e non di terracotta, come le altre), collocate sul lato opposto, a seguito di delibera condominiale del 25 marzo 1996, mai impugnata.

Il Tribunale di Salerno, con sentenza del 17 maggio 2005, accolse l’opposizione.

2.- I condomini B.P., D.T., D.C. M. e Be.Ge. proposero appello nei confronti del Condominio, rappresentato dall’amministratore. Questi si costituì in giudizio ed, eccepite la tardività e comunque l’inammissibilità dell’appello, resistette al gravame.

La Corte d’Appello di Salerno, con sentenza pubblicata il 5 novembre 2007, ha rigettato le eccezioni preliminari ed ha accolto il gravame;

per l’effetto, ha rigettato l’opposizione all’esecuzione proposta dall’amministratore del Condominio avverso il precetto del 2 novembre 1999 ed il ricorso del 31 gennaio 2000 ed ha condannato l’appellato al rimborso delle spese del doppio grado.

3.- Avverso la sentenza d’appello, non impugnata dal Condominio soccombente, propongono ricorso per cassazione i condomini C. R. e S.G., a mezzo di tre motivi.

Si difendono con controricorso i condomini B., D.C. e Be..

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..

Motivi della decisione

1.- Preliminarmente, va rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso perchè proposto da condomini che, secondo i resistenti, sarebbero privi di legittimazione ad impugnare, non avendo partecipato ai gradi di merito, nel corso dei quali il Condominio aveva agito e resistito con la rappresentanza dell’amministratore. A fondamento dell’eccezione i resistenti richiamano l’orientamento giurisprudenziale, ribadito da questa Corte anche di recente, per il quale il noto principio secondo cui l’esistenza, nel condominio, di un organo rappresentativo unitario sfornito di personalità distinta da quella dei suoi partecipanti, non priva i singoli condomini del potere di agire a difesa di diritti connessi a detta partecipazione non trova applicazione con riguardo alle controversie aventi ad oggetto impugnazione di deliberazioni dell’assemblea condominiale che tendono a soddisfare esigenze soltanto collettive della gestione del servizio comune, senza attinenza diretta all’interesse esclusivo di uno o più partecipanti, con la conseguenza che, in tale controversia, la legittimazione ad agire – e quindi ad impugnare – spetta in via esclusiva all’amministratore, la cui acquiescenza alla sentenza (come nel caso di specie) esclude la possibilità di impugnazione proposta dal singolo condomino (cfr. Cass. n. 6480/98, richiamata nel controricorso, cui adde Cass. n. 21444/10, n. 19223/11).

1.1.- Il Collegio, pur ribadendo l’eccezione di cui sopra al principio della legittimazione ad agire dei singoli condomini concorrente con quella dell’amministratore del condominio per la difesa dei diritti connessi alla partecipazione a quest’ultimo, ritiene che essa non trovi applicazione nel caso di specie.

Questo è relativo all’opposizione all’esecuzione di una sentenza che ha imposto un obbligo di fare al Condominio e che costituisce titolo esecutivo sia nei confronti di quest’ultimo, rappresentato dall’amministratore, che nei confronti dei singoli condomini.

Infatti, come si dirà anche esaminando il terzo motivo del ricorso, si tratta dell’esecuzione di una sentenza pronunciata a tutela della situazione di (com)possesso dell’androne condominiale, ritenuta dal giudice della relativa azione di manutenzione, ivi spiegata, come spettante a ciascuno dei condomini, in quanto tale. Più in particolare, la sentenza del Tribunale di Salerno n. 834/1999, la cui esecuzione forma oggetto della presente opposizione, ha ritenuto che l’apposizione nell’androne condominiale di vasi – fioriere, così come denunciata dai ricorrenti, costituisse una molestia al possesso vantato da questi ultimi sullo spazio comune dell’androne condominiale, da ciascuno dei condomini perciò tutelabile col rimedio di cui all’art. 1170 cod. civ., anche nei confronti degli altri condomini.

Si tratta di statuizione insindacabile in questa sede, in quanto posta a fondamento del titolo di formazione giudiziale della cui esecuzione si tratta. Pertanto, a prescindere dalla questione dell’interpretazione della portata oggettiva di questo (che, come si dirà, è stata controversa e diversamente risolta nei gradi di merito della presente opposizione all’esecuzione), dal punto di vista soggettivo il giudicato sul titolo esecutivo costituito dall’anzidetta sentenza del Tribunale di Salerno n. 834/1999 si è formato nei confronti dell’amministratore del Condominio soltanto quale organo rappresentativo unitario dei singoli condomini.

Più specificamente, la sentenza, della cui esecuzione si tratta, ha finito per imporre un facere non al Condominio, quale ente di gestione, a seguito dell’annullamento (o dell’esecuzione) di una deliberazione assembleare concernente la gestione della cosa comune, ma all’amministratore del Condominio quale rappresentante dei condomini, titolari di una situazione possessoria contrapposta a quella degli altri condomini, ricorrenti ex art. 1170 cod. civ..

1.2. – Orbene, di norma il soggetto passivo dell’esecuzione per gli obblighi di fare è colui che si trovi col bene in una relazione di fatto tale da consentirgli di soddisfare la pretesa dell’avente diritto; così, lo stesso soggetto è anche colui cui spetta la legittimazione a proporre opposizione all’esecuzione, ove intenda contestare il diritto della controparte di procedere esecutivamente.

In una fattispecie in cui la sentenza di condanna imponeva un obbligo di fare nei confronti di una pluralità di soggetti, quali comproprietari del bene, questa Corte ha avuto modo di affermare che "quando manca l’esecuzione spontanea di un’obbligazione di fare e la parte istante chiede al giudice di conformare coattivamente la situazione di fatto a quella dichiarata nel titolo esecutivo, la parte di soggetto passivo dell’esecuzione forzata è assunta dalla persona che, in rapporto al bene da modificare, versa in una particolare situazione possessoria: più specificamente, nella situazione possessoria che da un lato gli consentirebbe di eseguire l’obbligazione imposta dal titolo, dall’altro si tratta di superare mediante l’intervento del giudice, per realizzare il risultato dovuto in base al titolo" (così Cass. n. 3990/03, in motivazione).

Questa stessa parte, proprio perchè soggetto passivo dell’esecuzione, a prescindere dal fatto che le siano stati notificati titolo esecutivo e precetto, è anche legittimata a proporre opposizione all’esecuzione, se non sia contemplata dal titolo come soggetto obbligato o se possa opporre una situazione possessoria prevalente (come è stato affermato anche in sede di esecuzione forzata per rilascio: cfr Cass. n. 15083/00).

Dunque, detto soggetto assume la qualità di parte del processo di esecuzione forzata in forma specifica non per il fatto di ricevere la notifica del titolo esecutivo e del precetto (cfr. sempre Cass. n. 3990/03), ma per il fatto di essere concretamente raggiunto nella sua situazione possessoria dalla modificazione del bene ordinata dal giudice e non può resistere a questa intromissione nella sua sfera di possesso se non contestando il titolo che dovrebbe eseguire.

1.3.- Il caso di specie è caratterizzato dalla peculiarità del titolo esecutivo, tale che, pur formatosi nei confronti dell’amministratore del Condominio, è tuttavia idoneo a compromettere la situazione possessoria di ciascuno dei condomini da questo rappresentati, a seguito della modificazione del bene comune ordinata con la sentenza posta a fondamento dell’esecuzione.

Pertanto, applicando i principi di cui sopra anche all’ipotesi in cui la situazione di compossesso riguardi il bene condominiale, va riconosciuta la legittimazione concorrente all’opposizione all’esecuzione all’amministratore del condominio ed ai singoli condomini, con conseguente facoltà di questi ultimi di intervenire nel giudizio intrapreso dal primo e di avvalersi dei mezzi di impugnazione per evitare gli effetti sfavorevoli della sentenza pronunziata nei confronti dell’amministratore stesso, la cui rappresentanza, nella ipotesi di interventi o impugnazioni da parte di singoli condomini, si restringe a quegli altri condomini che non si siano costituiti di persona nel processo (cfr. già Cass. n. 2922/79, nonchè di recente Cass. n. 1011/10, n. 10717/11, n. 4991/12; cfr. anche Cass. n. 4810/00, nel senso che la legittimazione concorrente sussiste anche relativamente all’esercizio delle azioni a tutela del possesso, la cui legittimazione in capo all’amministratore non esclude quella dei singoli condomini ad agire per la difesa dei diritti esclusivi o comuni).

2.- Passando all’esame dei motivi di ricorso, va precisato che questo è soggetto, quanto alla formulazione dei motivi, al regime dell’art. 366 bis c.p.c. (inserito dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 ed abrogato dalla L. 18 giugno 2008, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d), applicabile in considerazione della data di pubblicazione della sentenza impugnata (5 novembre 2007).

Col primo motivo si denuncia "violazione e falsa applicazione delle norme degli artt. 324, 325, 326 e 112 c.p.c., art. 2909 c.c. in ordine all’omessa dichiarazione di inammissibilità dell’appello per tardività rispetto al termine breve decorrente dalla notifica della sentenza di primo grado, alla corrispondenza tra chiesto e pronunciato e al giudicato formale e sostanziale", in relazione all’art. 360 c.p.p., nn. 3 e 4.

Si denuncia altresì "vizio di motivazione su fatto controverso e decisivo per il giudizio, relativo alla verifica della notificazione della sentenza gravata", in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Il motivo è inammissibile, sotto entrambi i profili.

2.1.- La prima censura, relativa alla violazione di legge, è assistita da due quesiti di diritto, il primo dei quali risulta inadeguato ed il secondo non pertinente, secondo quanto appresso.

La prima proposizione del quesito di diritto è la seguente: "Dica la Cassazione se il giudice dell’appello ha il dovere di accertare l’ammissibilità della domanda di riesame e l’avvenuto giudicato in base agli atti prodotti, valutando come atto pubblico – valido sino a querela di falso – la notifica della sentenza gravata attestata dall’ufficiale giudiziario e computando il termine breve previsto per l’impugnazione, senza ricorrere ad arbitrarie interpretazioni dell’atto pubblico costituito dalla relata di notifica della sentenza, che proviene da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, con le attestazioni inerenti alle attività direttamente svolte dall’ufficiale giudiziario, che fanno piena prova fino a querela di falso, compreso il fatto di aver consegnato un atto al destinatario in una certa data e in certo luogo".

Orbene, ritiene il Collegio che il quesito è formulato in termini tali da non rendere in alcun modo evidente la questione di diritto sottoposta all’esame della Corte, poichè espresso in termini generici e senza alcun concreto riferimento al caso di specie. Esso, così come formulato, non consente a questa Corte l’individuazione dell’errore di diritto denunciato dai ricorrente con riguardo alla fattispecie concreta nè l’enunciazione di una regula iuris applicabile anche in casi ulteriori rispetto a quello da decidere con la presente sentenza, poichè di tale caso e delle questioni che esso pone non è fornita valida sintesi logico-giuridica (cfr. Cass. S.U. n. 26020/08).

2.2.- La seconda proposizione del quesito di diritto riferito al primo motivo è la seguente: "Tra gli affari civili che, per la loro natura di urgenza, non sono soggetti alla sospensione dei termini processuali nel periodo feriale il combinato disposto della L. 7 ottobre 1969, n. 742, art. 3 e del R.D. 30.1.1.1941, n. 12, art. 92, comma 1, contempla – tra gli altri – i procedimenti di opposizione all’esecuzione, con la conseguenza che l’appello proposto dalla parte dopo la scadenza del termine breve perentorio di 30 giorni decorrenti dalla data della notifica della sentenza di primo grado, a norma dell’art. 325 c.p.c., deve essere dichiarato inammissibile, senza computare il periodo feriale intercorso nelle more".

Va qui ribadito che il quesito di diritto deve investire la ratio decidendi della sentenza impugnata, proponendone una alternativa od opposta (cfr. Cass. n. 4044/09); deve essere, cioè, specifico e pertinente, sicchè la mancanza di conferenza del quesito di diritto rispetto al deciso – che si verifica allorchè, da una parte, la risposta allo stesso pur positiva per il richiedente, è priva di rilevanza nella fattispecie, in quanto il deciso attiene a diversa questione, sicchè il ricorrente non ha interesse a proporre quel quesito dal quale non può trarre alcuna conseguenza concreta utile ai fini della causa – è assimilabile all’ipotesi di mancanza del quesito, a norma dell’art. 366 bis cod. proc. civ., con conseguente inammissibilità del motivo, in applicazione del principio in tema di motivi non attinenti al decisum, nel senso che la proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al decisum della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 cod. proc. civ., n. 4, con conseguente inammissibilità del ricorso, rilevabile anche d’ufficio (Cass. S.U. n. 14385/07).

Orbene, nel caso di specie, la sentenza non ha affatto fondato la decisione di rigetto dell’eccezione di inammissibilità dell’appello su un’errata interpretazione della L. 7 ottobre 1969, n. 742, art. 3 e del R.D. 30.1.1.1941, n. 12, art. 92, comma 1, che è stata denunciata dai ricorrenti come se la Corte d’Appello avesse ritenuto la sospensione feriale dei termini applicabile anche ai giudizi di opposizione all’esecuzione, quale è il presente. Ben diversa infatti è la ratio decidendi della sentenza impugnata, avendo il giudice di merito ritenuto applicabile il termine c.d. lungo di impugnazione, di cui all’art. 327 cod. proc. civ., considerato peraltro nei limiti dell’anno (quindi senza riferimento alcuno al periodo di sospensione di cui alle norme citate), in quanto – secondo lo stesso giudicante – la parte interessata ad eccepire l’inammissibilità, cioè l’appellato, non avrebbe dato prova dell’intervenuta notifica della sentenza e della relativa data, dalla quale far decorrere il termine breve di cui all’art. 325 cod. proc. civ.. Essendo queste le ragioni a fondamento della sentenza impugnata, il quesito di diritto come sopra riportato risulta prima facie del tutto inconferente, sì da comportare l’inammissibilità del motivo per violazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ..

2.3.- Quest’ultima norma risulta violata, nella sua seconda parte, con la proposizione dell’ulteriore profilo di censura attinente al vizio di motivazione. Infatti, in tema di formulazione dei motivi del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti impugnati per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, è stato affermato che, poichè secondo l’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dalla riforma, nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass. sez. un. n. 20603/07). Il primo motivo del ricorso, per la parte relativa al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, manca del tutto di tale momento di sintesi ed è perciò inammissibile.

3.- Col secondo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 83 e 112 cod. proc. civ. e "del principio della necessità della procura alle liti", nonchè vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5.

I ricorrenti deducono che il procuratore degli appellanti sarebbe stato privo di mandato alle liti per l’inesistenza di un mandato a proporre appello e per l’inidoneità allo scopo della procura rilasciata a margine del ricorso per manutenzione nel possesso di cui al procedimento n. 2795/89.

Deducono, altresì, e comunque, la sopravvenuta estinzione della procura alle liti, in considerazione del decesso della rappresentata D.T. avvenuto il 16 agosto 2003, prima della proposizione dell’appello avverso la sentenza di primo grado, effettuata il 28 settembre 2005.

3.1.- Il motivo, sotto il primo profilo, è inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, in quanto non riporta il testo della procura apposta al ricorso per l’azione possessoria – che la Corte d’Appello di Salerno ha ritenuto idonea ad abilitare il difensore anche relativamente all’esecuzione ed alle "fasi successive" – nè indica in quale sede processuale il documento risulti prodotto (cfr. Cass. S.U. n. 28547/08, nonchè Cass. n. 29279/08, n. 20535/09, n. 24178/09, n. 2966/11).

3.2.- Il motivo non è meritevole di accoglimento nemmeno quanto al secondo profilo. Avendo lo stesso procuratore proposto appello nell’interesse di più appellanti, con procura rilasciata da ciascuno, la morte di uno soltanto di costoro, intervenuta prima della proposizione dell’atto di impugnazione, ha comportato l’inammissibilità del gravame, per non essere stato rinnovato il rilascio della procura da parte degli eredi della parte deceduta (cfr. Cass. S.U. n. 10706/06, nonchè, da ultimo, Cass. n. 18485/10), soltanto relativamente a quest’ultima, vale a dire a D.T..

Tuttavia, tale situazione processuale non ha compromesso il gravame proposto nell’interesse di B.P., D.C.M. e Be.Ge., ciascuno dotato di autonoma legittimazione ad agire esecutivamente in forza della sentenza del Tribunale di Salerno n. 834/99 e quindi a resistere all’opposizione proposta avverso il relativo processo esecutivo.

Pertanto, non può essere accolto il motivo di ricorso col quale si assume la nullità della sentenza d’appello per la carenza di mandato in capo al procuratore degli appellanti; non è venuto meno il mandato alle liti rilasciato da ciascuno di costoro, per la morte di uno dei mandanti, trattandosi di distinte procure alle liti, riferibili a parti processuali dotate di legittimazione ad agire concorrente (o disgiunta).

4.- Col terzo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione della norma di rito dell’art. 112 cod. proc. civ. e della norma dell’art. 1137 cod. civ. "nella parte in cui è stata omessa la statuizione della preclusione della domanda di tutela di alcuni condomini contro il deliberato dell’assemblea di sistemare 4 vasi di plastica nell’androne comune, a causa della mancata impugnativa della delibera", nonchè il vizio di motivazione su fatto controverso e decisivo per il giudizio "per la preclusione dell’esame delle decisioni assembleari non impugnate".

Sostengono i ricorrenti che, avendo il Condominio rimosso i vasi cui era originariamente riferito il ricorso per manutenzione nel possesso ed avendo successivamente deliberato, a seguito di deliberazione dell’assemblea del 25 marzo 1996, di collocare delle (altre e diverse) fioriere nell’androne condominiale, la mancata impugnativa di tale deliberazione, nel termine di trenta giorni dalla sua adozione, sarebbe stata ostativa all’accoglimento del gravame. Più specificamente, secondo i ricorrenti, con tale ultima delibera il Condominio avrebbe deciso a maggioranza le modalità concrete di utilizzazione del bene comune, cioè dell’androne condominiale, di modo che la Corte d’Appello avrebbe dovuto prendere atto dell’anzidetta delibera e della sua mancata impugnazione, quindi avrebbe dovuto confermare la sentenza di primo grado (che aveva accolto l’opposizione all’esecuzione, ritenendo che l’ordine contenuto nel titolo esecutivo fosse stato già eseguito e non fosse stato oggetto di successiva violazione), senza poter entrare nel merito del deliberato assembleare.

4.1.- Il motivo non è meritevole di accoglimento.

La Corte d’Appello ha fondato la propria decisione sull’interpretazione del titolo esecutivo costituito dalla sentenza conclusiva del giudizio possessorio, compiuta al fine di verificare se il giudicato avesse esaurito la propria portata esecutiva o se questa permanesse con riguardo a comportamenti futuri dell’obbligato idonei ad integrare quella stessa molestia possessoria avverso la quale era stata invocata la tutela giudiziale.

Ha quindi ritenuto che la sentenza che aveva ordinato la rimozione delle fioriere dall’androne condominiale avesse efficacia esecutiva anche rispetto ad altre situazioni, create dal condominio obbligato e dai suoi partecipanti, che fossero idonee a violare il possesso dei condomini appellanti così come quella che aveva determinato la presentazione del ricorso ex art. 1170 cod. civ. ed ha ritenuto di fare applicazione al caso di specie del principio espresso dal precedente di legittimità di cui alla sentenza n. 9202/01.

Sulla base di tali premesse in fatto (quanto all’interpretazione del titolo esecutivo) ed in diritto la Corte d’Appello ha concluso nel senso dell’"inefficacia" della delibera assembleare di nuova collocazione delle fioriere nell’androne condominiale e della necessità della loro rimozione "costituendo l’apposizione dei vasi un rilevante intralcio all’uso dell’androne medesimo", tale da costituire "nuova violazione del possesso dei condomini appellanti, possesso che rimane quindi tutelato dalla più volte richiamata sentenza del Tribunale che non ha esaurito il suo effetto con la precedente rimozione dei vasi e che continua a essere efficace rispetto alla nuova apposizione delle fioriere".

4.2.- Dato quanto sopra, l’assunto dei ricorrenti secondo cui la Corte d’Appello non avrebbe affatto considerato la deliberazione dell’assemblea del condominio del 25 marzo 1996 non corrisponde al tenore della sentenza impugnata; piuttosto, questa ha concluso nel senso dell’"inefficacia" di detta deliberazione perchè ritenuta in contrasto col giudicato formatosi sul titolo esecutivo di che trattasi. Allora, i ricorrenti avrebbero dovuto contestare la premessa logico-giuridica che ha indotto la Corte territoriale a tale conclusione. Avrebbero dovuto cioè contestare l’interpretazione del titolo esecutivo che questa conclusione sorregge, nonchè l’applicazione al caso di specie del principio di diritto espresso da Cass. n. 9202/01, secondo cui "l’efficacia esecutiva della sentenza di spoglio non è esaurita da un comportamento dell’obbligato, che solo apparentemente si sostanzia in un’esecuzione spontanea della decisione, perchè il contrasto con la situazione possessoria tutelata continua ad essere presente, sebbene per effetto di altre situazioni create dall’obbligato; tale efficacia è invece esaurita dal ristabilimento dell’originaria situazione di possesso ottenuta attraverso l’esecuzione coattiva della sentenza, posto che questa può consentire l’eliminazione di ogni situazione di contrasto con il possesso che sia trovata in atto durante l’esecuzione forzata".

Poichè l’ima e l’altra non sono state oggetto di censura dinanzi a questa Corte, allora l’affermazione dell’inefficacia, rectius della nullità, della deliberazione assembleare del 25 marzo 1996 non può essere, a sua volta, inficiata, in quanto strettamente consequenziale a detta premessa logico-giuridica: quest’ultima ha, infatti, comportato che la materia sia stata trattata come sottratta alla disponibilità dell’assemblea dei condomini.

5.- In conclusione, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, in favore dei controricorrenti, dovendo ritenersi ammissibile il controricorso in quanto regolarmente notificato, ex art. 370 cod. proc. civ., ai ricorrenti; ed invero l’omessa tempestiva notificazione agli altri soggetti intimati col ricorso non comporta l’inammissibilità del controricorso (cfr. Cass. S.U. n. 1161/00), qualora questo sia stato tempestivamente notificato ai legittimi contraddittori, come nel caso di specie.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese processuali, che liquida, in favore dei resistenti, nella somma di Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge.

Così deciso in Roma, il 7 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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